
Under the silver lake – Il vagare contemporaneo
Forte del successo ottenuto con It Follows, David Robert Mitchell dimostrò con Under the silver lake una profonda fiducia nelle sue capacità di raccontare la paranoia contemporanea. L’it del suo horror precedente era infatti qualcosa che andava oltre la metafora delle malattie sessualmente trasmissibili. Si cercava, al contrario, di parlare del senso di ansia di un’intera generazione, smarrita in uno stato di minaccia costante. Su una tematica simile, ma con risultati molto differenti, poggia anche questa creatura misteriosa che è Under the silver lake.
Sorta di pastische pynchoniano, Under the silver lake è il viaggio grottesco di Sam (Andrew Garfield) nel cuore della Los Angeles contemporanea. Nella sua ricerca di Sarah (Riley Keough), una misteriosa vicina di casa scomparsa all’improvviso, si troverà a risolvere una cospirazione che coinvolge molteplici agenti, tra cui il re dei senza tetto, serial killer di cani e l’intero sistema della cultura pop. Quella di Sam è quindi un’indagine improvvisata, apparentemente sostenuta dalle suo desiderio sessuale e dalla sua ossessiva ricerca di codici nelle pubblicità e nei prodotti di consumo. Non sa di avvicinarsi sempre di più a un pericoloso segreto.

Under the silver lake è una pellicola che fa dell’elusione il suo punto di forza. La prima visione è sempre per tutti un’incessante giostra d’invenzioni filmiche una più grottesca dell’altra. Personaggi, ambientazioni, gli stessi movimenti della camera sono scelti deliberatamente per disorientare, per tradire qualsiasi aspettativa dello spettatore. Il tentativo è chiaramente simile a quello che Paul Thomas Anderson aveva raggiunto on Vizio di Forma, ma in questo caso Mitchell si pone l’obiettivo di tradurre il linguaggio pynchoniano in quello dell’epoca millennial post crisi del 2008.
Sam è infatti un personaggio apparentemente senza uno scopo, privo di un conflitto ben definito e di spirito nobile. Sembra vagare per Los Angeles spinto solo dalla voglia di fare sesso e – per una serie d’improbabili circostanze – ci riesce pure. Al di là di questo, solo la nostalgia per i film muti e la sua ossessione per i codici da decifrare contribuiscono a caratterizzare il personaggio. Senza un obiettivo e un’identità precisa, Sam è la rappresentazione di una generazione troppo confusa per essere rappresentabile. Una generazione che può fare solo quello che Sam fa all’inizio e alla fine del film: guardare. Ciò che cambia è solo la prospettiva.
Proprio per questo, tutti gli avvenimenti e i personaggi si mischiano e si confondono, e si fatica a trovare un perno in questa sorta di centrifuga. Da un lato, è proprio questo aspetto a nutrire il fascino del film, ma allo stesso tempo ne riduce le potenzialità. Mitchell fin da subito condisce questo neo-noir losangelino con i più svariati ingredienti: rimandi al cinema classico (Come sposare un milionario), ai fumetti underground, al grunge, fino al mistero in pieno stile Hitchcock (un pedinamento alla Vertigo) e Lynch. Questa America così incoerente – dove molteplici idee estetiche riescono a condividere la stessa storia – è tanto affascinante quanto straniante, e il film rischia in molte occasioni di sembrare un gioco divertente sì, ma forse vuoto.

Parte della debolezza del film risiede forse nell’interpretazione di Andrew Garfield: il suo agire quasi adolescenziale, per quanto in linea con il personaggio, è venato da una superficialità che non permette di raggiungere quel livello di grottesco necessario in alcune scene chiave, che appaiono dunque artificiose, diradando il fascino e l’enigma del film.
In un cinema che vede nell’idea di rappresentazione un centro politico ed estetico imprescindibile, Under the silver lake merita il suo stato di culto essendo un film che, come il suo protagonista, non rappresenta nulla. Sam, infatti, è pigramente alla ricerca di una risposta alla scomparsa di Sarah: la soluzione del mistero coincide con l’apice della sofferenza, e la consolazione sfocia, ancora una volta, nel cieco desiderio sessuale. La conquista di Sam sta quindi nel capire di non essere cambiato per nulla in tutta la sua storia.
Il film si muove nel territorio dell’ambiguità e dell’anomalia, non solo nel suo essere così poco conforme allo standard del cinema americano contemporaneo, produzioni indipendenti incluse. Il regista David Robert Mitchell, giovane promessa del cinema indipendente, rinuncia infatti a replicare il successo dell’horror “impegnato” per creare un’opera che si avvicina di più ai deliri d’inizio millennio (Southland Tales di Richard Kelly su tutti), confermando di essere una grande nuova voce del cinema americano.
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