
Sotto il (nuovo) segno di Winx: Fate – The Winx Saga
Con Fate – The Winx Saga il catalogo Netflix si amplia con un nuovo prodotto, pubblicato il 22 gennaio 2021. A 17 anni dalla loro prima apparizione, le Winx (ri)compaiono sullo schermo sotto una nuova luce, più cupa e tenebrosa.
Tra i molti reboot visti in questi anni (Charmed che giunge alla sua terza stagione per esempio) le fate di Alfea tornano in una veste decisamente più dark, complice forse anche la recente esperienza di Le terrificanti avventure di Sabrina (reboot anche questo), dal cui cast Abigail Cowen (lì Dorcas) trapassa in Fate nei panni di Bloom. Rispetto alla precedente versione animata, si verifica qualche taglio (addio Tecna) e qualche operazione sintetica (Alfea come unica scuola di fate e specialisti, il personaggio di Terra come “incrocio” tra Flora e Tecna) che servono quantomeno a dare una prima parvenza di novità all’interno di un prodotto che risulta, in vero, ancora acerbo.
Bloom è il centro focale di questi sei episodi. La scoperta per lei della magia e del suo destino è il motore della narrazione, primo squarcio su di un mondo nel quale i rapporti fra i vari personaggi sono ancora lineari, immersi in un clima di pericolo imminente, dove la minaccia dei Bruciati è solo il preludio di un non ancora ben chiaro male superiore. Un’alta tensione che esplode senza troppo rumore con la comparsa di Rosalind (Lesley Sharp), promessa forse di un miglioramento successivo, e (spoiler) la morte di Farah (Eve Best), primo momento di “maturità” della serie.

Su tutto si stende una patina teen che semplifica molto i dialoghi, banalizzandoli talvolta in una affrettata prova di retorica femminista, rendendo troppo prevedibili alcuni accadimenti, talvolta rappresentati in forma semplicistica e banale (Sam ferito dal Bruciato e aiutato da Musa, il rapporto tra Stella e la madre, la regina Luna). I tempi sono molto accelerati e la narrazione diventa estremamente sintetica in alcuni momenti: in pochi secondi, nell’ultimo episodio di questa prima stagione, Bloom si riappacifica con i genitori, che con sorprendente apertura mentale comprendono la natura sovrannaturale della figlia, che talaltro scoprono non essere loro, e decidono di ospitare in casa altre quattro fate.
Nondimeno, vale la pena vedere Fate. Ad Alfea, la fata non è più un personaggio declinato solo al femminile e lo specialista non è più un soggetto solo maschile, scelte che possono essere considerate pregevoli poiché superano, in maniera anche un po’ semplicistica, quell’eccessivo schematismo che ha caratterizzato la versione animata. C’è del potenziale. Non più un’immagine stereotipata del corpo femminile (è stata questa una delle note più critiche dirette alle Winx ai tempi della loro nascita), non più quell’eccessiva semplicità dell’ultima stagione animata, dove le fattezze dei protagonisti erano divenute estremamente infantili, ammorbidite da un disegno che ha messo in scena dei bambini e non dei soggetti vicini per immagine agli adolescenti. Punto di forza della serie sono gli effetti speciali, realizzati da FilmFX Ireland e Cinesite Studios (loro è la mano in Avengers: Infinity War e nei film della saga di Harry Potter). Il pubblico più cresciuto potrà poi trovare piacevoli alcuni ammiccamenti alla passata serie animata, dal nome di Beatrix (Sadie Soverall) che sintetizza il noto trio di streghe antagoniste, a quello di Farah, che è oggettivamente una versione abbreviata di Faragonda.
Si vuole fare tanto, ma il tempo è poco. Affinché queste Winx possano convincere a pieno, bisogna scavare più a fondo nella psiche dei personaggi, evitando un troppo facile patetismo: non tanto Stella che accidentalmente accieca l’amica, fatto questo che rappresenta uno dei pochi affondi nei pensieri di chi, per buona parte della serie, rimane un personaggio inerte, quanto, per esempio, la caratterizzazione di Sky (Danny Griffin) che, ad ora, si è limitato a sintetizzare in sé il prototipo dell’eroe in veste di santità.
Convivere tra riusciti prodotti del catalogo Netflix è la sfida che Fate – The Winx Saga deve superare. Giunto l’annuncio di una seconda stagione (qui) non resta che vedere quale piega prenderà la situazione. «I sei episodi della prima stagione hanno solo scalfito la superficie» ha affermato Brian Young, showrunner della produzione Netflix. Dietro questa superficie dovrà quindi rivelarsi quel potenziale non ancora ben espresso.

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