
Tim Burton e la sua Mercoledì per Netflix | Lucca C&G 2022
«Mercoledì sono io». Così ha presentato la sua ultima fatica un generosissimo Tim Burton, ospite d’onore a Lucca Comics&Games 2022, arrivato nella cittadina lucchese per raccontare Wednesday, serie Netflix incentrata sull’adolescenza di Mercoledì Addams, icona della televisione interpretata per la piattaforma da una favolosa Jenna Ortega. Nella sala del Teatro del Giglio gremita di giornalisti e addetti stampa, l’accoglienza per il maestro delle fiabe a tinte horror è stata calorosissima, con un pubblico che difficilmente lasciava distinguere il commentatore dal fan; complice di tutto ciò Netflix che ha fatto trovare per tutti gli ospiti parrucche a tema Mercoledì, in modo da indurre un flashmob di saluto che si è presto trasformato in una standing ovation. Una situazione familiare e carica di aspettative, dove non c’era il minimo spazio per le provocazioni – nessuna parola su Johnny Depp o sull’affaire Disney -, ma solo tanta voglia di scoprire cosa Burton avesse in serbo per la sua prima uscita seriale.

La conferenza stampa, presieduta e condotta da Emanuele Vietina – direttore generale di Lucca Crea e protagonista in prima persona di tanti incontri della fiera -, si è concentrata sull’indagare gli aspetti più intimi e personali che stanno dietro la scelta di Tim Burton di inaugurare la sua presenza nella serialità proprio con Mercoledì, che dal 23 novembre aprirà su Netflix una finestra inedita sulla vita della giovane Addams. La risposta è che l’autore, cresciuto tanto con la fondamentale serie televisiva degli anni ’60 quanto soprattutto con i fumetti di Charles Addams, è che lui si è da sempre sentito come Mercoledì, un outsider tra gli outsider, con una visione in bianco e nero che per Burton merita di essere raccontata anche oltre l’età infantile, per sperimentare come il personaggio possa interagire nelle situazioni più tipicamente teen tanto care a Netflix.

Gli aspetti weird che ammantano l’intero immaginario della Famiglia Addams diventano il motore propulsivo che può sposarsi al meglio con lo stile poeticamente gotico del regista; gli stessi aspetti hanno fatto la fortuna dei due interessantissimi film animati MGM del 2019 e del 2021 – anch’essi ispirati ai disegni di Charles Addams – che hanno ridato forza al franchise, che si arricchisce ora di un ulteriore tassello nella sua conformazione sempre più transmediale. Certo è che lo stile di Burton più di tutti può sposarsi con un prodotto originale che è alla base dell’horror-comedy moderna, andando a ricalcare quelle atmosfere che dalla serie del ’64 sono arrivate fino ai due esplosivi film firmati da Berry Sonnenfeld negli anni ’90, chiaramente già influenzati dal lavoro del regista californiano che poco prima aveva realizzato l'”addamsiano” Beetlejuice.

Nella serie non mancherà quindi l’estremizzazione delle dinamiche familiari: «Immaginate l’imbarazzo di avere Morticia come madre», dice Burton ricordando quanto la Famiglia Addams sia in qualche modo uno specchio neanche troppo deformante di come possano apparire un po’ tutti i nuclei familiari. Il tutto plasticamente messo in forma dal cast della serie (Catherine Zeta-Jones come Morticia è una scelta semplicemente grandiosa), specialmente da Jenna Ortega – la giovanissima scream queen per eccellenza della sua generazione, già icona dell’horror contemporaneo – che restituisce corpo e sguardo a Mercoledì Addams, con un’interpretazione sottile e basata sulla profondità espressiva, semplicemente irresistibile. Su di lei Tim Burton spende parole di profonda ammirazione, sottolineando quanto abbia saputo far proprio il personaggio e abbia saputo restituirvi la forza adatta a renderlo al meglio: «Senza di lei non ci sarebbe stata la serie».

La scuola di Nevermore è l’ambientazione in cui collide l’immaginario interno ed esterno alla serie: lì Burton colloca la formazione di nientemeno che Edgar Allan Poe, andando a tracciare quelle coordinate cross-mediali che aiutano a comprendere il respiro dell’intero progetto. E pure lì, in una scuola per outcast, Mercoledì si trova emarginata, diversa, incapace di adattarsi all’uso di strumenti digitali che non vuole vedere integrati nella propria narrazione – al contrario di ciò che accade, ad esempio, in Fate – The Winx Saga, dove diventano normalità perturbante -, «buco nero vuoto di gratificazioni»; il mondo social promette di essere uno dei punti cardine di moto conflittuale nelle dinamiche interne alla serie, in pieno accordo con ciò che Tim Burton stesso pensa della sfera virtuale. La speranza è che questo aspetto non si trasformi in una facile debolezza del prodotto, anche se ormai risulta inevitabile anche per l’immaginario gotico fare i conti con un attualità digitale fin troppo persistente.

Nel raccontare al pubblico di Lucca il suo lavoro sulla serie Netflix e sul personaggio, appare via via più evidente la dimensione autoritrattistica che Tim Burton ha voluto dare alla sua Mercoledì: il disagio psicologico – tema ricorrente e identitario del suo lavoro – viene così esorcizzato dall’autore attraverso un personaggio che non ha alcun problema a dire ciò che pensa, con chiarezza e freddezza. Mercoledì diventa un personaggio tanto iconico quanto necessario per chi si immedesima nei racconti di Burton, capace di uscire dall’immobilismo rivendicando un’identità forte e presente. In un’attualità dove le dimensioni scolastica e familiare sono spesso centrali in senso negativo, Burton decide di rendere la sua Mercoledì l’emblema della self awareness, al costo di essere fuori posto persino tra persone per definizione reiette.
Wednesday vedrà Burton dirigere direttamente quattro degli otto episodi della serie, ma la componente autoriale si vede corroborata dal rapporto strettissimo con Danny Elfman, autore anche qui delle musiche, con il difficile compito di reinterpretare l’iconico tema; «lui per me è come un altro attore, perché la musica è un personaggio nei miei film». Oltre alle musiche di Elfman, tornano per Wednesday i costumi di Collen Atwood, altro elemento che contribuisce a consolidare l’identità filmica della serie all’interno dell’immaginario burtoniano e a costruire il mondo gotico in cui prende corpo la narrazione.
Burton si dice affascinato dal linguaggio seriale – pur affermando la centralità del cinema nel suo lavoro e, spera, in generale – perché permette di cambiare i ritmi, di far «bruciare lentamente» gli eventi. Allo stesso tempo il linguaggio seriale diventa l’occasione di confronto con altri registi, da guidare e coordinare nella creazione di un lavoro autorialmente condiviso, nel rispetto e nella contaminazione reciproci, con la consapevolezza che l’audiovisivo resta sempre un lavoro collaborativo. «Chi lavora alla tv o al cinema è sempre parte di una weird family».
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