
Sabato, domenica e lunedì di Sorrentino e Servillo | Eduardo 120
Il teatro di Eduardo è il riflesso della sua visione della vita, rappresentata – in tutte le sue luci ed ombre – con semplicità disarmante e verità struggente.
Ad un’intensa partecipazione umana De Filippo coniuga una sottile ironia intellettuale: costantemente deluso dalle ipocrisie, dalle ingiustizie, dai conformismi, l’umorismo diviene via per esorcizzare, capire, rendere più sopportabile un mondo pieno di bellezza soffocata e inaridita.
Quella lasciataci da Eduardo De Filippo è un’eredità culturale immensa, intrisa dei colori, delle voci, degli odori e dei suoni di Napoli, terra-madre mai dimenticata, sempre protagonista della sua opera. Eredità sempre viva, accolta e coltivata da artisti come Toni e Peppe Servillo, Paolo Sorrentino, grandi interlocutori della drammaturgia eduardiana e della grande tradizione partenopea.
Servillo, protagonista indiscusso della filmografia di Sorrentino, nel 2004 unì il suo sguardo a quello del regista premio Oscar, in una “doppia” rivisitazione di Sabato, domenica e lunedì, commedia da Eduardo scritta, diretta e interpretata nel 1959: per Palcoscenico, serie di Rai 2 dedicata al teatro, Paolo Sorrentino curò la regia del film televisivo realizzato dall’allestimento interpretato e diretto da Toni Servillo, fedele al copione eduardiano. Le riprese sono state realizzate durante le repliche al Teatro Mercadante di Napoli.
Sabato, domenica e lunedì scava nelle profondità del microcosmo dei rapporti familiari – tema cardine ricorrente nella drammaturgia eduardiana – esplorando Le conseguenze dell’amore: sentimento che, se avvelenato da incomprensioni avariate e rapprese, si corrompe in una forma delirante e artificiosa che causa fratture ed implosioni.
La scansione tripartita della commedia coincide con il tempo dei tre giorni della settimana evocati dal titolo, scanditi dal ritmo lento del ragù messo a bollire nella cucina di casa Priore.
Il dramma familiare di don Peppino (interpretato da Toni Servillo) e di sua moglie Rosa (una splendida Anna Bonaiuto), a cui si intrecciano screzi e conflitti che investono anche gli altri membri della famiglia, si consuma seguendo i ritmi cadenzati della pietanza che arde sul fuoco. In questo tempo consacrato al rito familiare, i pensieri di don Peppino si dilatano nella prigione interiore della sua mente, alimentati dal rancore, dal dubbio e dall’insofferenza.
L’atmosfera sacrale del pranzo domenicale con amici e parenti sembra volgere in cupa tragedia proprio quando la pasta al ragù viene servita in tavola: Don Peppino esplode, accusando la moglie e il ragioniere Ianniello, amico di famiglia, di intrattenere una relazione fedifraga.

Il linguaggio cinematografico di primi piani furenti e controcampi nervosi si amalgama – con felice resa espressiva – ad un linguaggio teatrale concentrato soprattutto sulla mimica e la gestualità.
In una comunicazione velata dagli aloni del non detto, le parole acri dei personaggi altro non sono che un rumore; per contrasto i gesti, i tic ossessivi e la mimica facciale traducono i sentimenti celati, le gelosie latenti e gli impulsi più profondi.
I protagonisti della vicenda appaiono così come isole di un “arcipelago familiare”, prossime e al contempo remote l’una dall’altra, immerse in un vuoto oceano di incomunicabilità.
Il dramma di casa Priore è amplificato dalla scarnificazione della scena: gli scabri oggetti di scena paiono relitti di un paesaggio frantumato e inaridito.
La tragedia si arresta un attimo prima del suo compimento: il rancore e l’incomprensione trovano nel furore uno sgorgo lenitivo, la sacralità dissacrata della cerimonia domenicale cede il posto al lunedì e la catarsi si distende alla luce del nuovo giorno. Peppino Priore, prima di tornare al negozio di abbigliamento sul rettifilo, riesce a destarsi dal baratro emotivo in cui era sprofondato.
I due coniugi si confrontano in un colloquio finalmente sincero e disarmato, che porterà in superficie le ragioni insulse e pretestuose di quel conflitto potenzialmente permanente. È la mancanza delle piccole attenzioni quotidiane a convincere Peppino che la moglie non l’ami più: in una minuzia – l’assenza della camicia pulita, preparata da Rosa ogni mattina e data ormai per scontata – si concentra la scintilla che avvia l’erosione della fiducia coniugale.

Rosa, a sua volta, confessa al marito un segreto antico, rinvigorendo le radici profonde da cui tanti anni prima era nato l’amore. Un amore libero e autentico, voluto per scelta genuina. Se così non fosse stato, dice Rosa, «allora in questa casa tu non ti saresti accorto che io non ti preparavo più la camicia pulita, e forse io non te l’avrei mai preparata». Attraverso la cura silenziosa dei dettagli, le tenerezze senza pretesa di riconoscenza, l’amore resiste, a volte perdendosi, ma riuscendo sempre a ritrovare la strada per tornare a casa.
Tuttavia, sotto la facciata di un’armonia familiare faticosamente ricomposta, si infiltra un retrogusto amaro di illusioni ed incomprensioni. Donna Rosa, nella sequenza conclusiva, si affaccia al balcone per salutare il marito prima che svolti l’angolo della strada, ma don Peppino è già scomparso dietro il fondale di un altro giorno uguale, nell’inesprimibile solitudine della vita umana.
Sabato, domenica e lunedì smaschera la religione familiare nella sua inconsistenza di illusoria, forzata messa in scena. Il teatro di Eduardo, che nasce dalla necessità di mettere in comunicazione gli uomini, diventa vita, e viceversa.
Lo stile registico di Servillo e Sorrentino, unendo il contatto visuale del cinema alla verità emotiva del teatro, converge in un’ulteriore capacità di rendere una storia comune e universale.
Alla fine, un’inquadratura dal fondale scenico ci fa scoprire una nuova prospettiva di spettatore, ed un teatro vuoto. Gli attori si inchinano davanti ad una platea muta, ad un alveare di palchi ciechi.
Il silenzio degli applausi mancati risuona ancor più fragoroso in questi giorni di distanza forzata, ma la speranza – e la consapevolezza – che presto torneremo nei teatri e nei cinema, ci sembra oggi il miglior tributo da dedicare ad Eduardo e alla sua arte.
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