
“Romeo e Giulietta” di Bernardo Casertano | L’effimera fiamma dell’inimmaginabile
Ha deciso di andare al fondo del funzionamento del testo shakespeariano Bernardo Casertano affrontando Romeo e Giulietta durante la sua residenza negli spazi di Teatro Akropolis a Genova. Un testo talmente famoso che spesso si dimentica ciò che vi sta alla base, quella scintilla di senso talmente inverosimile – Casertano parla di inimmaginabile – che viene colpevolmente rimossa dal ricordo degli spettatori: Romeo e Giulietta racconta un innamoramento impossibile, esplosivo, che in quattro giorni si consuma e si distrugge, dando unità quasi aristotelica al percorso di una vita. E questo per Casertano diventa il modo di abitare le giornate di lavoro con le attrici e gli attori (nove in totale) che l’hanno accompagnato nel mettere in forma un tracciato di azioni attraverso cui restituire la corporeità di Romeo e Giulietta, a un passo dall’arrivo della parola, quando l’incontro è ancora profondamente sensoriale, estetico, performativo prima che discorsivo.

La restituzione di Romeo e Giulietta – effimera, quasi certamente irripetibile – si apre come un gioco di posizioni: i corpi attoriali dei perfomer riempiono punti dello spazio di Arkopolis che li rendono autonomi, soli, in una relazione mancante tanto che sembra sempre che lo sguardo spettatoriale non riesca ad enumerarli tutti appieno, finché Casertano dà inizio al movimento; un muoversi ricorsivo, ritmico, profondamente sonoro che contagia gli altri attori portando al primo grado dell’incontro: l’andare insieme, per imitazione, per empatia ritmica, che è ancora profondamente altro rispetto all’incontro intimo della scoperta altrui, tanto che l’interruzione del passo rompe rapidamente questo movimento anestetizzato dal suo essere ripetitivo, che fermandosi apre all’invisibile, rinnovando – o meglio inaugurando – la possibilità dell’accadere.

È infatti da questo momento che lo spazio della scena non è più riempito da corpi isolati, ma da polarità di tensioni continuamente sperimentate, in un’arena che è partecipazione dell’incontro, attraverso gesti su sé stessi, imitazioni, esperimenti, tentativi, creando ponti attraverso gli sguardi, richiamando gestualità e testualità dell’incontro non solo amoroso – luminosa la comparsa, fischiettata, del tema di Luci della Ribalta di Chaplin – che trasformano l’autonomia dei corpi attoriali: se prima erano individualità isolate, adesso sono soggettività che si colorano dell’incontro reciproco, sono nodi tensivi di relazioni vive ed emotive, accese da gesti e suoni che sono profondamente incarnati dall’agire, sequenze di partiture relazionali tutte da arrangiare. Così Romeo e Giulietta raggiunge il suo cuore rappresentativo, mostrando a che punto l’incontro inimmaginabile è in realtà la condizione più naturale dell’esperienza relazionale umana, in cui l’abitare lo spazio in relazione reciproca porta inevitabilmente al rischio del fallimento, della perdita, della scomparsa.

In un’addizione progressiva e misurata, azioni profondamente fisiche si fanno condivise, in un meccanismo a orologeria dalla struttura evidente e manifesta che diventa la chiave dell’intera rappresentazione: è quando uno degli ingranaggi da meccanico si fa vivo che i ritmi perdono il sincronismo, l’incontro fallisce, i corpi cadono, vengono sorpresi, si spaventano, passando dall’unisono alla fuga, aprendo la tensione verso la disperata ricerca dell’altro. In questo vortice di azioni spostate quanto basta perché siano vive, il corpo di Casertano si fa strada verso una caccia impossibile, restando l’unico elemento di moto nel momento in cui la parola compare e pervade lo spazio: la parola anestetizza i corpi, si pone al di sopra della fisicità, annulla il movimento e lascia Casertano solo nell’inseguire il fantasma di un incontro, ripetendo gesti che perdono via via il loro significato, restando inattuali, celibi, disperatamente fini a loro stessi.

La coda della restituzione è un’ulteriore riflessione sulla profondità del senso che pervade Romeo e Giulietta: la scena vuota vede al suo centro Casertano davanti al microfono, spalle alla platea e fronte allo schermo di Teatro Akropolis su cui è proiettato il volto di una delle performer in primissimo piano. Il contrasto è estremo: dove l’espressività del corpo sulla scena è tutta in una magnetica voce privata del volto, questa si rivolge a un viso luminoso ma muto, che comunica unicamente con una mimica sempre rivolta altrove; l’incontro sensoriale è radicalmente impossibile, disperato, eppure commovente nel suo darsi sempre al limite della risposta reciproca, con un tessuto di stimoli sensoriali inconciliabili nella loro radicale compresenza sulla scena. Come la morte di Romeo e Giulietta nel testo shakespeariano, anche qui il buio arriva sulla scena per mezzo di un fraintendimento sensoriale, chiudendo quella che è l’eccezionale traduzione del nucleo profondo di un testo spesso posto sulla superficie delle sue – tantissime, saturanti – parole, che al suo centro ha il bruciante, inimmaginabile e disperato desiderio dell’incontro.
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