
A proposito di Oscar Isaac – Ritratto di una stella
C’è qualcosa di magnetico nello sguardo di Oscar Isaac. I suoi occhi neri sono un oceano buio da cui richiamare creature tenute nascoste tra le onde della fantasia. Uomini, politici, criminali, cantanti, scienziati e ribelli. Da quel pozzo senza fondo prendono forma e corpo le mille sfaccettature dell’essere umano, e lo fanno con uno sguardo, un tic, un cambiamento estetico. Piccoli accorgimenti, simboli di un nuovo carattere da plasmare, far proprio, crescere con la forza della propria immaginazione e da cui farsi impossessare. Sulla scena Oscar Isaac diventa “presta-corpo” di anime vaganti tra le pagine di sceneggiature volanti. Le sue mani, i suoi movimenti a volte un po’ impacciati, la profondità dei suoi sguardi si tramutano in portatori corporei di emozioni, sentimenti, paure di uomini ora fragili, adesso megalomani.
Nato il 9 marzo del 1979 a Città del Guatemala, Oscar Isaac (all’anagrafe Óscar Isaac Hernández Estrada) dopo il diploma alla prestigiosa Julliard School e vari ruoli secondari, vede la propria carriera prendere il via nei panni di Giuseppe in Nativity, film del 2006 ispirato alla vita di Gesù. Quelli che seguiranno saranno anni in cui la santità del proprio personaggio biblico lascerà spazio a lati oscuri dell’animo umano (è il Principe Giovanni in Robin Hood di Ridley Scott, e Blue Jones in Sucker Punch di Zack Snyder), a sprazzi di introspezione emotiva giocata tra il susseguirsi di numerosi biopic (W.E di Madonna, Che – L’argentino, Agorà, Bilbao). Poi eccola, la chitarra di Llewyn Davis, e tutto nella vita di Oscar Isaac cambierà musica.
FRATELLI SCEMI E MALINCONICI DI RE MIDA
Era il 2013 quando sugli schermi di tutto il mondo arriva il nuovo film dei fratelli Coen, A proposito di Davis. Il film scorre sulle note malinconiche di Llewyn Davis, musicista di talento, sopraffatto da sensi di colpa e tendenze autodistruttive, che vive sui divani di altri ricercando negli occhi di amici e sconosciuti lo stesso vuoto in cui lui stesso sta precipitando. Isaac dà vita e voce a uno dei personaggi più saturnini e sublimemente attrattivi nati dalla cinepresa dei Coen. Fragile e rude, il Llewyn Davis di Isaac è erede legittimo di Barton Fink o Larry Gopnik. Si aggira nell’arco di una settimana sull’ombroso palcoscenico della vita alla ricerca di un faro che lo illumini segnandone il cammino. È una spirale malinconica quella che avvolge il protagonista nel proprio limbo esistenziale, mentre la corrente musicale lo trasporterà al largo, tra fumi di spazi stretti, claustrofobici, il tutto infarcito da incontri buffi e grotteschi; e intanto eccole in sottofondo le corde della chitarra di Davis che suonano eleganti il proprio canto del cigno.
GOODBYE AMERICA: SHOW ME A HERO & 1981: INDAGINE A NEW YORK
L’introspezione offerta dall’attore nel film dei Coen non era altro che una prova generale di altre interpretazioni, sempre giocate sul filo teso della fragile paura e dell’incapacità di credere in se stessi. Quelle di 1981: Indagine a New York e Show Me A Hero sono infatti performance legate da un fil-rouge di umana fragilità. Grazie all’intensa interpretazione anche due facce opposte, come quella della corruzione e della fedeltà al proprio Paese, trovano un punto di incontro, un senso di precario equilibrio in cui la distinzione tra “buoni” e “cattivi” si scioglie come neve al sole. Abel Morales nel film di J.C. Chandor tenta di compiere la propria ascesa sociale in silenzio, costantemente in punta di piedi. Auto-convincendosi di tenere disinfettata la propria morale, lascia che a sporcarsi le mani siano gli altri. È la moglie la sua Lady Macbeth che amministra i bilanci frodando il fisco. Chiuso nella sua ingenua bolla di legalità e pulizia pronta a scoppiare, Abel vive nell’apparenza di vivere nel giusto, facendosi nemico di uomini che ancora credono alla legalità e alla giustizia.
Uomini come Nick Wasicsko, il neo eletto Sindaco nella mini-serie Show Me A Hero. Il personaggio interpretato da Isaac scova negli antri della psicologia e sensibilità umana partendo dal raffronto di una grave crisi dovuta al decreto federale che ordina la costruzione di case popolari nella parte dove risiede la “middle-class” della città. Una decisione, questa, generante disordini, tensioni e scontri razziali. Il Wasicsko di Oscar Isaac si fa dunque portavoce e allo stesso tempo oppositore di un’America che ha perduto la Stella Polare del proprio American Dream. Quella qui rappresentata è una comunità in mise en abyme di un paese che ha smarito gli ideali alla base della propria democrazia. L’uguaglianza, la fraternità, la libertà di pensiero e parola, diventano ora concetti fermati sulla carta e persi lungo il sentiero della vita, scacciati da rabbia, razzismo ed egoismo. Con carisma e padronanza interpretativa, Oscar Isaac non intende fare del proprio Nick Wasicsko – soprattutto nelle battute iniziali della serie – l’eroe a cui il titolo vuole alludere. Giovane e ambizioso, il suo personaggio cavalca l’onda del successo, sospinto dalla forza trainante del malcontento generale. Ed è tra gli interstizi di questo gioco di potere, di umanità e narcisismo, che Isaac dà vita a entrambi i lati di una stessa medaglia. Il suo è un satellite che ruota attorno all’asse dello spettatore rivelando entrambe le proprie facce, da quella più brillante a quella più oscura, mostrando (ed è qui che si ritrova il senso dell’imperativo “show me” del titolo) le fasi cruciali di un’amministrazione dettata a far dialogare voci opposte e dissonanti, anche a costo della propria e altrui vita.
APOCALISSE STELLARE E MACCHINE DA ANNIENTAMENTO
Probabilmente lui stesso ne era a conoscenza, ma una volta indossati i panni di Poe Dameron per Oscar Isaac nulla sarebbe stato come prima. Viaggiare tra i confini della galassia lontana lontana di Star Wars lo avrebbe reso una stella fulgida, splendente, pronta a brillare di talento proprio. Quello affidatogli nel corso della terza e ultima trilogia della saga più conosciuta al mondo, corrisponde alla quota ironica e scanzonata di tutti e tre i recenti episodi. Aiutante, inguaribile ottimista e ribelle fino al midollo, il Poe Dameron di Oscar Isaac è uno dei personaggi meglio tratteggiati e riusciti di questo epilogo seriale. Non può dirsi altrimenti del suo titanico villain di X-Men: Apocalypse. Lui, attore dai mille volti, strabiliante interprete, ha forse sentito (letteralmente) il peso dell’involucro di Apocalypse, rimanendone in un qualche modo bloccato. Movimenti e carica espressiva sembrano attenuati da quel costume, dal pesante trucco e forse anche dall’alterazione vocale, limitando l’attore e le sue capacità interpretative. Sono pochi e sporadici i momenti in cui è riuscito a liberarsi da quella soffocante crisalide, lasciando volare il proprio talento. Si trattano di piccoli bagliori dalla carica disumana, che hanno permesso ad Isaac di distaccarsi dal peso del personaggio e schiacciare con la forza di un solo sguardo, o di un piccolo gesto, chiunque lo circondasse, proprio come Apocalypse fa con l’inerme Xavier, dominando la scena.
Ma l’apice della costruzione attanziale, fatta di studio, ricerche, viaggi tra le pieghe dell’inconscio e dell’atavica paura del diverso e del superomismo dominante, Oscar Isaac lo riesce ad agguantare grazie alla collaborazione con il regista e sceneggiatore Alex Garland. Ex-Machina e Annientamento sono duali perfetti e intercambiabili di un saggio stoico e denunciatore del desiderio autodistruttivo e divinatorio dell’uomo. L’essere umano che auspica di superare i confini dello spazio-tempo, della morte e della natura è un tratto accomunante tutta l’opera di Garland. Una cifra autoriale che ora si fa materiale visivo e narrativo grazie ai due film con co-protagonista Oscar Isaac. I personaggi dei due film sono per Garland opposti e vittime sacrificali di un monito all’umanità: lo scienziato Nathan, dottor Frankenstein dei nostri tempi, deciso a sostituirsi a Dio nella sua creazione di automi dall’aspetto umano, e il marine Kane, testimone e vittima (re)duplicante di una natura che più che essere un Eden paradisiaco, vive semmai di retaggi infernali da laboratorio sperimentale di mutazione genetica. L’attore si fa perfetto cantore dell’ermetismo stilistico e perturbante bellezza estetica del suo regista, burattinaio di universi dicotomici, così vicini e allo stesso tempo così distanti a quelli a cui apparteniamo.
OSCAR MINORI
Fuori dagli schemi, prigionieri della propria fantasia o dei fantasmi del passato, amanti, sognatori: sono le interpretazioni di un Oscar Isaac minore, non perché deludente o poco in parte, ma perché inserito all’interno di un contesto filmico non del tutto sfruttato, o pienamente compreso. Sebbene relegato a un limitato minutaggio, il Paul Gauguin di Isaac in Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Julian Schnabel è una tessera imprescindibile di un puzzle di intensa poeticità. Come in un quadro dell’artista protagonista, nessun elemento è sacrificabile, ma utile a donare uno sguardo intimo sull’animo scheggiato, bistrattato e abbandonato di Van Gogh, qui meravigliosamente interpretato da Willem Dafoe. Galleria di primissimi piani, illuminati da una tavolozza cromatica simile a quella impiegata dal pittore, il film non è riuscito a inserirsi nell’immaginario spettatoriale come avrebbe dovuto, ricavandosi un piccolo spazio tra gli amanti del cinema più ricercato. Operation Finale è invece un prodotto destinato al consumo di massa. Disponibile su Netflix, il film è una caccia ai nazisti capitanata dal personaggio Peter Malkin. Opera sul passato, il film fonda le proprie basi sul libro di memorie firmato dallo stesso Malkin e intitolato Nelle mie mani, in cui si racconta l’incontro dell’uomo con il gerarca nazista Eichmann. Un corpo a corpo giocato a suon di parole, in cui – sebbene il risultato finale non eccella in termini di qualità registica e filmica – dona allo spettatore la possibilità di assistere a una sfida dialogica condotta da attori versatili e introspettivi tra cui Ben Kingsley.
La vita in un attimo e Triple Frontier sono i chiari esempi di un attore dal talento febbrile, posto al servizio di film alquanto limitati nel loro percorso narrativo da blocchi continui che si infrappongono tra loro e lo spettatore. Giochi a incastro, o bombe a orologeria, entrambe le pellicole vedono il personaggio interpretato da Oscar Isaac come Deus Ex Machina e miccia d’accensione di una macchina narrativa-cinematografica un po’ singhiozzante. Ma essere un grande attore, possedere una versatilità vulcanica a volte non basta. Ed ecco che i film di Dan Fogelman e J. C. Chandor si tramutano in passaggi a livelli nella carriera di Oscar Isaac presso cui arrestarsi, prendere fiato, e ripartire più veloce che mai, verso un futuro in ascesa ancora tutto da scrivere.
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[…] a frequentare la sua casa prendendosi anche cura del figlio -, nel momento in cui compare Standard (Oscar Isaac), marito di Irene che finisce di scontare la sua pena in carcere, la storia inizia a infittirsi e […]