
Mark Cousins racconta il suo rapporto con lo sguardo | Biografilm 2022
È un film molto personale The Story of Looking di Mark Cousins, non lo direi intimista però, semmai intimo per la sua dimensione un po’ bohémien in cui l’autore dialoga col pubblico come se fosse al suo fianco nel letto in cui sta passando l’intera giornata che lo separa da un’importante operazione all’occhio. Per Cousins la storia dello sguardo ha a che fare con la definizione della propria realtà, l’intero monologo inframmezzato da riprese originali e d’archivio è infatti una celebrazione della vista e dell’occhio come fondamentale tramite con la realtà, inevitabilmente fonte di cinema quotidiano, di lettura e interpretazione del mondo.

Cousins racconta di aver passato anni a pulire e strofinare la lente sinistra dei propri occhiali, per poi scoprire, con un certo ritardo, che ad essere appannata era la lente che portava addosso dalla nascita: il cristallino del suo occhio sinistro è affetto da una grave forma di cataratta, Mark Cousins, uomo di cinema, deve sottoporsi a un intervento di sostituzione del cristallino. Da questa premessa ha inizio The Story of Looking, sorta di seguito del famoso The Story of Film, prima libro e poi film, che ha reso noto il critico nordirlandese tra i cinefili in giro per il mondo, un po’ per la grande cassa di risonanza che è la trasmissione dei 915 minuti del documentario sulle emittenti britanniche, un po’ per la capacità del regista di tessere amicizie con autori e autrici attraverso i continenti.

Ce ne accorgiamo conoscendolo dal vivo, durante l’incontro con la stampa tenutosi a Bologna per Biografilm Film Festival, prima della proiezione del film. Mark Cousins porta sulla propria pelle i nomi e le firme di cineasti di tutto il mondo, tatuaggi che testimoniano quanto la vista sia fondamentale per Cousins, non solo in relazione al cinema, come nel caso del tatuaggio dedicato a Leonardo da Vinci, fatto subito dopo la visita al Cenacolo di Milano. Per Cousins lo sguardo è fonte di domande su sé e sul mondo, l’intero monologo si potrebbe forse ascoltare come una grande domanda su cosa renda così importante lo sguardo. Nel film ci si sofferma sull’immagine di sé, del proprio corpo, sul modo in cui lo vediamo, sulle emozioni che ci suscita la visione di un oggetto e su come quell’immagine dialoga con noi, con la nostra memoria e la nostra sensibilità.
Proprio la centralità dello sguardo, ci dice Cousins, lo allontana dai podcast e da calderoni come Letteboxd. Dai primi perché manca la vista e la parola non basta – soprattutto in un panorama costellato da centinaia di podcast sul cinema -, dal secondo perché l’incasellamento dei film in una griglia precostituita non è il suo modo di vedere il cinema, non è abbastanza intimo. Per Cousins la ricerca è qualcosa di diverso, per certi versi spasmodico, l’obiettivo è vedere più film possibile, non vederli e rivederli più volte per cercare le inesattezze, gli “errori”, ma costruire appunto una storia. Per lo stesso motivo l’altro film presentato da Cousins a Biografilm 2022 è una conversazione con un uomo di cinema. Parlare di film, conoscerne gli autori, è come un viaggio, che in The Storms of Jeremy Thomas (in programma giovedì 16 giugno), road trip al fianco di uno dei produttori più incisivi della nostra contemporaneità, trova la sua letterale realizzazione. Un produttore-autore, come lo definisce Cousins, e per questo personaggio da indagare, senza il quale non avremmo avuto L’ultimo imperatore di Bertolucci, ma nemmeno Piccolo Buddha o il folle squilibrio di Crash di Cronenberg, per arrivare ai giorni nostri fino al Dogman di Garrone. Film di certo potenti, dalla grande personalità, che Thomas, con un ruolo più o meno centrale riesce a “firmare”, pur restando produttore.

In chiusura di incontro con Cousins gli chiedo come faccia a tenere le fila di tutto ciò che guarda, su quali appigli possa fare affidamento, ricordandogli come alla stessa domanda Herzog ci rispose che la sua roccia era Tito Livio, da leggere e rileggere di continuo. Premettendo che i film a cui torna sono pochissimi, se non inesistenti, il regista indica Virginia Woolf come una grandissima regista che non ha mai girato un film, ma sembrava filmare i propri pensieri. Poi c’è George Steiner, autore di Real Presences, romanzo di pellegrinaggio in cerca di una vera presenza, in netto contrasto con la nostra realtà, fatta di verità riprodotta e digitalizzata. Cousins non si definisce cattolico ma in linea con l’idea del pellegrinaggio, è stato in Asia, è andato sulla tomba di Ozu in Giappone ed è così che ritrova connessione con la realtà. Da ultimo il Don Chisciotte di Cervantes, che propone l’incredibile rapporto tra Chisciotte e Sancio Panza, una combinazione unica in cui si racchiude gran parte dei rapporti umani possibili.
L’operazione è fortunatamente andata bene, Cousins potrà continuare a vedere tramonti, film e caratteri stampati sui suoi libri preferiti, con la massima certezza che se non gli verrà in mente una parola, potrà immaginarsela, letteralmente, dice: “i can picture it”.
Si può rimanere senza parole, ma non senza immagini, mai senza cinema: Mark Cousins ne è convinto.
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[…] e ci parla di – immagini. Presentato in anteprima nazionale al Biografilm Festival di Bologna, The Story of Looking è una riflessione dell’autore sull’atto universale di guardare. Tratto […]