
La caduta dell’uomo – David Cronenberg e Don DeLillo
L’11 settembre 2001 le torri sono crollate e la caduta dell’uomo è ufficialmente iniziata. Per le strade di una Manhattan in rivolta si aggira una limousine bianca. Seduto al suo interno, ostinatamente separato da tutto ciò che lo circonda, c’è un ragazzo di ventotto anni. Si chiama Eric Packer (alias Robert Pattinson, qui una nostra panoramica sulla sua carriera finora) ed ha fatto i miliardi con la cyber-finanza. Eric, una mattina di aprile, in cui a Manhattan regna il caos, tra manifestazioni di protesta anti-capitaliste, cortei presidenziali e funebri e un attentatore che mira proprio a lui e che gira a piede libero, decide che c’è una cosa da fare: tagliarsi i capelli. E non in un posto qualunque, bisogna recarsi dell’altra parte della città per andare da Anthony, il barbiere da cui lo portava suo padre, quando era ancora un bambino. Siamo in Cosmopolis (2012) di David Cronenberg, penultimo film all’attivo del regista canadese (ce n’è uno nuovo in cantiere). Opera tratta dal romanzo omonimo di Don DeLillo del 2002, primo libro scritto dall’autore statunitense nel post 11 settembre, data in cui secondo Marco Trainini, come scrive nella sua monografia dedicata all’opera dello scrittore, si concretizza la crisi di un intero modello socio-economico. La crisi dell’uomo. « […] l’attacco priva di valore o significato le certezze della cultura occidentale» perché «Le Twin Towers sono l’emblema della moderna tecnologia. La distruzione di questo luogo e simbolo di potere e ricchezza detiene una forza destabilizzante». DeLillo tornerà ad affrontare l’11 settembre e la figura dell’uomo in caduta con L’uomo che cade, romanzo del 2007. Cronenberg addensa il tutto nel suo Cosmopolis.

Tante, molte volte, forse troppe, si tende a dare la patente di autore premonitore a questo o a quel personaggio del momento, compiendo magari degli errori di valutazione, figli dell’entusiasmo, della voglia di avere a stretto giro un oracolo diverso a cui aggrapparsi. Ecco, non essendo un fanatico di queste patenti, se mai dovessi stilare una (brevissima) lista di chi merita una menzione d’onore alla capacità di sguardo al presente e dunque al futuro dell’umanità, citerei senza ombra di dubbio David Cronenberg. La sua abilità di indagare le viscere fisiologiche per indagare quelle dell’animo, il suo sguardo sempre tra le membra per essere all’orizzonte. Aveva capito prima che ci saremo fusi biotecnologicamente con le macchine (Existenz, 1999), aveva capito prima anche che ci saremmo rinchiusi in un buio di pulsioni sadico-onanistiche ad osservare delle interminabili dirette di violenza (Videodrome, 1983). Vere o false? Chi lo sa. E che importa poi? Ci ha mostrato il nostro malato rapporto con l’immagine di noi stessi, cosa siamo disposti a fare pur di reclamare un’identità esclusiva (Inseparabili, 1988), i limiti che ci poniamo eticamente come società e poi non riusciamo ad accettare come individui e che dunque vogliamo superare (Brood – La covata malefica, 1979; Rabid – Sete di sangue, 1977; La mosca, 1986. Giusto per citarne alcuni). Ci ha mostrato quello che siamo e quello che siamo stati con una cruda e straziante matericità e come fosse un effetto collaterale, e ci tornano in mente gli assurdi esperimenti dei suoi celebri mad-doctor, è finito per raccontarci prima quello che saremo diventati poi. E l’ha fatto anche nel 2012, quando ha preso un libro di un’altro come lui e lo ha trasformato in un film, che forse, mi permetto di dire, capiremo troppo tardi.

In Cosmopolis il viaggio di Eric, come ci suggerisce Massimo Causo nel suo articolo intitolato Il mondo interno dell’esterno dell’interno e pubblicato su Cineforum n. 515 del 2012, «è un ritorno alla concretezza e alla finitezza del suo essere nel mondo, la riappropriazione della sua dimensione fisica, il recupero di un corpo che fa sesso e che odora di sesso, che ha la prostata asimmetrica e che lascia esprimere il neo che campeggia sul fianco…» e ancora «Quello che appare come un atto surreale non è che la traiettoria di un proiettile nel corpo urlante della realtà urbana, la definizione di una identità fisica e reale per una figura che è talmente al centro del sistema da essere assurta al grado di idea, di astrazione, di algoritmo che interpreta e prevede i flussi di soldi, ma si fa sfuggire l’imprevedibilità di un dettaglio». E un dettaglio può essere un neo oppure può essere un virus, che ci ricorda quanto siamo esposti, quanto siamo transitori, quanto siamo Icaro che mira al sole, ma si costruisce le ali con la cera.

Eric è simbolo di un’umanità che ha paura di morire e corre verso la propria morte. Che reclama l’esistenza, ma non sa come vivere. In un contesto nuovo, più ostile, non sa qual è il progetto per domani. Sa solo che non vuole estinguersi. Come il cyber capitale, ci digitalizzeremo o almeno ci proveremo. Lo stiamo già facendo. Un giorno però, torna il bisogno di tagliarsi i capelli. L’esistenza avoca la sua materialità e la caduta dell’uomo, come tutte le cadute, termina con lo schianto. Lo schianto più rumoroso per noi. Nel silenzio più assordante dell’universo intorno. Magari in diretta social qualcuno seguirà il tonfo, pensando sia tutta una messa in scena. Cronenberg ce l’aveva già detto. Gloria e vita alla nuova carne.
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