
Il sogno non mente mai – Jung, Fellini e Bernhard | Fellinopolis
Quello tra Federico Fellini, Carl Gustav Jung e Ernst Bernhard è stato un rapporto a tre teste e dalle infinite implicazioni, e recentemente ha goduto di un nuovo approfondimento grazie al documentario Fellini e l’ombra di Catherine McGilvray. Ma andiamo con ordine.
Siamo nei primi anni Sessanta e Fellini, dopo il completamento de La Dolce Vita, sembra essere sprofondato in un momento di grave crisi personale, ai confini con la depressione. Un suo collega regista, il siculo-calabrese Vittorio De Seta che era a sua volta reduce dalle difficoltose riprese dei Banditi ad Orgosolo, gli suggerisce di andare dallo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard, presso cui De Seta già era in cura, e gli lascia il numero su un foglietto. Qualche tempo dopo, Fellini compone il numero pensando che fosse quello di una ragazza che glielo aveva lasciato – e invece si ritrova in analisi.

Ernst Bernhard è una figura quasi leggendarie la storia della psicoanalisi e della cultura italiana. Furono suoi amici, suoi pazienti o entrambe le cose personaggi del calibro di Adriano Olivetti, Natalia Ginzburg, Roberto Bazlen, Cristiana Campo e Giorgio Manganelli. Ebreo, costretto ad emigrare in Italia dalla Germania a seguito a causa della persecuzione nazista, e vissuto in clandestinità negli anni più duri del nazi-fascismo italiano, Bernhard è stato essenziale sia nel mediare i rapporti con i freudiani d’Italia, capitanati da Edoardo Weiss, sia nell’avviare nel nostro paese una pratica consistente di studi junghiani.

Il rapporto tra Fellini e Bernhard durò all’incirca cinque anni, fino alla morte dello psicoanalista nell’estate del 1965, mentre Fellini era alle prese con la post-produzione di Giulietta degli spiriti, forse il più psicoanalitico dei suoi film.
Il rapporto terapeutico e amicale con Bernhard permise a Fellini di risolvere molte delle sue difficoltà, e la frequentazione dello studio di via Gregoriana fu essenziale per la nascita del cosiddetto Libro dei sogni, la leggendaria raccolta i disegni su cui Fellini annotò quasi giorno per giorno i fantasmi della sua vita onirica, alla fine del 1960 fino ai primi anni Novanta. Pubblicato postumo da Rizzoli nel 2008, Il libro dei sogni testimonia tanto da un punto di vista artistico quanto da una prospettiva pre-analitica le radici e le “sacche di riserva” della creatività cinematografica di Fellini, ed era nato proprio da un invito rivoltogli da Bernhard a prendere nota delle sue immaginazioni notturne.

Fu attraverso Bernhard che Fellini scoprì Jung, di cui il suo analista era stato allievo diretto a Zurigo nei primi anni Trenta. L’incontro con la cosiddetta psicologia analitica della scuola junghiana, ricca di connessioni con l’alchimia medioevale e con un gusto del simbolo clamorosamente rinascimentale, non rappresento però per Fellini quello che, grossomodo negli stessi anni, fu il contatto col marxismo per Jean-Luc Godard.
Per intenderci: non si trattò di una scoperta che lo portò a mettere in discussione la sua opera, o a rivoluzionarla radicalmente. Fellini utilizzava con incredibile maestria archetipi, simboli e altre forme di mitizzazione del contemporaneo già dai suoi primi film, senza sapere nulla di psicoanalisi. Ciò in cui forse la consultazione delle opere di Jung e la frequentazione dello studio di Bernhard influenzò direttamente la produzione creativa del regista è il carattere introspettivo di 8 e 1/2 e della già citata Giulietta degli Spiriti.

Qualche anno dopo la morte di Bernhard, Fellini si cimentò per la prima volta apertamente con il mito e la letteratura classica, realizzando la sua versione del Satyricon di Petronio: ma se anche uno psicoanalista della generazione successiva a quella di Jung e di Bernhard come James Hillman ha potuto giudicare il Satyricon come il film di Fellini più vicino alla sensibilità junghiana, sarebbe difficile mettere in rapporto diretto la creatività personale del regista riminese con i risultati teorici raggiunti dalla psicologia analitica.
Più semplicemente, il contatto con le teorie junghiane sul mito, sul simbolo e sull’archetipo resero Fellini più cosciente e più padrone della sua fantasia spontaneamente creatrice e mitopoietica, favorendo tutt’al più una maggiore strutturazione della sua creatività personale di cui proprio 8 e 1/2 testimoniava il work-in-progress.

Per tutto il resto della sua vita, Fellini tornò a più riprese a parlare dell’importanza che aveva avuto per lui l’incontro con Bernhard e con Jung al principio degli anni Sessanta, anche in testi scritti come Fare un film, la cosa più vicina a un composito manifesto artistico che Fellini abbia dato alle stampe: «La lettura di qualche libro di Jung, la scoperta della sua visione della vita, ha avuto per me un carattere di una gioiosa rivelazione, una entusiasmante, inattesa, straordinaria conferma di qualcosa che mi sembrava di avere in piccola parte immaginato», tanto da concludere che «Jung è un compagno di viaggio, un fratello più grande, un saggio, uno scienziato veggente».
Nelle sue riflessioni, Fellini non si risparmiò neanche a un canonico confronto tra Jung e Freud, condotto non da un punto di vista teoretico o terapeutico, bensì a partire dalla sua personale esperienza d’artista: «l’umiltà scientifica di Jung di fronte al mistero della vita mi sembra più simpatica»; in fondo, «Freud con le sue teorie ci obbliga a pensare», mentre Jung col suo approccio più archetipico e meno razionalista «ci permette di immaginare, di sognare, e ti sembra, addentrandoti nell’oscuro labirinto del tuo essere, di avvertire la sua presenza vigile e protettrice».

Significativo è anche il ricordo della visita che Fellini fece alla famosa casa-torre di Jung a Bollingen, riportato nell’epistolario con lo scrittore francese Georges Simenon che recentemente l’Adelphi ha dato alle stampe. Accolto da un nipote di Jung che era un grande ammiratore delle opere del cineasta, Fellini grazie a lui poté vedere «un piccolo ambiente che in genere non aprono a nessuno perché, m’ha detto, francamente la cosa li imbarazza un poco». Era una sorta di stanzone privato nella proprietà di Jung, decorato con mandala, vetri di alabastro e altri oggetti magici, incluso «una vestaglia da mago, da iniziato, da guru» che Jung stesso era solito indossare.
Se i suoi accompagnatori erano “sconcertati”, a Fellini è sembrato «di sentire Jung più umano, più grande, più vicino e più misterioso», avendogli scoperto questo “vizio segreto”. Insomma, scriveva a Simenon, «se uno scienziato come lui, un filosofo, accetta i condizionamenti ed i limiti di un rituale che – almeno ai nostri occhi – può apparire anche vagamente ridicolo, vuol dire che sa vedere più nel profondo e che veramente ha scavalcato tutte quelle cose che generalmente passano per dignità di comportamento», era la sua conclusione.

Ancora più suggestiva è la circostanza che vide Fellini sognare la morte di Bernhard un mese prima che questa avvenisse realmente, per poi replicare la stessa scena di visitazione del cadavere che aveva sognato. Ma qui entriamo in una dimensione di esoterico puro, che pure non era estranea al cinema di Fellini. Corrispondenze e sincronie significative ci sono consumate all’interno gli stessi film di Fellini, secondo logiche che a volte sfuggivano all’autore himself.
Asa-Nisi-Masa. Era la frase che, inaspettatamente pronunciata da una sedicente chiaroveggente in una sequenza cruciale di 8 e ½, permetteva una transizione dal presente del protagonista regista al suo passato di bambino, a uno sperduto ricordo di infanzia in cui un suo compagno di stanza sosteneva che pronunciando quella formula gli occhi rappresentati in un quadro alle pareti si sarebbero mossi per effetto del demonio. È una delle battute più celebri di tutto il cinema di Fellini, una frasetta che non vuol dire niente: o forse, isolando le prime sillabe di ogni parola, Asa-Nisi-Masa vuol dire A-Ni-Ma, il lemma centrale di tutta la teoria junghiana. Sono solo correspondances: ma a volte si trova gran parte del vissuto di un autore, in una citazione così subdolamente rarefatta.
Bibliografia
Federico Fellini, Il libro dei sogni, Mondadori Electa, Milano 2019
Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 2015
Federico Fellini – George Simeonon, Carissimo Simenon, Mon cher Fellini, Adelphi 1998
Goffredo Fofi, Gianni Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, CuePress, Bologna 2020
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