
Only Murders in the Building – Amici per la morte
Nell’Upper West Side newyorkese si trova l’Arconia, un edificio lussuoso dove convivono rockstar prossime alla pensione, star della televisione e di Broadway ormai dimenticate, ma anche giovani con una situazione finanziaria misteriosa. Sebbene si tratti idealmente di un condominio, ogni inquilino sembra vivere nel suo personale microcosmo, se non per fugaci incontri in ascensore o eventuali allarmi anti-incendio.
Un giorno, però, all’interno dell’Arconia viene ritrovato un cadavere e tra indagini e memorial, emergono sospettati e potenziali detective. Alla seconda categoria appartengono tre persone che non potrebbero essere più diverse. Charles-Haden Savage (Steve Martin) è un attore ricordato solo per il suo ruolo da protagonista in una serie poliziesca degli anni Novanta intitolata Brazzos, Oliver Putnam (Martin Short) un regista di Broadway con troppa fantasia e Mabel Mora (Selena Gomez) un’artista dal passato oscuro.

Hanno in comune solo la passione per All Is Not OK in Oklahoma, un appassionante podcast true-crime, e quando l’omicidio si presenta alla loro porta, decidono di seguire l’esempio della sua presentatrice Cinda Canning (Tina Fey) e condividere con un ipotetico pubblico i risultati delle loro indagini. Sanno poco della vittima – il nome, Tim Kono, e il fatto che era odiato da molti vicini – ma sanno come rendere una storia appassionante. Mentre girano appartamenti e intervistano inquilini, registrano quello che riescono, sperando di far diventare il loro podcast un successo.
Only Murders in the Building, la serie di Steve Martin e John Hoffman (autore per Grace & Frankie) prodotta per Hulu e distribuita in Italia da Disney+, è un azzardo sulla carta: trasforma la morte, tradizionalmente intesa come la fase più terrificante e oscura della vita umana, in un luogo di sorprendente gioia e unione. Difatti, prima di essere un giallo, Only Murders in the Building è la storia di tre persone sole che trovano, tra le indagini e il podcast, un’amicizia inaspettata. La serie ha il vantaggio di centrare pienamente il motivo per cui il genere true crime è così popolare: non per un gusto del macabro, ma più semplicemente per la presenza di un obiettivo comune che crea quindi una comunità.

Se da una parte Only Murders in the Building può sembrare un omaggio al genere, non manca anche uno sguardo critico e al contempo irriverente alle sue implicazioni etiche: parlando di fatti realmente accaduti, il true crime deve inevitabilmente sfruttare vere vite umane per intrattenimento, romanzandole e raccontandole a suo piacimento. Se normalmente c’è una distanza tra il narratore e l’evento in questione, i protagonisti di Only Murders in the Building vivono nell’edificio dove è avvenuto l’omicidio e stringono anche legami con alcuni dei sospettati. Inoltre, Oliver vede fin da subito il podcast come una possibilità di guadagno e passa il suo tempo sulla scena del crimine a proporre idee sul merch e a cercare sponsor disposti a sostenerli.
Un altro errore classico dei podcast true crime è quello di dimenticarsi che i sospettati non sono meri personaggi riducibili a una idea semplicistica, ma delle persone vere e proprie. In Only Murders in the Building, anche se alcuni esistono puramente come comic-relief (il cantante Sting, ad esempio, appare nei panni di un vicino che sviluppa una particolare antipatia per il cane di Oliver), la sceneggiatura si impegna per dotarli tutti di agency. Proprio per questo la serie cerca in diversi momenti di offrire uno sguardo diverso da quello dei suoi protagonisti, in modo da mostrare anche i sospettati attraverso occhi innocenti. Il settimo episodio della stagione, The Boy from 6B, è, senza anticipare nulla, la perfetta incarnazione di quest’idea, rappresentando un indizio in più per il pubblico e un ostacolo per Charles, Oliver e Mabel.

Un giallo però non sarebbe niente senza un finale soddisfacente e Only Murders in the Building è uno dei rarissimi whodunnit odierni capaci addirittura di sorprendere lo spettatore. Il merito del suo successo però spetta al cast principale, nato dal curioso connubio tra due pilastri della commedia e un idolo adolescenziale. La serie riconosce il loro dislivello generazionale e lo implementa nel loro rapporto in modi mai scontati e sempre esilaranti.
A incorniciare ed elevare il lavoro di Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez sono tanti volti noti della televisione e del cinema tra cui spiccano in particolare Amy Ryan, Tina Fey e Da’Vine Joy Randolph. Forse l’unico errore di una serie come Only Murders in the Building è la volontà di voler continuare con una seconda stagione, già confermata e che vedrà la partecipazione di Cara Delevingne e Amy Schumer, una storia già perfettamente conclusa, ma solo il tempo potrà dire se questi dubbi saranno confermati.
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