
Whodunit? You – La quarta stagione
Attenzione: la recensione contiene degli spoiler | Dopo l’incendio di Madre Linda e la presunta morte del protagonista, la quarta stagione di You torna a raccontare le vicende del fu Joe Goldberg, il noto stalker e serial killer interpretato da Penn Badgley, ora nei panni di Jonathan Moore, un professore universitario a Londra, con l’intenzione di farsi una nuova vita. La nuova stagione di You sembra infatti aprirsi in un clima di redenzione, in cui il protagonista non vuole ripetere gli errori del passato e, anzi, si mette nei panni di un detective per risolvere il mistero dell’Eat-the-Rich killer che sta decimando un gruppo di snob e ricchi personaggi dell’élite londinese: la serie abbandona quindi la struttura narrativa delle precedenti stagioni, basate essenzialmente sull’ossessione amorosa di Joe per Beck, Love e Marienne – idealizzate, quasi angelicate –, adottando stavolta lo schema del whodunit, il giallo classico in cui i personaggi di un gruppo vengono fatti fuori uno alla volta e accompagnato dalla domanda «chi è stato?».

Il riferimento principale sono i gialli di Agatha Christie – in particolare Dieci piccoli Indiani –, citata nella serie e letta dallo stesso Joe/Jonathan per individuare i tropi e gli indizi che possono fargli risolvere il caso: il genere si distingue per uno stile formulaico, in cui non è tanto cosa succede a intrigare il lettore e la lettrice, ma il modo in cui questo avviene, facendo divertire e riflettere perché in questa formula si nasconde anche una critica sociale. Joe/Jonathan si ritrova infatti all’interno di un gruppo di persone milionarie, prepotenti ed egoiste, tra feste mondane e weekend in campagne sontuose dove, non a caso, si organizzano murder mystery party: il suo voice over non risparmia commenti sulla cattiva condotta dei personaggi, che maltrattano i domestici e attuano piani malati e strategici per arricchirsi, inducendo a una divisione tra cattivi e buoni per cui, per qualche episodio, crediamo che il protagonista faccia parte dei secondi.

È curioso osservare come il whodunit, in qualità di espediente narrativo ma anche metanarrativo, sia una formula ricorrente negli ultimi tempi: pensiamo a Knives Out e al suo sequel Glass Onion o a Omicidio nel West End, in cui il body count comincia proprio durante i festeggiamenti della centesima rappresentazione di Trappola per topi e in cui dunque ciò che accade nella vita reale è una riproposizione di ciò che avviene sul palcoscenico teatrale. Ancor più curiosa è la data di lancio della seconda parte di You – il 9 marzo – che coincide con l’uscita nelle sale italiane di Scream VI, sesto film del franchise cominciato nel 1996 dal regista horror Wes Craven: la saga slasher, nata dalla penna di Kevin Williamson, comincia con gli omicidi di diversi liceali della cittadina di Woodsboro per mano di Ghostface, seguendo fedelmente le regole dello slasher e riscrivendole, attraverso citazioni di film horror come Halloween – La notte delle streghe e la presenza di ben due serial killer: non ci si può fidare di nessuno perché chiunque può essere colpevole e, come racconta in You la studentessa Nadia a proposito del whodunit, uno dei moventi del killer può essere la vendetta. Il clima paranoide accompagna i teenager di Woodsboro e lo stesso Joe/Jonathan, impegnato a trovare l’assassino che lo tormenta anche attraverso i messaggi, riproponendo una scena alla luce del sole in cui chiunque abbia un cellulare in mano è tenuto sott’occhio, come in Scream 2, in cui Dewey e Gale aggrediscono chiunque stia facendo una telefonata nel campus universitario in cui studia Sidney Prescott.

Dunque, la serie testimonia e conferma una sorta di effetto nostalgia, in cui appunto determinati schemi e situazioni tendono a ricorrere, affidandosi a riferimenti letterari e a strutture narrative note, che poi può ripetere o stravolgere. È ciò che succede nella seconda parte, in quella che potremmo definire la resa dei conti, il confronto con il lato oscuro e la risposta alla domanda whodunit: infatti, l’ultima parte della quarta stagione ribalta quanto affrontato precedentemente, in un certo senso tornando a raccontare più fedelmente, e come il pubblico è abituato, le vicissitudini di Joe/Jonathan, per cui si comprende che la prima parte era una sua allucinazione (e forse anche un po’ la nostra). Se infatti i primi cinque episodi sembrano rinnovare il linguaggio e i temi di una serie che aveva basato le sue prime tre stagioni sulla figura dello stalker e la sua ossessione per le donne di cui si innamora, proponendo agli spettatori e le spettatrici, non più onniscienti, un mistero e un serial killer da rivelare, gli ultimi cinque ritornano sui binari tracciati da You, fatti di gabbie di vetro sempre più elaborate, donne vittime di un manipolatore e assassino e vie di fuga ai limiti del surreale. Il tentativo di redenzione è fallito: Joe Goldberg, o Jonathan Moore, non può salvarsi; egli rimane l’unico vero colpevole.

Dal sesto episodio, You approccia un altro genere letterario, il racconto gotico, proponendo la nota metafora del dottor Jekyll e del signor Hyde. Il signor Hyde di Joe/Jonathan, il suo alter ego, è Rhys Montrose, un noto scrittore londinese a cui il protagonista si ispira, poiché è di umili origini e ha una visione simile circa la popolazione ricca del paese: egli non è che la proiezione del suo lato malvagio, un doppio che, come un diavolo tentatore, lo induce a commettere gli omicidi e, soprattutto, ad addossargli tutte le colpe, nella convinzione di essersi redento e di essere un brav’uomo in un mondo crudele, come recita il titolo del romanzo di Montrose.
Dunque la nuova stagione di You è senz’altro ricca di sorprese, tra l’ammiccamento a generi di tendenza e plot point decisamente sorprendenti, spingendo forse oltre i limiti una serie che possedeva una sua identità e che nella prima parte della quarta stagione era riuscita ad aggiornare una struttura narrativa troppo ripetitiva. La serie mostra Joe/Jonathan in vesti diverse, dal detective all’uomo saggio che sa dare buoni consigli; ma, come ha insegnato nel corso di tutte le sue stagioni, il trauma dell’abbandono materno continua a tormentarlo, facendo prevalere la sua natura più crudele e facendolo rifugiare nella letteratura di cui è tanto appassionato, sorprendentemente anche nel whodunit, del cui mistero conosce benissimo la risposta.
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