
Fragments of Paradise – Jonas Mekas e l’istante paradisiaco | Venezia 79
In questo film non succede niente, suggeriva una delle diapositive apparse tra le immagini di As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses Of Beauty, l’opera titanica che il regista lituano Jonas Mekas, scomparso nel gennaio 2019, realizzò durante la notte tra il 31 dicembre 1999 e l’1 gennaio 2000. Mentre le strade della Grande Mela brulicavano di individui protesi verso il nuovo millennio in modo impaziente, pronti a festeggiare il capodanno riunendosi nella fosforescenza di Times Square e minacciati dall’ostacolo cibernetico del Millennium Bug, Mekas celebrava, nella sua sala di montaggio non distante dal cuore pulsante della città, gli ultimi istanti del XX secolo che da lì a poco sarebbe scomparso per sempre. Nato nel 1922, il regista avrebbe festeggiato quest’anno il centenario dalla sua nascita: per questo motivo, la Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro gli ha riservato, durante la sua 58ª edizione, un omaggio coronato da una tavola rotonda a cui tutti i volenterosi di celebrare il suo cinema – collaboratori ed estimatori – hanno preso parte con immensa ammirazione e tenerezza.
Ma di certo non è giusto limitarsi a celebrare l’opera di Jonas Mekas esclusivamente nei circuiti vicini al cinema sperimentale o avanguardista: per questo, a Venezia 79, a Venezia Classici, arriva Fragments of Paradise di K. D. Davison, che attraverso filmati inediti e interviste rivela il modo quasi magico in cui le immagini del regista siano riuscite a valere, contemporaneamente, da intima auto-indagine e da ispirazione per tanto grande cinema ben oltre le sperimentazioni più eclettiche.

Testimone di un periodo storico che avrebbe cambiato per sempre la storia del cinema – e dell’arte – a venire, la videocamera di Jonas Mekas è stata il grande occhio sulla generazione del Chelsea Hotel e della Silver Factory, di Andy Warhol e Jim Jarmusch, ma anche di Pasolini (con cui condivide il centenario) e di Scorsese. E grazie a quella Bolex, utilizzata come un’estensione del proprio corpo, i racconti di quella New York culla della sperimentazione sono divenuti immortali, documenti storici di rilievo che si mescolano ai ricordi di una storia personale fatta di abbandono e spaesamento, e dell’impossibilità di riuscire a trovare il proprio posto del mondo.
Da Walden a Reminiscences of a Journey to Lithuania fino a Lost, Lost, Lost e Sleepless Night Stories, l’opera di Mekas cristallizza e espande gli istanti paradisiaci, quei fugaci momenti di estatica gioia che si smaterializzano in pochi secondi all’interno dell’inarrestabile flusso vitale, ma riescono a permanere nella memoria per sempre. Non è di certo un caso che As I Was Moving Ahead si apra con una scena che vede il regista discutere con degli amici di Hermann Nitsch: non è forse l’intera opera di Mekas un archivio di immagini senza senso che raccontano la singola vita di un uomo tra miliardi di persone? Eppure, com’è possibile specchiarsi nelle vicende provenienti direttamente da una vita che non è la nostra? Con la videocamera di Mekas ogni istante muore e diventa immortale nel momento della ripresa, ma soprattutto rivela che niente ci unisce di più che il dover accettare che nulla abbia un senso; tanto vale, allora, tentare di scorgerlo nelle esperienze personali e dalle sensazioni che ogni essere umano conosce, trasformando il personale in universale, dando vita a un ponte di empatia indistruttibile: non esiste immagine che non abbia senso, perché non esiste immagine che ne abbia uno.

È per questo motivo che la filmografia di Mekas prende le sembianze della sintesi della propria vita che ognuno sarà destinato a veder scorrere dinnanzi ai propri occhi un attimo prima di scomparire per sempre; rifugiarsi nelle illusioni – in quella più grande di tutte, la nostalgia – e guardare la propria vita attraverso gli occhi di qualcuno che non abbiamo mai conosciuto.
La verità è che non c’è altro modo di raccontare l’opera del padre del cinema sperimentale se non quello di immergersi a capofitto nelle immagini riprese e montate dallo stesso: per questo, Fragments of Paradise ha, più di tutto, la forma di un documento che testimonia il lascito del cinema di Mekas sulle generazioni successive di registi, a cui la potenzialità del linguaggio cinematografico è stata svelata attraverso la condivisione di quegli istanti paradisiaci che uniscono l’umanità tutta in una sola grande dimensione.
Perché cosa c’è di più bello che emozionarsi dinnanzi a un fiore appena sbocciato, i primi passi di tuo figlio, un calice di vino da bere con gli amici o la neve a New York? O di rattristarsi per la propria patria (cosa vuol dire, infine, “patria”?) e di rendersi conto di amare quelle illusioni, accettarle come tali, amando profondamente ciò che non ha senso? Nei film di Jonas Mekas non succede nulla. E allo stesso tempo succede tutto.
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