
E tu vivrai nel terrore… L’aldilà – L’orrore assoluto
«L’horror è fantasia pura. L’horror è paura, ma una paura di sogno […] l’horror è liberazione»
1927. Ci troviamo in una nebbiosa ed imprecisata località della Louisiana. L’albergo Sette porte è abitato da un pittore dedito alla rappresentazione di paesaggi sovrannaturali e figure esoteriche che turbano la comunità cittadina. Un gruppo di uomini muniti di fiaccole ed armi giunge all’albergo per assassinarlo: assistiamo a sfregi ed alla sua crocifissione. Circa cinquant’anni più tardi, una donna di nome Lizza riceve questo hotel – nel frattempo rimasto abbandonato – per via ereditaria. Immagina che rimettere in sesto l’edificio e renderlo usufruibile potrebbe rivelarsi un buon affare. Dunque, dà il via libera ai lavori di restauro. Ma, come in qualsiasi horror che si rispetti, quando ci si avvicina ad una casa abbandonata, si scopre che questa nasconde sempre qualcosa di più che miriadi di normalissime ragnatele, di irreparabili infiltrazioni che trasformano il seminterrato in una pozza paludosa. In questo caso, l’albergo è costruito nientemeno che sopra ad una delle «Sette porte del Male». Bastano queste coordinate a Lucio Fulci per fornire terreno fertile all’onirismo immaginifico di E tu vivrai nel terrore… L’aldilà, secondo film della Trilogia della morte.
L’intera trilogia mantiene alcune scelte peculiari che si ripresentano nell’assetto operativo delle tre opere che la compongono: la coppia Fulci e Sacchetti per la redazione della sceneggiatura e Catriona MacColl nelle vesti di protagonista. La seconda pellicola, di cui ora stiamo trattando, è sicuramente l’horror più innovato e sovversivo della trilogia, nonché – con il senno di poi – dell’intera filmografia di Lucio Fulci. L’aldilà è infatti distinto per la costituzione di una sintassi completamente libera e in controtendenza rispetto ai canoni dell’horror consolidatisi fino ad allora. A partire da Paura nella città dei morti viventi, Fulci aveva già tentato – senza riuscirci a pieno – di mettere nero su bianco il suo archetipo di horror viscerale o, come lo stesso regista amava definirlo, «artaudiano». Nell’aldilà, infatti l’urlo a-significante dell’orrore prevale sull’intreccio narrativo.
Possiamo ora tentare di affrontare «il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile». L’insistenza sulla violenza esplicita, l’insistenza sulla messa in campo dei particolari fisici che stimolino il disgusto, è (in parte) marchio di fabbrica del film. Le sequenze che la rappresentano svolgono il medesimo compito delle scene di mutazione e di deformazione fisica nelle pellicole del primo Cronenberg, ma hanno in più l’obiettivo di formare una sorta di entità unitaria: la costruzione definitiva di un orrore assoluto. Torture, crocifissioni, tarantole antropofaghe, allucinazioni, morti viventi: tutto sembra far parte di un unico blocco che ha lo scopo di delineare quello che potremmo etichettare come l’orrore per definizione.
Scorsese disse a proposito di Bava che una caratteristica del tutto italiana che gli era propria consisteva nel fare film memorabili quasi completamente privi di trama, ma che erano d’altra parte sorretti da un’atmosfera suggestiva. Possiamo senza dubbio attribuire anche al Fulci del periodo horror questo merito. La grandezza dell’aldilà risiede proprio nella sua incoerenza testuale, nella sua pressoché totale assenza di trama definita e comprensibile, in ogni suo «anello con non tiene». L’orrore è appunto un orrore atmosferico, un orrore inspiegabilmente affascinante e lovecraftiano. Così a partire dall’isola tropicale di Zombi 2 sino alla Roma di un Gatto nel cervello, quest’atmosfera crepuscolare ed onirica sarà alla base della poetica dell’autore, che nell’Aldilà viene perfettamente rappresentata nell’incipit hitchcockiano e nel visionario finale, in cui i due protagonisti sono giunti in questo mondo altro celato sotto «la porta del male». A quarant’anni dall’uscita del film, lo si deve ammirare per la sua fattura esteticamente perfetta, se consideriamo il budget piuttosto limitato disponibile in fase di produzione. E tu vivrai nel terrore… L’aldilà va ammirato come un quadro che tenta di rappresentare quanto più fedelmente l’abisso, in cui voci sconosciute ci chiamano per nome e di fronte al cui orrore rimaniamo come ciechi.
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