
Scary Stories to Tell in the Dark – Autopsia degli archetipi horror
Sembra proprio inevitabile. Anche in Scary Stories to Tell in the Dark c’è qualcosa di kinghiano. Nell’affermazione iniziale sul potere taumaturgico dei racconti scritti e orali, infatti, è impossibile non ravvisare lo spettro dell’esergo che risucchia i lettori di IT nel mondo del Re del Maine: «Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste». Già in Troll Hunter e in Autopsy, André Ovredal andava alla ricerca dei segni invisibili inferti da mitologie arcaiche e archetipi culturali sul corpo del mondo contemporaneo. Il primo film – trasformatosi negli anni in un oggetto di culto per i fan hardcore – sfruttava la moda imperante del found footage e dello spettatore osservatore per raccontare la storia di una comunità di troll attraverso materiale video fatto pervenire in forma anonima alla redazione di un giornale norvegese; il secondo, invece, spostava l’ambientazione in un laboratorio per autopsie in cui il cadavere di una ragazza priva di identità riusciva a trascinare lo spettatore in uno stato semi-catatonico dove, gradualmente, tutto sembrava diventare possibile – anche gli eventi più inesplicabili attraverso la logica.
Dal frammento ritrovato al trap-movie dunque, mentre Scary Stories to Tell in the Dark compie un’ulteriore traslazione e abbraccia le atmosfere del teen-horror. Mill Valley è un’anonima cittadina della Pennsylvania, uguale a mille altre: genitori poco presenti, sceriffo poco arguto e scorbutico, distese di granturco e un drive-in dove i ragazzi vanno ad assaporare gustosi B-movie. Mill Valley, però, ha anche la sua personale casa stregata, una dimora che i proprietari dell’unica cartiera della città abbandonarono all’inizio del Novecento dopo il suicidio della loro bambina più piccola, Sarah, che tutti additavano come una strega. Adesso è il 1968, l’orrore viene dalla TV e dalla living room war, e Halloween è alle porte. Braccati dal teppistello locale, tre adolescenti si rifugiano proprio nella magione disabitata che, a distanza di tempo, continua ad essere scossa dal fremito dei suoi fantasmi.
Il film di Ovredal fa parte del sottogenere che ha fatto della codificazione degli elementi ricorrenti legati alla nostalgia, ai piaceri citazionisti, alla rivisitazione del passato e alla costruzione di un’identità generazionale il proprio pilastro fondativo. Il luogo della mitologia eighties, però, viene spostato alla fine degli anni ’60: sulle pareti delle stanze dei tre adolescenti protagonisti campeggiano i poster di Vincent Price, la loro fuga si conclude in un drive-in che sta proiettando La notte dei morti viventi di Romero e la protagonista conosce a memoria tutte le battute del film. Tuttavia, a differenza che in Piccoli Brividi, l’obiettivo del regista non è quello di costruire una sorta di luna park dell’immaginario cinematografico horror quanto quello di sfruttare il corpo della mitologia horror per effettuarne un’autopsia e scorgerne eventuali segreti sottocutanei.
Stella e i suoi amici non incarnano un piacere nostalgico né, tanto meno, si muovono in un’epoca che viene rappresentata come fosse l’ultimo Eden americano anzi, tutt’altro. Il loro reale porta i segni di un Male ancestrale che innerva ogni tessuto della contemporaneità, infetta le immagini televisive e incombe anche sul futuro. Nel puro stile di Guillermo del Toro – che è sceneggiatore e produttore del film – e attraverso una serie di racconti fantastici, Ovredal porta in scena i traumi personali che sconvolgono le nostre storie, piccoli eroi in «(…) un meccanismo perfetto e bilanciato di voci ed echi che fanno da rotelle e leve, onirico orologio che rintocca oltre il vetro degli arcani che chiamiamo vita. Oltre? Sotto? Intorno? Caos, tempeste. Uomini con martelli, uomini con coltelli, uomini con pistole. Donne che pervertono ciò che non possono dominare e denigrano ciò che non possono capire. Un universo di orrore e smarrimento circonda un palcoscenico illuminato sul quale noi mortali danziamo per sfidare le tenebre» (Stephen King, 22/11/63).
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