
Toy Story 4 – Oltre l’infinito
Gli ultimi anni di storia hollywoodiana ci hanno abituato al funzionamento dei franchise: non più di un paio d’anni tra un episodio e l’altro, cicli a trilogie e qualità discutibile quando si cerca di tirare troppo la corda con i racconti; la Diseny, in tutto questo, ha spesso dettato le regole, detenendo i diritti di alcuni dei principali franchise del panorama mediale internazionale. Eppure, al suo interno, la Pixar sembra poterle infrangere tutte: se già Gli Incredibili e Alla ricerca di Nemo hanno mostrato una dilatazione (c’è da dire, ben misurata) dei tempi di narrazione, il primo franchise Pixar, Toy Story, si mostra il massimo esempio di questa rottura degli schemi.
Nato agli albori dell’animazione digitale 3D e prodotto, in questo senso, pionieristico del nuovo cinema, Toy Story trova il suo inizio nel 1995, con un sequel quattro anni dopo. L’esplosione di mondi narrativi introdotti successivamente dalla Pixar fa attendere i fan ben undici anni per un terzo capitolo, Toy Story 3, da molti ritenuto l’ideale e maturo finale della saga dei giocattoli, andando a chiudere quel senso di trilogia completa che i primi due avevano iniziato, accompagnando fianco a fianco la crescita dei bambini che a metà anni ’90 avevano amato Woody, Buzz e tutti gli altri.
Seppur la produzione di merchandising non si fosse mai interrotta, rilanciando continuamente i giocattoli stessi protagonisti della saga sugli scaffali dei punti vendita Disney, in pochi si sarebbero aspettati l’annuncio di un quarto capitolo, mossa per molti azzardata, visto il risultato del terzo. Più volte rimandato, finalmente ha visto la luce alla fine del mese di giugno e, possiamo dirlo, ha dimostrato nuovamente che la Pixar può infrangere le regole e raccontare comunque ottime storie.
Avevamo lasciato i giocattoli tra le mani di una nuova bambina, pronti a prendersene cura e a farle vivere avventure fantastiche; ma i tempi cambiano, i giocattoli invecchiano (anche graficamente, come mostrano i dettagli sul corpo di Buzz) e “maturano”, mutando il loro ruolo da semplici compagni di gioco a veri e propri protettori della loro bambina, con l’obiettivo di accompagnarla durante la sua crescita.
Il film, infatti, si focalizza nuovamente sul personaggio di Woody, vero e proprio protagonista, mostrandoci un suo lato paterno non del tutto inedito, ma mai così intenso, forse per permettere una nuova immedesimazione da parte dei fan di sempre, ormai adulti. La trama viene orchestrata con morbida maestria, rilanciando comprimari altre volte dimenticati – Bo Peep è un’ottima risposta a quella necessità contemporanea di personaggi femminili tosti e indipendenti – e mostrando una freschezza comica sempre attuale – se il ritornello comico di Buzz è da subito esilarante, preparatevi a Bunny e Ducky!
Uno dei punti forti del film è, infatti, la presenza di eccezionali giocattoli secondari, che introducono tematiche delicate (con un certo sottotesto queer nemmeno troppo nascosto) e ci mostrano la capacità tutta Pixar di trovare del bene in qualsiasi personaggio: in questa pellicola la storia di ognuno è una storia di salvezza, in cui la parabola della crescita e dell’indipendenza trova un compimento più esplicito e consapevole. In questo, il nuovo giocattolo Forky (in Italia doppiato da Luca Laurenti) diventa metafora del riconoscersi negli altri, del capire il proprio posto senza perdere la propria individualità, perché tra la spazzatura e un giocattolo, la differenza è lo sguardo di un bambino.
Dal punto di vista tecnico, arrivato a ventiquattro anni di vita, il franchise, da pionieristico, si trasforma nel baluardo estetico dell’animazione digitale realistica, con immagini sempre più fluide, dettagliate, dimostrando che nella battaglia sul futuro dell’animazione, la Pixar abbandona il carro della sperimentazione (ormai dirottato da Spider-Man: un nuovo universo) per portare avanti uno stile nato e consolidato con i protagonisti del mondo dei giocattoli; in questo senso, è sintomatica l’assenza del tradizionale corto d’animazione a inizio film, normalmente palestra di sperimentazioni per il futuro della tecnica.
Questo quarto capitolo sembrerebbe davvero l’ultimo capitolo della saga, anche se l’imminente arrivo della piattaforma Diseny+ potrebbe regalarci una nuova vita seriale di alcuni dei protagonisti, come era già accaduto con la serie Buzz Lightyear da Comando Stellare, ipotesi lasciata aperta anche dal finale del film, al contempo un commovente saluto e un messaggio di autentica libertà.
Con questo capitolo la Pixar ha raggiunto quell'”oltre” sempre nominato da Buzz, rompendo le regole anche grazie a personalità che durante questi ventiquattro anni ci hanno lasciati, come Don Rickles e Adam Burke, cui il film è dedicato, o il nostro Fabrizio Frizzi, la cui assenza commuove, seppur il lavoro di Angelo Maggi su Woody resti quanto mai rispettoso.
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