
Lino Guanciale – Teatro, televisione e impegno sociale
In collaborazione con Luca Ieranò
Lino Guanciale, classe ’79, diplomato all’Accademia di Arte drammatica Silvio D’Amico di Roma, deve il suo successo e riconoscimento presso il grande pubblico soprattutto al coinvolgimento in diverse serie televisive italiane di produzione RAI, le quali, tradizionalmente, mai sono state celebrate o conosciute per il talento attoriale dei protagonisti: al contrario, spesso tendono a opacizzare il prestigio di chi si forma e lavora in teatro o al cinema, contesti ritenuti più “nobili” e rilevanti. Questa categoria di giudizio non è sempre valida, anzi, specialmente in tempi recenti si è dimostrata fallace: il caso di Guanciale ne è un esempio. Il coinvolgimento in prodotti televisivi non deve pregiudizialmente condizionare la valutazione sulla capacità dell’attore.
Osservando Lino Guanciale a teatro risultano evidenti le sue qualità attoriali così come la sua capacità di reggere il palco con potenza e precisione; ne è riprova la recente assegnazione all’attore del Premio ANCT e del Premio Ubu come migliore attore nella stagione teatrale 2018/2019 per il suo ruolo nello spettacolo La classe operaia va in paradiso. Progetto, questo, particolarmente interessante: nato proprio dall’iniziativa di Guanciale, con la riscrittura di Paolo Di Paolo e la regia di Claudio Longhi, lo spettacolo si propone di rielaborare l’opera cinematografica di Petri fornendo in controluce un’immagine della contemporanea precarietà lavorativa. A colpire è stata proprio l’abilità attoriale, vocale e fisica, di Lino Guanciale, capace di omaggiare e ispirarsi a Gian Maria Volontè senza farsi fagocitare dalla sua ingombrante memoria.
Ulteriore nota di merito, ben visibile sulla scena come fuori, è la visione corale e collettiva che Guanciale dimostra di avere del Teatro: gli è spesso riconosciuta infatti la capacità di ricoprire il ruolo protagonista senza guastare gli equilibri della scena, senza diventare il primo attore-mattatore che confina gli altri personaggi ai margini della rappresentazione. Ed è in virtù di questa fiducia nella sinergia tra più individui, nata per sua stessa ammissione probabilmente durante l’esperienza rugbistica, che l’attore ha deciso di dedicare il Premio Ubu a tutti coloro che hanno contribuito all’obiettivo comune della messa in scena. Non passano, in ogni caso, in secondo piano i meriti individuali, sintetizzati nella motivazione per l’assegnazione del Premio ANCT: «Il percorso di lavoro d’attore perseguito da Lino Guanciale nel corso di quello che possiamo definire “un permanente apprendistato” di artigianato teatrale, coltivato con intelligenza e determinazione e che l’ha portato a raggiungere esiti scenici di sempre più efficace e variegata maturità espressiva – del corpo come della voce – e a misurarsi in modo particolare con testi della contemporaneità e con linguaggi della scena diversificati, ne fa il rappresentante più dinamico e stupefacente della sua generazione». Il ruolo di Lulù Massa non è un’eccezione. Altrettanto si può dire dei suoi altri spettacoli.
In After Miss Julie, regia di Giampiero Solari, veste i panni di Gianni, vittima e carnefice della sua padrona; lo fa egregiamente, mettendo in luce le varie ambiguità di un personaggio ora deciso, ora titubante, all’occorrenza violento, o romantico, o spietato, il cui febbrile andamento del pensiero si manifesta in un misuratissimo utilizzo di toni, pose e ritmi. Non da meno è stata la sua incisività performativa come narratore della borgata romana in Ragazzi di vita di Massimo Popolizio: che sia un lettore dell’opera pasoliniana o la voce incarnata di Pasolini stesso, Guanciale riesce a rendere materica la parola, incanalata in un corpo saldo, forte e in una voce dalla sfumatura dialettale che sembra sgorgare con un grande sforzo della memoria o dell’emozione.
È stato proprio Guanciale, in un’intervista per L’Adige.it a comparare e unire in un dittico i due spettacoli caratterizzati dalla marginalità e del vuoto di senso morale, tanto dell’epoca della narrazione originale, quanto della nostra di spettatori: da una parte troviamo la classe operaia, dall’altra i ragazzi di vita; pensare che quei contesti non siano stati riplasmati e metabolizzati dal nostro tempo sarebbe un imperdonabile errore da cui entrambe le rappresentazioni vogliono metterci in guardia.
Se osserviamo dunque il percorso che Guanciale sta compiendo sui palchi italiani, è impossibile non notare un fil rouge, una costante volontà di impegnarsi nel contesto a lui contemporaneo con un’attitudine intellettuale, e non vacuamente colta o citazionista, che lo porta a confrontarsi con le grandi menti e i grandi autori che sono stati al centro della cultura sociale delle scorse generazioni. Non pare così inaspettato quindi, sempre nell’intervista sopracitata, se Guanciale si schiera nettamente dalla parte degli immigrati e delle donne, dimostrando la sua voglia di scardinare atteggiamenti razzisti, discriminatori o improntati a vecchi stereotipi di virilità.
Una voglia, insomma, di dialettica, di confronto da recuperarsi in un Paese, a suo avviso, troppo vicino alla deriva del partito del leader, bisognoso di un lavoro attivo e fiducioso verso il cambiamento, verso una nuova impostazione sociale che abbia al centro la cultura vera, capace di rendere attivi e partecipi gli individui. Un bisogno di richiamo nei confronti dei temi più urgenti, dimostrata anche dal suo ruolo di testimonial dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che lo vedrà prossimamente in missione in Etiopia.
Lino Guanciale è un artista a tutto tondo, coinvolto e consapevole; in prima linea nelle questioni più attuali e in un teatro che vorrebbe conquistarsi una posizione rilevante nel tessuto sociale. Questa volontà non lo allontana però dal largo pubblico televisivo, il cui coinvolgimento va a rinsaldare l’efficacia dei suoi messaggi più importanti, garantendo anche nuovi spettatori a teatro. La versatilità recitativa si profila quindi come grande qualità, che riesce a rendere Guanciale un attore capace tanto di interessanti riflessioni, senza eccedere in paternalismi o retorica di bassa levatura, tanto di grande ironia e autoironia: basti pensare al cortometraggio Io sì, tu no di Sidney Sibilia, proiettato alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia. Qui la critica al precariato si fa infatti spigliata, leggera e comica, in accordo con lo stile del regista di Smetto quando voglio. A breve La classe operaia va in paradiso tornerà a girare l’Italia; per il resto, non c’è che da seguire Lino Guanciale nei suoi prossimi progetti, sperando che l’attualità diventi materia sempre più fondante del suo lavoro.
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Grazie! Bellissimo articolo, scritto molto bene!! 🙂
[…] dove non risulteranno più ignorati. Ad interpretare il figlio di una delle protagoniste vi è Lino Guanciale. Anche il delizioso Invisible di Thomas Scohy parla di invisibilità, ma nel senso letterale del […]