
L’amore a domicilio – La semplicità di amare
L’amore a domicilio (regia di Emiliano Corapi, disponibile su Amazon Prime Video) è un po’ come un piatto di pasta al sugo. Senza pretese e slanci virtuosistici, arriva al cuore dello spettatore cullandolo nella sua adorabile semplicità. È un piccolo mondo fatto di attenzioni. Un kammerspiel contemporaneo in cui, per uno strano gioco del destino dovuto al lockdown, lo spettatore riesce a immedesimarsi ancor più nella storia narrata e la voglia di fare di Anna (Miriam Leone). Una casualità che rende ancor più umano e grazioso questo piccolo gioiellino made in Italy, dove il minimalismo registico, e l’aderenza degli attori ai propri personaggi, offre una commedia sincera, narrativamente scorrevole (nonostante la presenza di qualche intoppo a metà film) ed esteticamente attrattiva, sviluppata al ritmo dei battiti cardiaci di coloro che hanno paura di amare e di rischiare.
Al centro di L’amore a domicilio c’è Renato, un giovane assicuratore timido e impacciato, che una mattina incontra Anna, bella e sicura di sé. Tra i due scatta qualcosa, non una scintilla, bensì un incendio passionale, talmente potente che nemmeno la notizia che la ragazza è agli arresti domiciliari per rapina a mano armata riuscirà a estinguere. Quella vita piatta, fatta di contratti da firmare e serate al tavolo con papà, si tramuta in una giostra lanciata a mille sul filo dell’eccitazione e della paura per cose nuove mai fatte e mai provate. Il tutto vissuto tra le quattro mura di un appartamento nel centro di Roma. Un legame talmente forte, il loro, costruito giorno dopo giorno, che spingerà Renato a sostituirsi ad Anna nel corso di una rapina organizzata dall’ex di lei, Franco, pur di tenerla fuori dai guai. Dopotutto, come ci ricorda Dante, «amor ch’a nulla amato amor perdona».
È una storia di due cuori solitari, L’amore a domicilio. Due anime che fuori dal loro microcosmo personale hanno imparato ad accettare i compromessi della vita in maniera tanto diametralmente opposta, quanto sorprendentemente simile. Accondiscendente lui, ribelle lei: se è vero che gli opposti si attraggono, sussiste in entrambi il desiderio inconscio di vivere la propria esistenza chiusi nel proprio bozzolo, vicini e allo stesso tempo lontani dagli altri. Bruchi nell’attesa di diventare farfalle, quella di Renato e Anna è una solitudine silenziosa, celata, che il regista rende visibile attraverso primi piani che impediscono a terze parti di entrare nel campo di azione dei suoi protagonisti, giovani incapaci di condividere appieno con gli altri le proprie gioie e insicurezze. Un muro pronto a crollare, il loro, non appena gli occhi dell’uno incontreranno quelli dell’altra. È un puzzle perfettamente completato il film di Corapi, un assemblaggio armonico in cui ogni piccola tessera entra in gioco per rafforzare la potenza di quella a lei vicina. E così la componente narrativa viene esaltata da una fotografia cangiante e mutevole, capace di giocare con i suoi toni accesi per tradurre visivamente ogni minimo cambio di umore. Allo stesso tempo, la colonna sonora amplifica i sentimenti dei protagonisti, mentre la macchina da presa si ancora ai propri personaggi, li segue senza distaccarsene mai, così da indagarli a dovuta distanza, carpendo segreti ed emozioni che per istinto i due tengono chiusi dentro di loro.
Per quanto semplici, le personalità portate in scena da Corapi non sono altro che una coppia speculare di cuori puri che vivono nell’attesa di un netto cambiamento. Bastano poche inquadrature e poche parole per comprendere la psicologia di Renato e Anna. Una facilità di lettura resa possibile anche dall’abilità dei due interpreti di rendere reali e umanamente imperfetti quei corpi intangibili impressi dalla sceneggiatura. In ogni movimento, o minimo sguardo di Simone Liberati, si coglie l’insicurezza e la goffaggine di Renato. È nella prossemica e nella postura di Miriam Leone, fatta perlopiù di braccia conserte e di schiene rivolte al proprio interlocutore, che si nasconde la carenza di affetto travestita da indipendenza e spinta anarcoide di Anna. L’attrice (futura Eva Kant per i Manetti Bros in Diabolik) si dona al proprio personaggio, traducendo ogni sguardo e piccolo gesto in un “non-detto” che nasce dal cuore di Anna, permettendo così al proprio spettatore di cogliere il sottile substrato umorale delle parole, dette o solo pensate.
Con semplicità e talento, Corapi riesce non solo a maneggiare generi diversi, ma anche e soprattutto a dar vita a una coppia verosimile, perfettamente calata nella nostra quotidianità, e la cui aspirazione a una complementarietà da Ying e Yang tramuta l’intreccio di L’amore a domicilio in un contrasto intrigante, tra un ragazzo che preferisce perdere le gioie tanto agognate per la paura di dover gestire la sua felicità, e una ragazza solitaria e riluttante, che poco per volta scopre l’empatia e l’affetto. Eppure, è proprio nel momento di maggior climax che si percepisce il colpo di una frenata. Con l’arrivo di Franco, e l’organizzazione della rapina, l’abilità di racconto e di sintesi trova nel suo primo momento di svolta un intoppo che rischia di mandare all’aria tutto quanto costruito poco prima. Da questo momento il film diventa un castello di carta fragile ed esposto a mille ostacoli, pronto a cedere sotto il peso di un rischio creativo che fortunatamente non viene mai preso. Corapi decide di non strafare, di giocare di semplicità, perché è nelle cose semplici che si ritrova il gusto della bellezza. Proprio come cucinare un buon piatto di pasta al sugo.
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