
Talking Like Her – Sulle tracce di Connie Converse | Biografilm 2021
La nostra recensione di “Talking Like Her” (2021) di Natacha Giler, uno dei film selezionati per la 17ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. I film in programma saranno disponibili online su MyMovies e in presenza.
“Mi piacerebbe dirle che è tutto diverso oggi, che una donna come lei troverebbe posto nella società. Che le reiette, le artiste, coloro che non sognano un abito da sposa e preferiscono soffrire da sole piuttosto che insieme ad altri, oggi trovano la loro salvezza” (Natacha Giler)
“I’m the ghost who comes and goes” (Jeff Buckley)

La storia della musica popolare, ma anche dell’arte tout court, è colma di figure mitiche, interrotte, auto esiliatesi dal mondo, da se stesse, dalla propria arte. Che per ragioni differenti, dalla depressione sino allo scoramento verso uno star system sempre più crudele e massificato, scelgono la fuga o l’auto annullamento come ultimo grido di protesta.
Connie Converse, cantautrice americana dal talento cristallino e prima vera figura femminile di rilievo (artistico più che commerciale) del settore, prima dell’arrivo delle varie Joan Baez e Joni Mitchell, si potrebbe agevolmente inserire in quel filone. Ma la sua storia è in parte diversa. Arrivata dalla provincia bigotta nella Grande Mela negli anni Cinquanta, nonostante svariate registrazioni e una miriade di tentativi infruttuosi, decide di volgere le spalle alla musica all’inizio degli anni Sessanta (proprio pochi mesi prima dell’esplosione del folk a livello mass mediatico) per riconsegnarsi prima alla vita di tutti i giorni, e poi scomparire definitivamente. Abbandonando qualsiasi affetto in un giorno d’estate del 1975, senza far sapere più nulla di sé. È alla ricerca del significato di questa doppia fuga che si dispiega il documentario della Giler, che sa essere però anche molto altro.
Senza calcare la mano o concedersi a facili femminismi, la Giler, che dirige il tutto con la stessa grazia e l’incanto che Connie riversava nelle sue registrazioni, ricostruisce in appena un’ora la traiettoria umana e artistica di una donna di talento. Determinata, emancipata e distante, disinteressata al proprio aspetto e votata unicamente alla consacrazione del suo singolare estro artistico. Per questo vista come figura aliena e addirittura poco femminile, sopraffatta da una visione antiquata che vedeva la donna come mero oggetto di bellezza al pari di un bene di lusso.
Il viaggio alla ricerca di questo fantasma troppo a lungo dimenticato si apre tra lo skyline dei grattacieli di una New York notturna, stranamente intima ma sempre impenetrabile, e si chiude tra le note delle sue canzoni affidate alle amorevoli cure di uno stuolo di giovani fan. Pronti a raccogliere l’eredità di note e parole per riconsegnarle al mondo. Lo stesso compito che si è probabilmente dato la regista, restituire forma e sostanza a una voce sommersa.

Una voce, che può ricordare quella della Dickinson e ci parla dalla stanza accanto, raccontandoci sogni, vertigini improvvise, speranze tradite. Giunta a noi come un meteorite da distanze ormai siderali, ha scelto di consegnarsi al silenzio, lasciando dietro di sé detriti, scorie, schegge di bellezza che ancora oggi continuano a brillare. Incuranti del passare del tempo o di quella catastrofe che talvolta può essere la vita. Qualsiasi vita.
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