
Il cinema visionario di Satoshi Kon – Sull’antologia di critica pubblicata da Mimesis
Regista, sceneggiatore, animatore, character designer, mangaka: a partire da questo elenco di vesti fluide, intermediali e interconnesse, si possono immaginare i contorni dell’attività artistica di uno degli autori più rilevanti del cinema d’animazione giapponese degli anni Novanta e Duemila. Prima della sua precoce dipartita, Satoshi Kon ha infatti tracciato una delle parabole più originali e multiformi del panorama dell’animazione – ed è alla sua figura che nel 2021 Mimesis Edizioni ha dedicato un volume antologico di contributi critici, rinnovando il carnet di interventi che aveva pubblicato più di dieci anni prima. Dalla prefazione di Marco Müller – critico e produttore che aveva veicolato la partecipazione di Paprika al Festival di Venezia del 2006 – si dipana il filo di un discorso collettivo, arricchito dalla coabitazione di punti di vista che si incontrano in corrispondenza dei principali vertici di senso.

Satoshi Kon – Il cinema visionario di uno dei più eccentrici protagonisti dell’animazione giapponese (a cura di Andrea Fontana e Enrico Azzano, Mimesis Edizioni, 2021, 354 pagine) raccoglie più di venti interventi critici di breve estensione, raccordati fra loro secondo una struttura tripartita che obbliga ciascun testo a relazionarsi dialetticamente con gli altri per mezzo di contatti tematici e/o formali. La prima sezione (“L’opera”) riunisce suggestioni e analisi puntuali riguardo i prodotti audiovisivi di matrice koniana, partendo da Perfect Blue fino a giungere all’irrealizzato Dreaming Machine, non senza aver dedicato un apposito spazio alla serie televisiva Paranoia Agent; su questo scheletro d’informazioni si innesta poi la seconda sezione (“Approfondimenti”), che si concentra invece sugli aspetti collaterali dell’attività di Kon in campo mediale – e allarga l’orizzonte degli argomenti trattati, fornendo precisazioni e chiavi di lettura che orientano il focus dell’analisi in direzioni eterogenee ma complementari.
È dal rapporto dialettico fra queste prime due sezioni e dal loro hegeliano superamento che deriva la terza sezione (“Testimonianze”), decisamente più breve delle precedenti, che abbandona il linguaggio strettamente cinematografico per lasciar trasparire un elemento estraneo al tecnicismo dell’occhio critico – vale a dire il sentimento umano che ha legato alcuni professionisti del settore all’opera koniana.

Quella che a un primo sguardo potrebbe sembrare un’impalcatura schematica si rivela, in realtà, un ipertesto comunicante molto funzionale. Nel corso della lettura si verificano da un saggio all’altro costanti migrazioni di senso e contenuto, che sollecitano nel lettore una fruizione policentrica e orizzontale degli interventi. Ciò che deriva da questa intercomunicabilità dei testi è la creazione da parte del lettore di mappe sovrapposte, che unendosi agiscono su un piano tridimensionale nel creare un simulacro della figura artistica e umana di Kon – evidenziandone non soltanto la visione artistico-ideologica in sé, ma anche l’influenza che questa ha ottenuto nel corso degli anni su cineasti occidentali di chiara fama (Nolan e Aronofsky su tutti). A risultare particolarmente interessante, inoltre, è la documentazione della ragnatela di collaborazioni e rapporti intellettuali che il Kon mangaka, sceneggiatore e regista ha sviluppato nel corso degli anni; nomi come Katsuhiro Ōtomo e Mamoru Oshii rappresentano, paradossalmente, solo la superficie di un gigantesco formichiere che lascia confluire in vasi comunicanti idee, progetti e aspirazioni comuni a molti artisti e studi di animazione del Sol Levante – a partire dalla Madhouse, alla quale Kon era molto legato.

Inanellati fra loro senza soluzione di continuità, i temi centrali dell’opus koniana sembrano raccogliersi autonomamente secondo il principio di un binarismo dialettico. Veglia e sogno, illusione e realtà, determinazione e indeterminazione identitaria rappresentano i più eminenti fulcri d’indagine artistica del regista; allo stesso tempo, però, rispondono all’esigenza di Kon di rielaborare ed esorcizzare le inquietudini che erano derivate dall’instabilità sociale, politica ed economica del Giappone del “decennio perduto” (ushinawareta jūnen, 1991-2000). A questa complessa sovrapposizione di intenti non poteva che aggiungersi la volontà di mantenere un importante canale di comunicazione metadiscorsivo fra il suo cinema e il Cinema in senso lato: in quest’ottica risultano di particolare interesse le riflessioni che il volume curato da Fontana e Azzano dedica a ciascun anime – dalla girandola multi-genere rappresentata da Millennium Actress, che ripercorre le tendenze popolari del cinema popolare giapponese del Novecento, alle incursioni dedicate alla “macchina dei sogni” (e quindi alla macchina-cinema) in Paprika.
La sensazione è che questa antologia sia riuscita nell’intento di occupare uno spazio inspiegabilmente vacante, rimediando alla paranormale assenza di un cospicuo studio critico (italiano) dedicato a un autore versatile come Kon – che, oltre a essere riconosciuto a livello mondiale sia nelle vesti di mangaka che in quelle di regista, ha inciso in maniera evidente sulle successive esplorazioni tematiche dell’animazione orientale. D’altra parte, la fruizione globalizzata dei prodotti autoriali dell’animazione nipponica non è più considerabile una novità; il tentativo di Mimesis Edizioni di favorire l’entrata di questa macrocategoria all’interno del dibattito cinematografico dominante – ribadendo, a distanza di più di dieci anni dalla prima pubblicazione, l’interesse nei confronti di Kon – diventa allora l’emblema di un approccio moderno e in linea con lo spirito del tempo al mondo audiovisivo contemporaneo.
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