
Cinque horror made in Italy da riscoprire ad Halloween
In questo particolare periodo dell’anno siamo abituati ad un bombardamento televisivo e mediatico in cui ci vengono proposti i film horror più o meno cult delle grandi produzioni americane. I blockbusters hollywoodiani ci hanno regalato titoli famosi quali Halloween diretto dal visionario John Carpenter, Venerdì 13 di Sean S. Cunningham o il più noto L’Esorcista diretto da William Friedkin e da poco disponibile su Netflix. Eppure anche i nostri registi italiani hanno realizzato, nell’ambito del genere horror, pietre miliari artisticamente molto valide, apprezzate anche dai più conosciuti autori statunitensi che, più di una volta, hanno esplicitamente dichiarato di avervi tratto ispirazione. Nomi di spicco della cinematografia mondiale come John Landis, Tim Burton, Sam Raimi e Joe Dante hanno sottolineato l’importanza e l’impatto innovativo del cinema horror made in Italy sull’immaginario degli autori esteri. Ecco quindi cinque proposte tratte dal cinema horror italiano che vale la pena scoprire ed apprezzare nella notte di Halloween.
I vampiri (1957) – Riccardo Freda

Il periodo a partire dagli anni cinquanta in Italia, ha visto venire alla ribalta vari registi specializzati nel genere horror. L’horror italiano di genere era caratterizzato da una forte tendenza al gotico, con influenze derivate dai grandi romanzi della letteratura anglosassone, un gusto per il sovrannaturale e il macabro. La prima vera pellicola dell’orrore prodotta in Italia è I vampiri di Riccardo Freda realizzata nel 1957. Malgrado il titolo possa ingannare, non si tratta di un film sui vampiri, piuttosto la trama è caratterizzata da un gusto fantascientifico che spazia dal genere poliziesco al realismo all’italiana. Sul set de I vampiri lavora in qualità di direttore della fotografia ed effettista, un giovane e promettente Mario Bava che ci regala uno dei primi grandi effetti speciali del cinema horror made in Italy. Nota è la sequenza della trasformazione “a vista” in cui Bava mostra un repentino processo di invecchiamento della giovane attrice Gianna Maria Canale. Mario Bava spiegherà in seguito di aver utilizzato esclusivamente delle luci e un trucco riflettente per ottenere l’effetto visivo di invecchiamento istantaneo.
La maschera del demonio (1960) – Mario Bava

Mario Bava, dopo la collaborazione con il regista Riccardo Freda, realizza il suo film horror d’esordio. La maschera del demonio è una pellicola in un inquietante bianco e nero dalle ambientazioni fortemente gotiche, con protagonista la famosa Barbara Steele, attrice feticcio del genere horror. Con La maschera del demonio Bava getta le basi della sua personalissima visione del genere gotico italiano, caratterizzato da un uso sapiente delle luci, della fotografia e delle ambientazioni macabre. Il maestro Bava non dimostra la sua capacità solo negli effetti visivi e speciali, bensì si dimostra un grande visionario della cinepresa: in questo film la macchina da presa è scorrevole, enfatizza i diversi momenti della storia, come esemplificato dal piano sequenza avvolgente e claustrofobico ambientato in una cripta. In questo film, più che in altri, Mario Bava restituisce sullo schermo una concezione espressionistica della paura, in tutta la sua eleganza visiva e fuori dall’ordinario. Tim Burton dichiarò più volte di aver tratto ispirazione da La maschera del demonio di Bava per il suo Il mistero di Sleepy Hollow.
…E tu vivrai nel terrore! L’Aldilà (1981) – Lucio Fulci

Ben più noto con il titolo de L’Aldilà, il film è il secondo capitolo de La trilogia della morte del regista Lucio Fulci, di cui fanno parte Paura nella città dei morti viventi e Quella villa accanto al cimitero. Viene considerata una delle produzioni più visionarie ed estreme del maestro dell’horror italiano. Amata particolarmente da Quentin Tarantino che la fece restaurare per poi distribuirla negli Stati Uniti, L’Aldidà è un viaggio delirante nell’incubo, nel loop senza fine del terrore, dove la dimensione materiale e quella sovrannaturale si concatenano sprigionando una serie di terrificanti conseguenze. Il film è molto crudo, in certe scene rasenta l’insostenibile e spinge lo spettatore a distogliere lo sguardo: Fulci definisce infatti il suo lungometraggio “artaudiano”, in riferimento all’allusione del Teatro della crudeltà teorizzato dal commediografo francese Antonin Artaud. La crudeltà nel cinema di Fulci non è solo intesa nell’accezione fisica del termine, ma si tratta di una crudeltà psicologica, profonda, relativa allo scardinamento di tutti i riferimenti comuni e reali. La scena finale ambientata nell’aldilà ne è un esempio: è il luogo del nulla assoluto. Un capolavoro cardine del cinema horror italiano!
Zeder (1983) – Pupi Avati

Questo capolavoro inossidabile del cinema horror di genere è una delle pellicole meno note del regista bolognese. Il film si basa sulla teoria sull’esistenza dei Terreni K, zone particolari in cui l’alchimia organica del terreno favorisce la conservazione del corpo di defunti e il loro ritorno in vita. Nella sua solare terra bolognese, che trasforma in una landa macabra ed inquietante, Avati mette in scena quel retaggio cattolico che porta a ipotizzare un superamento della morte, in cui il tempo può cessare di scorrere e l’orrore non è mai stato così vicino. Zeder gioca sul crescendo di emozioni negative, come una scala che gradualmente ci porta nell’incubo, fino agli angoli più reconditi delle nostre paure. La trama non viene mai del tutto spiegata, trattandosi di una sceneggiatura giocata sul suggerimento subliminale e psicologico. Iconica è la sequenza che ritrae la resurrezione del morto, in cui viene inquadrato il viso del defunto che lentamente riapre gli occhi e ride, il tutto girato con un sistema di telecamere a circuito chiuso che restituisce l’impressione al pubblico di assistere ad un evento di elevato realismo. L’impatto visivo di questa scena è paragonabile al risveglio di Cesare nel manifesto dell’espressionismo tedesco Il gabinetto del Dottor Caligari. Per le sue svariate analogie nella trama e in alcune sequenze, si pensa che Zeder possa essere stato d’ispirazione per un famoso horror americano: Pet Semetary, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King e che da poco è stato oggetto di remake.
Cannibal Holocaust (1980) – Ruggero Deodato

Considerato uno dei film più violenti mai girati, la pellicola horror di Deodato si posiziona come il precursore di tutti i cannibal movies. Il film venne aspramente criticato per l’estremo realismo delle sue sequenze e la violenza mostrata, motivo per cui viene falsamente additato come snuff movie. Deodato è tra i primi registi ad utilizzare la tecnica del mockumentary e del found footage, creando la sensazione nello spettatore di assistere a fatti realmente accaduti: basti pensare che la pellicola venne divisa in due capitoli girati rispettivamente in 35 mm e 16 mm, con l’utilizzo della camera a mano per incrementare la sensazione di un vero filmato amatoriale. Questa stessa tecnica è stata poi ripresa in altre pellicole cult appartenenti al genere del “falso documentario”, tra i quali è particolarmente noto The Blair Witch Project. Lo stesso regista dichiarò di aver graffiato personalmente la pellicola per rendere il prodotto finale visivamente più disturbante.
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[…] nelle vesti di protagonista. La seconda pellicola, di cui ora stiamo trattando, è sicuramente l’horror più innovato e sovversivo della trilogia, nonché – con il senno di poi – […]
[…] con pazienza una stratificazione complessa di significati, con una profondità che si è vista molto raramente nei film italiani “di […]
[…] al filone di genere horror-thriller (impossibile non citare alcuni tra gli esempi più famosi come The Blair Witch Project, Antrum e Creep). […]