
Il meglio dal 31. Noir in Festival – Prima parte
Noir in Festival, da ormai 31 edizioni, è l’appuntamento imperdibile per tutti gli amanti del brivido e del mistero. Anche quest’anno il festival milanese esibisce un programma sorprendente, in cui letteratura, cinema e fumetti si amalgamano come in un cocktail miscelato sapientemente.
Delle varie proiezioni e dei vari film che abbiamo visto vi proponiamo questo piccolo best of, per raccontarvi al meglio le nostre impressioni e suggestioni.

Noir in Festival – Earwig
Earwig è il film di apertura del Noir in Festival, nonché il primo film in lingua inglese di Lucile Hadzihalilovic, precedentemente presentato in concorso al Toronto Film Festival.
La storia (se si può definire tale) è ambientata in un’anonima città dell’Europa degli anni ‘20, in un’oscura villa, in cui il dentista Albert è incaricato di prendersi cura della piccola Mia. La bambina ha un problema non ben specificato ai denti che tendono a marcire costantemente; pertanto, devono essere sostituiti con protesi fittizie ricavate dalla sua stessa saliva ghiacciata. I due non si toccano mai, parlano pochissimo e vivono isolati dal mondo esterno, fino al momento in cui un lontano “padrone” ordina ad Albert di portare Mia in un orfanotrofio. I due quindi prendono il treno verso una meta sconosciuta, intrecciando i destini di altri due personaggi: Celeste e Laurence, incontrati da Albert in circostanze misteriose…
La regista costruisce tutta la sua opera su atmosfere, suggestioni, rimandi e avvenimenti casuali senza una successione logica, creando la suspense attorno a questa trama criptica in cui non è mai chiaro dove finisce la realtà e inizia l’incubo. L’autrice poi non dà alcuna spiegazione sull’identità dei suoi personaggi, ma anzi si diverte a disseminare piccoli indizi e segreti sul loro passato, intersecando i loro destini in temporalità sfasate e diverse. L’azione e il dialogo sono assenti e il ritmo stagnante della pellicola viene spezzato solo raramente da sporadici episodi di intensa violenza che rendono ancora più horror l’atmosfera del film.
Infatti, non è sicuramente nella sua trama criptica che sta la potenza di Earwig (sarebbe inutile tentare di capire il senso della storia), bensì nell’atmosfera. La fotografia scura e perturbante ricorda un quadro ottocentesco di Füssli, mentre la musica, più simile a un rumore assordante e lacerante, riempie con prepotenza i vuoti lasciati dalle parole. L’universo in cui questi vuoti personaggi agiscono silenziosi è desolato, cupo e traumatico: si percepisce solo un senso di angoscia e depressione costante la cui origine resta ignota.
La regista quindi confeziona una pellicola criptica e opaca come l’acqua di uno stagno, in cui la tensione e il mistero serpeggiano come mostri nascosti. Earwig è un narcotico che fa sprofondare lo spettatore nello stato allucinatorio di un incubo.

Noir in Festival Diario di Spezie
Unico film italiano in concorso al festival, Diario di Spezie è l’esordio ala regia di Massimo Donati, che traspone in opera filmica il suo romanzo.
Luca (Lorenzo Richelmy), giovane e talentuoso chef esperto di spezie, incontra casualmente Andreas (Fabrizio Ferracane), ombroso e carismatico restauratore di quadri fiamminghi che gli offre l’opportunità di seguirlo in un viaggio per conoscere nuovi clienti. Il giovane, dopo un breve tentennamento, accetta la proposta del suo affabile benefattore, credendo di dare una svolta alla sua vita. Ma tutte le sue certezze cadranno, proprio nel momento in cui verrà trascinato in un gorgo di perversioni che lo obbligheranno a compiere una scelta atroce. Nello stesso tempo, un ispettore belga, ossessionato dai fantasmi del passato, pensa di aver finalmente trovato il colpevole di un intrigo internazionale. Come si combineranno insieme le due storie?
Massimo Donati firma un thriller al cardiopalma, con una sceneggiatura perfettamente orchestrata in cui ogni meccanismo si compenetra naturalmente con l’altro. La storia, forte della sua origine letteraria, gode di una scrittura semplice, ma efficace che esalta i caratteri dei suoi personaggi, descrive perfettamente le situazioni e rende l’intera vicenda coinvolgente ed eccitante.
La parte action è sempre presente e mai invasiva, poichè abilmente bilanciata con i dialoghi e le riflessioni dei personaggi. Diario di spezie infatti, oltre a intrigare lo spettatore con un mistero sempre più malato e perverso, lo porta anche a riflettere su una moltitudine di temi complessi: l’onnipresenza del male nella vita quotidiana, l’inesistenza del libero arbitrio e l’impossibilità di avere giustizia per le colpe commesse. I personaggi, lacerati dal conflitto fra questi temi, vivono una costante tensione drammatica e risultano pertanto imprevedibili.
Tutti gli elementi filmici partecipano a questa tensione sotterranea. Con il proseguo della storia, la fotografia diventa sempre più cupa e tenebrosa, mentre la scenografia ristagna in ambienti sempre più ridotti e claustrofobici, come a indicare il radicale e disperato cambiamento del protagonista, che, man mano che si avvicina alla verità, comprende sempre meglio il bisogno di compiere il male.
A rendere indimenticabile il film anche le interpretazioni degli attori che contribuiscono a dare corpo, espressione, voce e credibilità a tutti i personaggi. Fra tutti spicca Fabrizio Ferracane che riesce a rendere odioso e perturbante un villain davvero indimenticabile.

Noir in Festival – The Innocents
The Innocents, presentato nella sezione Un Certain Regard del festival di Cannes, è il secondo lungometraggio di Eskil Vogt, regista norvegese, più noto al grande pubblico per essere l’autore delle sceneggiature del regista Joachim Trier, per il quale ha firmato gli script di Segreti di Famiglia, Thelma e La persona peggiore del mondo.
Due sorelle sono costrette dai loro genitori a trasferirsi in un complesso residenziale vicino alla foresta. La più piccola, Ida, alla disperata ricerca di altri bambini con cui stringere amicizia, deve prendersi cura della sorella maggiore, Anna, poiché autistica, assumendosene la piena responsabilità.
Un giorno Ida incontra un altro bambino: Ben dall’animo decisamente ribelle che la spinge a lasciare Anna e a seguirlo nei suoi giochi pericolosi. Ida è felice di poter fare amicizia con un altro bambino, ma, quando il suo nuovo amico uccide un gatto per puro divertimento, si rende conto di quanto sia malvagio. Contemporaneamente anche Anna si fa una nuova amica: Aisha, una ragazzina premurosa e gentile. I quattro bambini formano un piccolo gruppo e scoprono di poter comunicare telepaticamente. Da questo momento l’elemento irrazionale irrompe nella vicenda e i bambini scopriranno di avere degli incredibili poteri soprannaturali che useranno per fare il bene o il male…
La sceneggiatura di The Innocents deve molto ala letteratura di Stephen King: a livello narrativo sono presenti infatti molti temi cari allo scrittore statunitense, fra cui la perdita dell’innocenza, il racconto di formazione, il male che incombe sul periodo dell’infanzia e l’onnipresenza del soprannaturale nella vita di tutti i giorni.
Vogt introduce il male e il soprannaturale in un contesto idilliaco, quale un tranquillo complesso residenziale fotografato in una tiepida estate norvegese. Ambientare una favola horror in questo contesto crea un fortissimo contrasto che provoca nello spettatore un forte senso di disagio, acuito ancora di più dal fatto che a compiere il male e a usare dei poteri paranormali siano dei bambini, simbolo di innocenza e purezza.
Questo elemento consente di creare un altro parallelismo letterario con Lord of the Flies di William Golding il primo romanzo postmoderno a mostrare l’insita violenza presente nel cuore dei bambini. The Innocents mette in discussione la natura del male e la volontà di compierlo indagando proprio nella mente dei più piccoli: si eredita, si può apprendere o è insito in noi? Vogt non dà risposte precise e rende possibili tutte queste conclusioni.
Certo è che per esaltare al massimo la narrazione il regista decide di servirsi pienamente di tutti gli elementi che la natura del paesaggio gli offre: i movimenti di macchina sono morbidi e fluidi e la telecamera a mano segue i bambini mentre si rincorrono nei boschi, dando un senso di naturalezza e vivacità. Il direttore della fotografia poi gioca molto con la luce estiva evocando sentimenti contrastanti grazie alle luci che rimbalzano sulle finestre, attraversano i rami degli alberi e illuminano i volti dei bambini. Ed è proprio grazie a loro che Vogt riesce anche a tracciare un acuto affresco della cosmopolita società norvegese, mostrando famiglie provenienti da vari paesi, classi e culture diverse.
Ma il vero orrore viene proprio alla fine del film, quando dopo aver visto orrendi omicidi e delitti soprannaturali il film pone una domanda chiara e distinta direttamente allo spettatore, proprio alla fine dei titoli di coda: chi è davvero innocente…?
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