
Normal People – La bellezza della normalità nella serie da Sally Rooney
«Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano» cantava Antonello Venditti in una strofa quanto mai abusata negli ultimi anni di Amici Mai. Eppure, non c’è frase migliore per riassumere l’intensità e la normale tenerezza che investe il legame tra Marianne e Connell in Normal People, serie ispirata al best-seller di Sally Rooney (edito in Italia da Einaudi). La bellezza di questa opera televisiva nata da una co-produzione tra Hulu e BBC, è tutta da ritrovarsi nella portata empatica, semplice e facilmente condivisibile che l’aggettivo “normali” promette nel titolo. Già, perché è nel semplice e normale scaturire di un amore destinato a perdersi, ritrovarsi, appassire per poi rifiorire in una palingenesi continua, che risiede la straordinarietà di una serie come Normal People (disponibile sulla piattaforma StarzPlay). Uno sguardo intimo, ma mai inopportuno, su quella che, da relazione privata, si eleva a legame universale, capace di parlare una lingua a tutti comprensibile e condivisibile, fatta di lacrime che scorrono su visi arrossati, sguardi bassi e timidi, baci rubati e altri mai dati.
Ed è proprio negli occhi di chi è impossibilitato a sopprimere il martellante battito del cuore, che il regista Lenny Abrahamson gioca i primi minuti della serie. Un’apertura di sipario su una sincerità emotiva che sgorga inesorabile, mentre il dolce tocco della direttrice della fotografia Suzie Lavelle fa il resto, donando colore e forma a sentimenti e pensieri confinati nella sfera del “non detto”. Corpi mutilati, assemblaggi di dettagli e primissimi piani; è nelle piccole cose, toccate o sfiorate dal proprio amato, che si sente battere il cuore di Normal People. È un’atmosfera sospesa, evanescente, quella che avvolge il mondo di Connell e Marianne nei primi episodi. Un velo di complice intimità, generato al ritmo di una passione che inizia a bruciare, e di un petto che si gonfia di ansia e timore non appena le spalle si girano, e l’assenza viene colmata dal ricordo.
Perché non c’è nulla di ostentato, o straordinario in Normal People. È una giostra dell’ordinarietà che trascina il proprio pubblico nella sua folle corsa, dialogando con fantasmi di un passato sigillato in cassetti mnemonici, e riesumando frammenti di amori perduti, o mai nati. Recuperando quella delicatezza già ampiamente apprezzata in Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, perfino le scene di sesso si svestono di erotismo per abbracciare l’eleganza della passione nella sua più umana disperazione. I corpi che si avvicinano, si studiano, per poi disperatamente unirsi, segnano l’inizio di un legame pronto a tessersi bacio dopo bacio, abbraccio dopo abbraccio. L’ansimare dei due protagonisti è un’unione di anime che prima Abrahamson, e poi Hettie MacDonald riescono a cogliere e restituire al proprio pubblico.
L’adrenalina e il desiderio che si impossessano dei due giovani protagonisti, sono resi tangibili in un abbraccio tattile da una regia dinamica, un montaggio serrato fatto di scavalcamenti di campo e passaggi improvvisi da piani lunghi, a riprese ristrettissime. Il tutto impreziosito da una colonna sonora enfatizzante ogni singolo momento e più impercettibile cambiamento di umore.
I due registi non si lasciano incantare dalla facilità di realizzazione che una trasposizione in carta carbone del testo di Sally Rooney (qui anche sceneggiatrice delle prime puntate) avrebbe consentito. Intenso, scorrevole e realisticamente coinvolgente grazie a quella normalità promessa e poi raccontata, il best-seller di Sally Rooney rientra perfettamente tra i confini di un genere senza per questo aggiungere nulla di più di quanto già fatto in precedenza da altri autori. Senza tradire le pagine del testo di origine, Abrahamson e MacDonald preferiscono piuttosto nuotare tra le onde impetuose di una quotidianità ordinaria, al fine di consegnare a questo mondo sommerso di chiamate notturne e corpi che si allontanano per poi ritrovarsi come calamite, un cuore che batte.
I registi, coadiuvati da un cast tecnico e attoriale di altissimo livello, rifuggono dal melenso sentimentalismo per ricercare la verità nascosta e la purezza degli animi rinchiusa tra gli interstizi di silenzi timidi, o abbracci negati. Tra la regia di Bertolucci e quella di Antonioni, Abrahamson lascia che i protagonisti superino il suo obiettivo cinematografico per poi inseguirli nella loro routine giornaliera, tra libri da leggere e feste a cui partecipare. In questo dialogo intimo tra due parti che non sempre si comprendono, il regista lascia che sia solo lo spettatore a farsi testimone del microuniverso che Connell e Marianne stanno creando. Un mondo accessibile solo a loro, sorretto dalla potenza degli sguardi e di cenni invisibili ma carichi di emozioni.
Dal canto loro, Paul Mescal e Daisy Edgar-Jones non si limitano al mero ruolo di “presta-corpi” di personaggi letterari. I due entrano tra le pagine di Sally Rooney, scrutano ogni minimo spazio lasciato vuoto tra le parole, per poi avvolgersi e nutrirsi di quell’inchiostro che ha dato vita sulla carta a Marianne e Connell. Non solo ponti attoriali che rendono visibili – e per questo illusoriamente reali – i due giovani amanti, Mescal ed Edgar-Jones si svestono della propria identità per abbracciare quella dei loro alter-ego finzionali. Ciò che ne consegue è una performance maestosa e in sottrazione, capace di adattarsi agli umori che si vivono sulla scena e agli eventi che sconvolgono – nel bene e nel male – la vita dei due protagonisti.
I due attori vivono sullo schermo in inquadrature frammentarie, che fanno a pezzi i loro corpi, assemblati successivamente solo dallo sguardo dell’amato. Perché l’interezza di corpi immortalati da totali, o piani americani, è solo apparente. Marianne e Connell presi singolarmente e lontani l’uno dall’altra, vagano come manichini senza anima. Imperfetti, interiormente scheggiati, i due si riappropriano della loro umanità solo quando si ritrovano di nuovo vicini, e lo sguardo dell’uno può perdersi in quello dell’altra.
Ed è in questo minimalismo di mezzi e di regia che tutto converge verso la più semplice e apprezzabile normalità. La normalità di persone normali.
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[…] Sguardi che si cercano, silenzi imbarazzati, conversazioni impacciate. Connell vuole Marienne, ma non ne è sicuro, come tutto nella sua vita. Marienne vuole Connell, ma non sa se può bastargli, come tutto nella sua vita. L’adolescenza e i vent’anni attraversati dall’unica certezza di due corpi che si bramano tra le lenzuola sudate. E la generazione millennial ebbe il suo romantic drama definitivo.BBC e Hulu uniscono le forze per portare a schermo l’adattamento del secondo romanzo di Sally Rooney, giovane fenomeno editoriale, qua anche in veste di sceneggiatrice. Al rodato regista indie Lenny Abrahamson (Frank, Room) il compito di inquadrare una Irlanda a metà tra il calore di un filtro Instagram e la fredda incomunicabilità dei suoi protagonisti, due genietti di estrazioni diverse che collidono nel comune disagio della ricerca di una apparente normalità.Dodici capitoli da mezz’ora a comporre il mosaico di una storia d’amore che parte dalla fine delle superiori per arrivare alla conclusione dell’università. Ogni episodio riparte dal precedente con una ellissi temporale ancora più forte, la stessa violenza con cui Connell e Marienne si lasciano per poi ritrovarsi bruscamente. Ed è incredibile come Normal People raggiunga l’universalità del loro sentimento proprio attraverso queste distanze, nella messa in scena del travolgente desiderio dell’uno per l’altro che le attraversa. Di Mattia Napoli. Qui la recensione alla serie. […]
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