
Pier Luigi Pasino: «Sul set di “Lidia Poët” ho portato la comicità di Carrozzeria Orfeo»
È passata poco più di una settimana dall’uscita de La legge di Lidia Poët su Netflix e la serie ha già scalato la top ten italiana e mondiale. Sono diversi gli elementi che ne hanno garantito il successo e che andrebbero approfonditi, ma il primo, indiscutibile, è il cast. O forse il primo sono i costumi, è una scelta difficile. Per Luigi Pasino, nella serie Enrico Poët, è uno dei personaggi principali insieme a Matilda De Angelis, Lidia Poët, e Eduardo Scarpetta, Jacopo Barberis. Proprio per questo è uno degli elementi chiave della buona riuscita del prodotto firmato Matteo Rovere e Letizia Lamartire, che racconta la storia della prima avvocata donna in Italia e della sua lotta ai diritti paritari di genere.
Pasino è attore, cantante e cantautore e intervistarlo è stato divertente quasi quanto sembrano divertirsi i personaggi di Lidia Poët sul set.
Per prima cosa, come ti senti? Quando ci sono progetti così grandi in ballo, ci si immagina l’attesa della prima come un tempo emozionante, a metà tra l’entusiasmo e l’agonia. Ora che è passata una settimana dall’uscita ufficiale di Lidia Poët e che la serie è entrata nella top ten mondiale di Netflix, sei riuscito a tirare le prime somme e a fare un sospiro di sollievo?
Assolutamente sì. Devo dire che si portava dietro un bel carico di aspettativa, tensioni, paure… però per come sta andando non potevamo proprio chiedere di meglio, né io personalmente né tutta la squadra. È stata una grande festa, un successo a cui quasi non credi. Ti dici «Ma che davvero?».

Si tratta della tua grande prima esperienza con la serialità. Raccontaci com’è lavorare in una produzione di questo tipo con la regia di Matteo Rovere (Veloce come il vento) e Letizia Lamartire (Il divin codino), due registi che agli occhi degli spettatori possono sembrare molto diversi.
Sì, non è la mia prima esperienza davanti a una macchina da presa, avendo lavorato già nel cinema sia con ruoli piccoli che più importanti come in Lovely Boy (regia di Francesco Lettieri, 2021 ndr.), però questo è il mio primo ruolo da coprotagonista e la mia prima esperienza in assoluto in una serie televisiva. E sì, Matteo e Letizia sono molto diversi. Matteo ha diretto i primi due episodi ed è molto più dirompente ed energico, è uno che va a tremila all’ora. È stato molto utile questo tipo di energia nei primi due episodi, che sono più scoppiettanti e hanno il compito di catturare subito l’attenzione dello spettatore. Poi invece, quando la storia si addentra di più nelle dinamiche familiari, nelle relazioni, l’occhio femminile di Letizia è stato provvidenziale. Ha approcciato la storia con un tipo di sensibilità che ci voleva. Bisogna considerare che gli episodi si sviluppano su due linee: una verticale che riguarda i casi crime e che si risolve alla fine di ogni episodio, e una orizzontale che attraversa tutta la serie e riguarda le relazioni tra i personaggi. Questa linea è molto delicata, ci sono tante sfumature e Letizia ha fatto un lavoro fantastico con gli attori.
La legge di Lidia Poët è ambientata nell’800 e c’è chi ha criticato la serie per gli elementi di contemporaneità che sono stati aggiunti. Che tipo di preparazione c’è stata da parte di voi attori? Gli elementi di contemporaneità sono studiati come caratteristiche dei personaggi?
Per quanto riguarda la contemporaneità della recitazione, assolutamente sì, c’è stato un lavoro di allontanamento da quelli che sono gli stereotipi e i canoni ottocenteschi. Ad esempio non si parla alla maniera che ci si aspetterebbe, anche se studiando abbiamo scoperto che le parolacce venivano usate già alla fine dell’800, ‘Cazzo‘ era una parola che veniva usata tantissimo. Ci sono comunque dei personaggi incaricati di portare l’austerità tipica del tempo, come per certi versi il mio, quello del giudice o del procuratore. Altri invece, come quello di Lidia o di Barberis, portano innovazione e anticonformismo. In generale, la cifra stilistica recitativa voleva andare in contrasto con quello che ci si poteva aspettare. Stessa cosa per quanto riguarda la musica. La colonna sonora è contemporanea ad oggi, non è contestualizzata nell’800. C’è stato un tentativo di creare dei contrasti tra moderno e antico che secondo me funziona, e che altre serie come Peaky Blinders avevano già portato sullo schermo.

Un elemento che è sicuramente tangibile nella serie è l’intesa tra voi attori, che fa funzionare i dialoghi e la loro velata comicità. Come l’avete costruita? Conoscevi già alcuni degli attori o siete partiti da una pagina bianca?
Abbiamo fatto una pre-produzione con i registi e con tutti gli altri reparti, dove abbiamo studiato la sceneggiatura e i rapporti dei personaggi. In quell’occasione ognuno di noi ha portato un progetto del proprio personaggio, abbiamo fatto un lavoro molto simile a quello che si fa in teatro per assaggiare le dinamiche e non arrivare sul set completamente a digiuno di prove. Questo è un aspetto raro in una serie televisiva, dove solitamente si ha poco tempo per lavorare prima di andare sul set. In tutti i lavori comunitari, come nel cinema e nel teatro, c’è un valore aggiunto, ovvero quando le persone si incontrano e hanno un certo tipo di affinità, di stima o di simpatia. Con Matilda De Angelis ed Eduardo Scarpetta è stata una bella scoperta, è nata una grande amicizia che ci ha consentito di sentirci liberi di giocare sul set, come si dovrebbe fare sempre nel nostro mestiere. Talmente tanto che poi è diventato anche inarrestabile il nostro cazzeggio. Eravamo un po’ come in Erasmus, c’era un bellissimo clima che è stato terreno fertile per inventare dinamiche. Ad esempio con Matilda abbiamo fatto un grande lavoro, sia sul set che fuori, sul rapporto tra fratello e sorella. L’amore tra Enrico e Lidia passa spesso attraverso le ‘botte’ e i battibecchi. Anche quando nella storia Enrico diventa sostenitore di Lidia, il nostro modo di volerci bene continua a passare per le scaramucce e i punzecchiamenti. Quando abbiamo capito che quello era il gioco che potevamo mettere in scena… ci dovevano davvero fermare, perché c’erano delle lunghe code di improvvisazione già negli screen test. È stato molto divertente.
Tu vieni da una delle più grandi accademie di arti drammatiche d’Italia, lo Stabile di Genova, e fai parte di una delle compagnie teatrali più in voga di questi ultimi anni, Carrozzeria Orfeo. Cosa porti del teatro sul set? E cosa hai portato nello specifico nel ruolo di Enrico Poët?
In generale del teatro porto il modo di concepire questo lavoro, di essere responsabile e testimone di storie. Qui in particolare, tra l’altro, si parla di una storia molto alta, quella di Lidia Poët. Mi porto poi il senso di disciplina e un gusto recitativo di un certo tipo, che in questo personaggio specifico si sposa molto con quello che è il mio. A me piace molto caratterizzare i personaggi, e questo è un tipo di lavoro che in Italia si fa più spesso in teatro e meno davanti alla macchina da presa. Per questo personaggio l’ho fatto. In generale Enrico è molto lontano da me, io non sono così rigido e conformista anzi, sono molto morbido. Per me è stato partire dall’opposto, quindi ho fatto un lavoro sul corpo che è quello che mi piace più fare, e ho cercato di trovare dei punti di contatto con lui, come l’ironia e i tempi comici. In questo la mia esperienze con Carrozzeria Orfeo, che vive e sguazza nei tempi comici, mi è servita molto. Poi, dovendo interpretare un avvocato del tempo, ho fatto un corso accelerato di diritto grazie anche al compagno di mia cognata, che è appunto avvocato. Ho voluto il più possibile cercare di entrare in una materia che non era la mia.

Lasciamo perdere il grande classico “cinema o teatro?”. Ti chiedo invece, cinema o serie: qual è la macchina da presa più difficile?
La grande differenza è che nel cinema c’è molto più tempo per girare. Durante la giornata di solito si girano meno scene e ti puoi concentrare di più sui dettagli. In televisione invece si va più veloci, hai meno tempo. C’è da dire che ultimamente la qualità delle serie si sta alzando tantissimo, arrivando al pari del cinema. Con La legge di Lidia Poët ho avuto la fortuna di lavorare in un prodotto televisivo seriale che però è fatto con dei crismi che non hanno niente da invidiare a un prodotto cinematografico, per tanti versi. Diciamo che sarebbe bello fare cinema e televisione entrambi ad alto livello, avendo più tempo possibile, per lavorare al meglio. Perché poi la differenza è lì, nel tempo che si dedica alla preparazione. Come dicevo prima, con Lidia Poët siamo stati molto fortunati a fare un lavoro di pre-produzione.
Nella tua carriera sei anche un musicista. Qualche anno fa è uscito il tuo primo singolo da solista, Come un pazzo, che racconta di una rabbia esplosiva, distruttiva ma anche creatrice. Conoscendo la canzone e guardando la serie, ho pensato che Lidia Poët avrebbe potuto interpretarla benissimo. Che ne pensi? Avrebbe potuto scriverla lei?
Certo, è vero. Quella di Come un pazzo è una storia che a Lidia calzerebbe a pennello. Una storia di liberazione, che io ho scritto in un momento abbastanza doloroso della mia vita in cui avevo bisogno di tirare fuori delle energie represse che mi stavano affossando. In quel caso la miccia è stata una rissa dove me le sono solo prese, senza riuscire a darle. Per cui era un’energia frustrata dentro di me che mi faceva desiderare di prendere a pugni Dio, pur non avendo nessuno con cui prendermela se non me stesso. Però sì, questa è una storia che sta bene in bocca un po’ a tutti. Tutti abbiamo delle forze devastatrici dentro di noi che se riusciamo a domare in qualche modo creano qualcosa di buono. Il problema sta sempre nell’avere coraggio, nel chiedersi se si ha voglia di affrontarla questa energia oppure no. La vera forza sta sempre lì, si tratta di buttarsi da soli nel burrone avendo la speranza di uscirne meglio di come ci si è entrati.
Sei da poco diventato padre di una bambina. Cosa le racconterai di Lidia Poët?
Le racconterò che è stata una donna che ha permesso a lei e a noi di esercitare molti dei diritti che abbiamo. Quindi è sicuramente un esempio. Non tanto per quello che ha raggiunto, perché non è davvero quello che fa la differenza, ma per la lotta che ha fatto. Vorrei che prendesse ad esempio il suo coraggio di andare contro le convinzioni del tempo, i preconcetti o i valori stabiliti, è questo che deve essere una guida. Mi piacerebbe che mia figlia conoscesse Lidia e allo stesso modo che avesse una visione del mondo più ampia possibile. Si dice che in questo mondo si ha sempre bisogno di eroi e di esempi, ma sarebbe bello non averne bisogno perché significherebbe vivere in una società migliore.
Con l’augurio di viverti il presente e tutto quello che sta arrivando nella tua carriera, parliamo anche di futuro. Ora sei in tournée con Carrozzeria Orfeo, cos’altro c’è in programma?
Sì, per adesso sono in tournée con Carrozzeria Orfeo, con Thanks for Vaselina. Ad aprile saremo all’Elfo Puccini di Milano e a maggio al Vascello di Roma. Per il resto sto facendo provini e ovviamente il papà, che è un lavoro a tempo pieno. Però sì, ci sono dei progetti. Mi piacerebbe avere tempo per scrivere ancora e fare uscire qualcosa di musicale. Sono in un momento in cui sto cercando di capire come far collimare la musica e la recitazione in qualcosa di nuovo, come uno spettacolo o un mezzo musical. Mi piacerebbe che queste due cose che ho mischiato fino ad adesso facessero un passo avanti verso qualcosa di nuovo. Mi ronzano delle cose in testa ma non hanno ancora una forma. Nel frattempo mi godo questo periodo folle, pieno di cose nuove.
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