
Sur l’Adamant – Psichiatria e disalienazione a bordo | Biografilm 2023
Ormeggiata alla riva destra della Senna, l’Adamant non è una comune barca. Se ne sta lì da più di dieci anni, nel pieno centro di Parigi, nei pressi del ponte Charles de Gaulle, pronta ad accogliere i suoi pazienti: è un centro diurno per persone affette da disturbi mentali. Nel documentario Sur l’Adamant – che gli è valso l’Orso d’oro alla Berlinale 2023 e il Celebration of Lives Award conferitogli nella serata di apertura di questa edizione di Biografilm – il regista Nicolas Philibert sale a bordo della peculiare struttura galleggiante per osservarne le dinamiche e la quotidianità dei suoi frequentanti.

Per realizzare il documentario, Philibert ha trascorso diversi mesi nel Centre de jour l’Adamant. Fin dalla scelta del soggetto si intuisce il suo interesse nei confronti di un approccio alla psichiatria che sia empatico e inclusivo. Non è la prima volta che il regista si avvicina al tema: nel 1996 aveva diretto La Moindre des choses, ambientato nella clinica psichiatrica La Borde. Quello che accomuna le due strutture è il modello di cura della psicoterapia istituzionale, che mira a contrastare l’alienazione nell’individuo derivante tanto dalla malattia mentale quanto dall’organizzazione sociale. Tale corrente di pensiero considera l’istituzione come un organismo che si inserisce nell’aspetto sociale della malattia mentale e ritiene che possieda un inconscio di gruppo che influisce sull’azione terapeutica, ragion per cui la cura deve essere applicata non solo ai pazienti ma anche all’istituzione stessa.

Il documentario fornisce poche informazioni di contesto, ma gradualmente acquisiamo comprensione di come funziona la struttura osservando le attività che si svolgono al suo interno. L’Adamant è a tutti gli effetti una struttura psichiatrica, parte del Paris Centre. Eppure, è molto lontana dall’idea stigmatizzante e distaccata dei luoghi della cura psichiatrica. A partire dalla sua architettura, che va oltre la mera funzionalità: si tratta di un edificio galleggiante in legno e vetro. Il fatto stesso che sia galleggiante segnala il suo essere al di fuori dei tradizionali edifici dedicati alla pratica psichiatrica. A questo si aggiunge la sua posizione nello spazio, in bilico tra la separazione dalla città circostante e l’integrazione nel cuore pulsante della metropoli, che fa dell’Adamant un luogo di cura e di incontro. I pazienti entrano nella struttura apparentemente secondo i propri tempi e la propria volontà. Laddove si cerca di mantenere viva la funzione poetica, l’arte e la cultura si mostrano centrali come veicoli di espressione e come pratiche di disalienazione.
Il film si impegna infatti a rappresentare i suoi soggetti mentre canalizzano i loro impulsi ed emozioni in espressioni artistiche, trovando modi alternativi di attribuire un significato alle loro esperienze. Sur l’Adamant si apre con l’accorata interpretazione del paziente François di La Bombe Humaine, brano del 1979 dei Téléphone. È un’espressione emotiva incredibilmente autentica, un inno all’autodeterminazione, che introduce perfettamente l’intenzione del documentario di sostenere la possibilità di un approccio empatico alla cura. La macchina da presa di Philibert, che non distingue tra pazienti e caregiver, ha una presenza discreta e non invadente. Si mette a disposizione di chi parla, lasciando che i soggetti si esprimano alle proprie condizioni. Rimane spazio per le storie traumatiche, ma Philibert non cede mai al voyeurismo e alla pornografia del dolore, ponendo invece in evidenza le riflessioni e le idiosincrasie dei pazienti e mostrando la loro quotidianità all’interno del centro. Il focus del film è la presenza umana, piuttosto che il funzionamento complessivo dell’istituzione.

Questo è senza dubbio coerente con il noto stile del regista. Eppure, se l’intenzione è quella di affrontare un approccio umanizzante alla psichiatria, al discorso sembra mancare un pezzo. Proprio in virtù dell’aspirazione della psicoterapia istituzionale, Sur l’Adamant avrebbe forse beneficiato di una prospettiva maggiormente critica, che riuscisse a integrare le esperienze soggettive dei pazienti in un discorso più ampio, nel funzionamento della struttura stessa. Per questo stranisce, nei titoli di coda, una didascalia che si interroga su quanto ancora l’Adamant potrà svolgere il suo ruolo: fino ad allora, non si è fatta alcuna menzione di eventuali minacce che gravano sul centro.
Probabilmente, Philibert vuole esprimere consapevolezza della fragilità di questo tipo di realtà. Difatti, i titoli di coda chiariscono anche che egli presenta l’Adamant come un’idea quasi utopica per la pratica psichiatrica. Questo funge da promemoria che, nonostante esistano luoghi capaci di offrire rifugio e sostegno, le persone con disturbi mentali continuano ad affrontare sfide significative nella loro vita quotidiana.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista