
Bridgerton – La serie Netflix tra successi ed eccessi
Le rose appena sbocciate, le danze di corteggiamento, gli archi che intonano le prime note di Material Girl: è arrivata la bella stagione di Bridgerton! Il secondo capitolo della serie in lingua inglese più vista su Netflix si smarca dalla frivolezza e dall’evidente fan service erotico offerto dalla tanto superficiale quanto superba Daphne e dal Duca di Hastings, annacquato eroe byroniano (per altro evaporato). La nuova storyline si aggrappa a rami ben più saldi, già orientati verso una maturazione intima e personale. I due protagonisti condividono un retroterra doloroso, che li porta a crescere troppo in fretta e a sacrificare la propria felicità per i loro affetti. È proprio in nome di questi doveri autoimposti che Anthony e Kate, riprendendo i decorosi giochi di seduzione della Austen, non precipitano nell’ostentata carnalità della coppia precedente. Certo, ancora persistono sottotrame trascurabili e trascinate eccessivamente alla lunga, come il conflitto infantile tra Penelope ed Eloise, ma la chimica tra i due protagonisti ha travolto e fidelizzato il pubblico; a conferma di questo, a detta degli sceneggiatori, sarà riservato loro un ruolo fondamentale anche nella prossima stagione.

Potrebbe sorgere una domanda: perché Bridgerton piace? Innanzitutto, propone un’ucronia, ovvero un’alternativa ipotetica alla storia mondiale, di immediata comprensione: siamo in Inghilterra, è il 1813 e tutto va bene. Ogni retaggio razzista viene demolito da un colour-blind casting, ossia la scelta di non considerare etnia e colore della pelle durante la selezione degli attori (proprio come è stato fatto con gli Irregolari di Baker Street). L’estetica è impeccabile, a specchio di una perfetta società vittoriana che di vanità e ipocrisia fa il suo fiore all’occhiello. Tradotta in senso fotografico, questa spensieratezza diventa un’elegante sfilata di colori brillanti e nitide simmetrie.
La stessa contagiosa leggerezza diventa parte dell’approccio con cui lo spettatore si lascia scivolare davanti agli occhi ore ed ore di Bridgerton, compiacendosi di come ogni conflitto vada a sciogliersi prima o poi in un lieto fine garantito. Tutto merito di un’ottima leggibilità di trama: seguire le vicende di otto fratelli più annessi love interests non è mai risultato tanto semplice.
E allora cosa importa se la showrunner Shonda Rhimes, già autrice di Grey’s Anatomy ed altri più recenti successoni come Inventing Anna, viene tacciata dalla critica più severa di servilismo commerciale quando persino l’assenza delle basette di Anthony Bridgerton scatena un’ondata di supposizioni, facendolo entrare, a buon diritto o meno, in tendenza su Twitter per giorni? Figuriamoci poi se la serie viene riconfermata per altre due stagioni, con la terza che, diversamente dal romanzo di Julia Quinn da cui è tratta, non vede come protagonista l’amatissimo secondogenito Benedict, ma il più giovane Colin e la timida amica Penelope, alias Lady Whistledown.

La Bridgerton-mania riformula i canoni della moda regency, modernizzandoli e ri-etichettandoli con il proprio spendibilissimo nome: dalle scarpe, al trucco, fino ad un’intera collezione di vestiti Bridgerton at Stradivarius lanciata in aprile. Spopolano poi le Bridgerton experiences, ossia eventi immersivi in cui è possibile vivere per una sera un ballo regale al cospetto di sua maestà, con abiti a tema e musica dal vivo.
Dunque, sebbene ci sia uno scarto qualitativo tra le due stagioni, è interessante notare quanto in realtà la prima fosse funzionale al raggiungimento di due obbiettivi: world building e scandalo. Una volta creato un mondo coerente e attirati a sé gli occhi di tutti, la seconda ha potuto godere di uno svolgimento più consistente sfruttando personaggi che già avevano vinto la simpatia del pubblico. Potrebbe essere questo, un format antologico compatto, l’elisir di lunga vita che previene la disfatta a cui sono andate incontro serie-rivelazione partite con lo stesso entusiasmo. Sempre in evoluzione, Bridgerton trova il suo equilibrio all’interno di soli sedici episodi, senza altri rivali in termini di ascolti e forte di un’unicità che modernizza in un solo prodotto i generi della romantic comedy e del period drama.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista
[…] una medaglia d’argento per quanto riguarda le serie in lingua inglese più viste su Netflix (Bridgerton e Stranger Things rispettivamente al terzo e al primo posto).Il dottor Frankenstein di questa […]
[…] ex fidanzato di Holga, e l’esilarante Regé-Jean Page che, da duca bello e tenebroso di Bridgerton, si trasforma in un pedante paladino incapace di decifrare persino i modi di dire più […]
[…] propria autonomia che evita di crogiolarsi nella celebrità piacente ed ammiccante dei fratelli Bridgerton. Sebbene infatti siano presenti riferimenti alle stagioni passate, con la giovane Carlotta (India […]