
A Loser Like Me – Il fenomeno Glee oggi
Quante granite in faccia ci vogliono prima di arrivare al successo? Per sei stagioni, il fenomeno Glee ha incoraggiato gli spettatori a inseguire il proprio sogno: non importa se oggi pensi di essere zero o se gli alti ti gettano il fango nell’armadietto perché diverso, un giorno vorrai essere A Loser Like Me. Episodio dopo episodio, il Glee club si è mostrato più di un gruppo di canto coreografato, più di una famiglia: come ci ricorda l’irriverente coach Sue Sylvester (Jane Lynch), esso è l’audacia di guardarsi intorno e vedere il mondo non come è in realtà ma come dovrebbe essere, «un mondo in cui un quarterback diventa il migliore amico di un ragazzo gay e in cui la rompiscatole col nasone finisce a Broadway. Glee vuol dire immaginare un mondo del genere e trovare il coraggio di aprire il proprio cuore, e cantare i propri sogni».
A undici anni dal suo debutto, ripensare a Glee oggi è un compito doveroso quanto delicato, poiché bisogna inevitabilmente fare i conti con innumerevoli tragedie e scandali che hanno spesso messo in secondo piano il valore stesso della serie firmata Murphy, Falchuk e Brennan. Prima ancora della tragica scomparsa della talentuosissima Naya Rivera (Santana Lopez nella serie) e delle recenti accuse di razzismo a Lea Michele (Rachel Berry), tutti i Gleeks sono rimasti sconvolti dall’arresto della già citata Naya Rivera con l’accusa di violenza domestica nei confronti del marito, dalla vita alquanto sregolata e dal suicidio di Mark Salling (Noah “Puck” Puckerman), dai continui rumors intorno a faide interne, tra cui quelle di Ryan Murphy con Dianna Agron (Quinn Fabray) e Chris Colfer (Kurt Hummel).
A pesare più di tutto sulla serie è però la morte prematura di uno dei suoi protagonisti più amati, il canadese Cory Monteith, conosciuto sul piccolo schermo come Finn Hudson. Alle porte della quinta stagione, questo tragico evento ha comportato un repentino cambio di storyline, infrangendo definitivamente il lieto fine tra l’ex atleta e la futura stella di Broadway Rachel Berry. Uno degli episodi più noti, The Quarterback (stagione 5, episodio 3) è il sentito tributo al personaggio e al suo interprete: una straziante lettera d’addio dove realtà e finzione si fondono acuendo il dolore non solo delle performance del cast, ma anche quello dello spettatore. «Lo spettacolo» dice lo stesso Finn «deve continuare… ovunque… o qualcosa del genere…».
Questi spiacevoli eventi hanno oggi contribuito a creare una sorta di aurea maledetta intorno a questa serie, minimizzando del tutto non solo sofferenza e difficoltà personali di cast e crew, bensì anche il prodotto stesso e il suo impatto culturale. Sì, perché nonostante gli alti e bassi, Glee non può che essere considerata una benedizione per il mondo della serialità. Al di là della piena riuscita del suo format nel quale il musical incontra famose hits moderne e contemporanee, questa serie è stata in grado di fotografare al meglio l’adolescenza di oggi nelle sue più variegate sfaccettature. Dalla sessualità a temi spirituali, senza tralasciare depressione giovanile e bisogno di accettazione, il fenomeno Glee ha dato una voce per cantare a qualsiasi adolescente, configurandosi in definitiva uno dei più influenti capostipiti di quei contemporanei teen drama volti a celebrare nel modo più reale possibile questa età complicata.
La brillante scrittura dei personaggi e la scelta azzeccata di un cast più che convincente, hanno comportato un’immediata presa sul pubblico e sulla critica, tanto da guadagnarsi il titolo di cult. Se le prime stagioni hanno saputo trattenere lo spettatore col fiato sospeso, le ultime stagioni hanno conosciuto una battuta di arresto, portando sullo schermo trame poco convincenti o reiterando schemi narrativi già rappresentati. Non mancano di certo episodi degni delle prime stagioni, ma andando avanti essi diventano sempre più rari. Eppure, nonostante il calo di ascolti, i rumors e gli scandali, l’immaginario comune sembra non poter fare a meno del fenomeno Glee e dei ragazzi di Don’t stop believin’ perché sarebbe un po’ come tradire un sogno, dare la vittoria a tutte quelle granite tirate in faccia.
Rivedere Glee oggi suscita differenti sensazioni: nostalgia, esigenza di riscatto, accettazione. Ritornare nell’aula di canto del liceo McKinley è un po’ come ritrovare non solo vecchi compagni delle superiori, ma anche la nostra adolescenza, ciò che siamo stati. E se molti membri del cast sono cresciuti e hanno dato prova del loro talento in altri progetti – in particolare, per la serialità spiccano Darren Criss (American Crime Story e Hollywood) e Harry Shum Jr. (Shadowhunters), mentre per il teatro Amber Riley (Hair, Dreamgirls, La piccola bottega degli orrori) e Jenna Ushkowitz (Hair, Waitress) – l’affetto che lega molti di loro come cast e quello verso i Gleek è la conferma di aver vissuto qualcosa di speciale. Un qualcosa che, suggerisce Rachel Berry, è diventato speciale solo perché ne abbiamo fatto parte tutti insieme, nessuno escluso, compresi gli spettatori.
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