
Spencer – Ritratto della principessa del popolo
Dalla first lady Jacqueline Kennedy in Jackie (2016) a Lady D in Spencer, Pablo Larraín continua il percorso di esplorazione delle icone femminili del ventesimo secolo, con un singolare e introspettivo ritratto di Diana Spencer, la «principessa del popolo».
Lontano dalla narrazione morbosa dei fatti che hanno portato la vita della donna al tragico epilogo in un incidente stradale a Parigi, il 31 agosto 1997, Spencer si concentra sui tre giorni trascorsi nella dimora di Sandringham in occasione del Natale, diversi anni prima della tragedia, ma già premonitori di un destino funesto.

La principessa di Galles – interpretata da una credibile Kristen Stewart – vaga in macchina nella nebbiosa campagna inglese, tra sfumature di colori tendenti al pastello animate dalla grana della pellicola, che conduce la donna ai ricordi di un passato felice, trascorso nella casa della sua famiglia, cui anela dalle stanze polverose e antiche della residenza della regina. Qui non esiste il futuro, ma solo la tradizione e le usanze che rendono vulnerabile Diana, costretta in abiti sontuosi da indossare in base all’orario dei pasti, variegati e copiosi, che scandiscono il ritmo del film e costituiscono una sfida per il disturbo alimentare della donna.

La macchina da presa di Larraín segue Diana nei corridoi di questa gabbia dorata, attraverso piani strettissimi di un volto malinconico, tradito, che vorrebbe fuggire altrove e preferirebbe perdersi, anche deliberatamente, piuttosto che fingere e reprimere chi è davvero: una Spencer, appunto.
Le camminate concitate tra le stanze barocche e le mani che si contorcono, soffocando la rabbia e la frustrazione, sono accompagnate dai violini e dalla musica jazz di Jonny Greenwood, polistrumentista dei Radiohead, che restituiscono l’atmosfera claustrofobica e l’attenzione pervasiva, opprimente, che viene riservata a Diana, in una dimora in cui anche i muri ascoltano.
La colonna sonora è poi caratterizzata da precisi rumori d’ambiente, uniti in un rapporto sinestetico con le immagini, come lo scoppiettio del fuoco che Diana immagina di ascoltare nella sua casa abbandonata, evocativo del focolare domestico degli Spencer e simbolo di un tepore assente tra le pareti fredde di Sandringham House. Ancora, Diana è tormentata da un suono molto simile al movimento di perle o di gioielli sfarzosi, leitmotiv che la insegue e che caratterizza anche l’incedere del suo alter ego Anna Bolena, la regina d’Inghilterra accusata di alto tradimento e per questo condannata a morte, con cui la donna parla, in uno stato tra sogno e allucinazione, perché teme di condividere la stessa sorte.
Tale apparato sonoro fa da cornice a un’atmosfera talvolta orrorifica, tra la foschia della campagna e i pavimenti scricchiolanti, dove la stessa Diana – come l’antica regina a cui si confessa – è un fantasma, consapevole che, nella dimora dove esiste solo il passato, è come se tutto fosse già successo, e che, come i suoi antenati, anche ella verrà ridotta a un semplice epiteto.

Spencer, però, è anche la storia di una giovane donna che tenta di ribellarsi allo status quo, nelle sue corse liberatorie riprese in campo lungo, districandosi tra prigioni di alberi e battute di caccia, sempre al centro del mirino dei paparazzi e delle maldicenze dei servitori: Diana non accetta di diventare corpo da vetrina e di mascherare la sua vera essenza.
Tuttavia, vige un dualismo nel personaggio che, come ha dichiarato lo stesso regista, permette agli spettatori e alle spettatrici di guardare il mondo attraverso il suo sguardo, ma al contempo li allontana, custodendo un segreto, un mistero, per cui non si comprendono le motivazioni di alcune sue azioni. Del resto, tale aura circonda da sempre la vita di Diana Spencer, provocando la curiosità e il fascino verso una figura divenuta immortale, impressa nell’immaginario collettivo, tra le altre cose, anche per il rapporto con la monarchia inglese e, dunque, con una grande istituzione: a tal proposito, aleggia l’interrogativo What if?, lo stesso espresso da Jaqueline Kennedy nel film del 2016 quando immagina di essere una commessa di un negozio di moda e non la moglie del presidente.

Oltre il mistero e i dubbi esistenziali, resta la certezza e la solidità del rapporto con i figli, con i quali Diana è dolce e complice, condividendo con questi il desiderio di normalità, di Casa, con il camino acceso e senza troppe regole. Spencer sembra quindi abbandonare gli sfarzi e gli eccessi dei biopic su questa figura, scegliendo talvolta di privilegiare i momenti di tenerezza, di raccontare la storia di una madre, più che quella di una principessa, mostrando le fragilità e i cedimenti che si nascondono dietro la patina della famiglia reale. In questa casa di cristallo dove ogni cosa è destinata a incrinarsi o a frantumarsi, i figli per Diana costituiscono dei pilastri: il miracolo nella monotonia soffocante degli obblighi reali, ciò che è puro e da proteggere in un mondo di apparenze e di formalità e, ancora, riprendendo e parafrasando le parole che aprono il film, la favola nella tragedia.
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[…] Festival che si dedica a un racconto d’archivio in netto contrasto, per esempio, col recente Spencer di Pablo Larraín, puntando a restituire lo sguardo dei media sulla vita e sulla tragedia della […]
[…] Pablo Larraín | Germania, Cile, UK. La principessa Diana è materna, fragile e umana nel ritratto offerto da Pablo Larraìn in Spencer, durante il Natale nella dimora di Sandringham, una casa di cristallo dove il tempo sembra essersi fermato. Immersa in un’atmosfera claustrofobica, tra sinestesie, fantasmi e vecchie tradizioni regali, Lady D corre in cerca di libertà, anelando all’infanzia felice e a un futuro incerto, con la dolcezza e la complicità dei suoi adorati figli. Leggi l’articolo completo di Beatrice Ambrosi […]