
Chaplin: 131 anni a vagabondare
«Sono morto tante volte…» | Questa la frase chiave con cui uno degli ultimi film di Charlie Chaplin, Limelights – Luci della Ribalta si apprestava a concludersi, narrando la morte di Calvero, vecchio clown in pensione forzata, che diventa a un tempo immagine delle paure e delle speranze del vagabondo londinese, che in pochissimo tempo ha saputo rivoluzionare il cinema, la comicità e l’idea stessa di star system, pur non perdendo mai il legame con delle radici tradizionali solidissime e, se in mano d’altri, decisamente datate. Ricorre oggi l’anniversario della nascita di Chaplin (131 anni).
Guardando indietro nella vita di Chaplin, la frase di Calvero gli si associa perfettamente: nato il 16 aprile 1889 in uno dei quartieri più poveri di Londra, il piccolo Charles si è visto più volte la vita sconvolta; la morte del padre, la crescente follia della madre, allontanata forzatamente da lui, la separazione col fratello Sidney sono state le prime esperienze di “morte” sperimentate dal giovane comico, che fin dalla più tenera età ha dimostrato un talento senza confronti.
Nel personaggio di Calvero, autentico specchio della vita di Chaplin, convive tutto il dramma nascosto sotto la comicità senza tempo che molto spesso ha saputo prendere il posto dell’umanità stessa dell’artista. Calvero arriva molto dopo il Vagabondo, personaggio cruciale con cui viene identificato Chaplin stesso, eppure sembra quasi esserne il padre, o la fonte ideale: l’eterno protrarsi del racconto del fallimento, comico al pari del drammatico, trova nel Vagabondo la fine solo quando questi incontra la voce (e non ancora la parola), insieme ad una compagna in grado di liberarlo dalla solitudine; Calvero è l’opposto, e comunque il complemento: la sua morte gli toglie la voce e libera la ballerina da un amore impossibile per donarle una vera vita.
E se la morte di Calvero è il punto di partenza della vita di Thereza, ogni “morte” per Chaplin è stato motivo dell’inizio di una nuova vita: la sua carriera, le sue relazioni, la United Artists, l’esilio dall’America, persino la morte stessa, avvenuta nella notte di Natale del ’77. Questo moto di morte e rinascita è il filo conduttore delle storie del Vagabondo stesso, che come un sole al tramonto, conclude i suoi racconti camminando verso l’orizzonte, in solitudine fino alla sua ultima avventura, Tempi Moderni.
Nel 131° anniversario dalla sua nascita, Charlie Chaplin resta l’icona del cinema più riconoscibile, uno dei pochi autori capaci di firmare praticamente tutto nei propri film (dalla sceneggiatura alle musiche), con una visione artistica che non incontrava le mode, bensì i bisogni del proprio tempo.
In tutto questo Calvero è anche quello che Chaplin non ha saputo mai essere: un uomo semplice, abitudinario, con una casa e una routine di vita. In questo, l’artista è sempre rimasto più fedele al Vagabondo, iniziando la propria carriera da straniero, ritrovandosi esule a casa propria e costretto a vivere gli ultimi anni lontano dal paese alla cui mitologia aveva contribuito più di chiunque altro.
Nell’anniversario dei suoi 130 anni, riguardare Limelights è il modo migliore per rendersi conto dell’epoca che Charlie Chaplin ha segnato, delle persone che ha influenzato (magistrale la presenza di Buster Keaton), accompagnati da una musica leggera e sublime, da un sorriso sempre autentico e dal corpo espressivo di un uomo che, dalla nascita alla morte, è stato sempre, per sua stessa definizione, un clown. Ma con la lente della comicità, Chaplin ha saputo influenzare la Storia, definire immaginari, rivoluzionare un mezzo espressivo ancorandolo alla tradizione…
Quell’ultimo balletto alla fine di Limelights è ciò che resta delle genuine risate scaturite da ogni suo film: un’armonia di silenziosi movimenti, precisi, cronometrici, infinitamente espressivi.
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