
Crimes of the Future – Lunga vita alla nuov(issima) carne
Pochi autori più di David Cronenberg sono riusciti ad articolare un discorso coerente su un insieme di tematiche che, pur con doverosi aggiornamenti e cambi di prospettiva, è rimasto costante nel corso di una filmografia complessa e articolata. Dagli anni Settanta in avanti, al centro del suo occhio ci sono sempre stati gli immaginari del corpo, le infinite modificazioni che l’uomo può subire in un mondo dove la tecnologia è onnipresente e dove – per usare un concetto coniato da Ruggero Eugeni – la polverizzazione della medialità ha innervato il nostro sensorio in modi nuovi. Da questo punto di vista, il cinema di Cronenberg sembra possedere una strana virtù predittiva nei confronti di numerose dinamiche che attraversano la mediasfera contemporanea (penso ad esempio alla complessa relazione fra reale e virtuale in eXistenZ), ma d’altronde il (grande) cinema ha da sempre la capacità di preconizzare fenomeni e questioni ancora latenti.
Con il nuovo Crimes of the Future, uscito a sette anni di distanza dalla caustica critica alla società del post-spettacolo di Maps to the Stars, Cronenberg torna in qualche modo sul luogo del delitto, e riprende ad indagare le sue ossessioni, dai meandri grotteschi corpo alla chirurgia, all’idea di innesto tecno-organico. Lo fa però in modo nuovo, mettendo a frutto anche la dimensione più introspettiva dei suoi film recenti.

Il futuro immaginato da Cronenberg non è mai remoto, ma nasce sempre da una estremizzazione di premesse tecno-estetiche che sono già proprie del nostro presente. Così, le performance di Saul Tenser (Viggo Mortensen) e della sua collaboratrice/amante Caprice (Léa Seydoux) non sono altro che l’ultimo esito spettacolare di quella tendenza a trasformare il corpo in una superficie di iscrizione del segno artistico che dalla body art in poi è uno dei tratti ricorrenti del contemporaneo (il riferimento all’artista Stelarc e alle sue orecchie impiantata nel corpo è in questo senso assolutamente esplicito). “La chirurgia è il nuovo sesso”, si legge su uno degli schermi che accompagnano l’esibizione del duo ed in effetti la dinamica di sguardo che il film ci propone è assolutamente simile a quella pornografica: il corpo di Saul viene aperto e operato a distanza dalla partner, che interagisce con una voluttuosità esplicitamente sessuale con una sorta di console posta sul suo ventre (ossessione di Cronenberg almeno da Videodrome in poi). L’idea si fa ancora più esplicita in una scena successiva, quando i due avranno una sorta di vero e proprio amplesso chirurgico attraverso l’azione delle lame sul corpo di Caprice, a evidenziare come la cancellazione delle percezioni sensoriali che attraversa questo futuro possibile possa essere compensata solo in modo estremo.

Linda Williams, una dei principali teorici dei porn studies ha scritto che ciò che definisce specificamente la pornografia non ha tanto a che vedere con i contenuti più o meno espliciti di un contenuto mediale, quanto piuttosto con il tipo di sguardo che essi implicano. In particolare, secondo Williams, è pornografico ciò che ci permette di scrutare quello che normalmente ci sarebbe inaccessibile. In questo senso, lo spettacolo della chirurgia messo in scena da Crimes of the Future, che dal punto di vista iconografico si richiama esplicitamente all’immaginario del teatro anatomico, non fa che esplicitare il carattere intrinsecamente pornografico del medicale già in qualche modo intravisto da Foucault in Nascita della clinica. Se Saul e Caprice portano alle estreme conseguenze una tendenza diffusa nell’arte contemporanea, il film sviluppa parallelamente una matrice thriller che, più che per il suo sviluppo, risulta interessante per l’insieme di ulteriori temi che esplicita. Il coinvolgimento di Saul in un’indagine sui crimini corporei introduce lo spettatore all’esistenza gruppi di individui che cercano di indurre un’evoluzione biologica negli organismi umani. In particolare, tutta la seconda parte del film ci pone di fronte alla possibilità per l’uomo di ingerire e digerire materiali plastici, proposti in apposite barrette.

Al di là dell’infelice protagonismo che le plastiche hanno nel nostro immaginario culturale, Cronenberg sta qui spingendosi verso una nuova dimensione d’indagine (forse già intravista in Brood) che a partire dalle modificazioni del corpo ragiona sulla loro sedimentazione nel codice genetico, in direzione di una possibile palingenesi (o, quantomeno, genesi alternativa) dell’umano. In un contesto globale che sembra avvicinarsi ogni giorno di più alle plumbee atmosfere presentate in Crimes of the Future non è poi così sorprendente che Cronenberg abbia incominciato a spostare il suo sguardo sulle possibili coordinate di una nuova esistenza futura, per incominciare a capire se (e come) abitare un pianeta per il quale il nostro corpo biologico sembra sempre meno equipaggiato.
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