
Abbott Elementary – Una strampalata ma funzionante working family
«Janine, gli insegnanti ad una scuola come la Abbott devono essere in grado di fare tutto. Siamo amministratori, assistenti sociali, psicologi, siamo una seconda famiglia. Cavolo, a volte siamo perfino la prima» esordirà ad un certo punto l’esperta maestra d’asilo Barbara (Sheryl Lee Ralph), rivolgendosi alla sua giovane e un po’ maldestra collega Janine (Quinta Brunson). «È una chiamata, tu hai risposto.» aggiungerà significativamente Melissa (Lisa Ann Walter), altra insegnante storica della scuola. Da questo semplice ma potente scambio tra il corpo docente protagonista di Abbott Elementary, disponibile in Italia su Disney+, si può intuire tutta la brillante lucidità di una delle sitcom più interessanti dell’attuale panorama seriale statunitense.
Con 7 nomination agli Emmy (tra cui Miglior Serie Comedy) e una seconda stagione in arrivo, la serie di Quinta Brunson (che oltre a vestire i panni della protagonista ha creato lo show per ABC) si inserisce a pieno all’interno di due tra i più attraenti filoni comici della serialità – la working comedy e il mockumentary – seguendo le vicende di un gruppo di insegnanti di una scuola pubblica senza fondi di Philadelphia prevalentemente frequentata da studenti afroamericani – la Abbott Elementary del titolo – nelle loro piccole e grandi sfide quotidiane.

L’enorme potenzialità di Abbott Elementary risiede innanzitutto nell’equilibrato dosaggio tra tradizione e innovazione, che garantisce la familiarità necessaria per un prodotto seriale di questo tipo senza rinunciare alla propria originalità. Grazie ai numerosi riferimenti, infatti, lo show richiama in maniera evidente tanto le working comedy facenti parte dell’Olimpo della serialità, The Office e Parks and Recreation per prime, quanto serie più recenti ma ugualmente notevoli come Brooklyn 99 o Superstore, senza però cadere mai nello sterile citazionismo, ma al contrario raccontando un ambiente come quello scolastico attraverso una prospettiva inedita (raramente la scuola ha fatto il suo ingresso nella comicità dal punto di vista degli insegnanti).
La solida scrittura comica, inoltre, riuscendo ad alternare bene l’ironia più pungente alle fragorose risate, offre al pubblico molto più degli ormai classici sguardi in macchina a la The Office. Il filtro dell’umorismo, infatti, non intacca la rappresentazione realistica dell’ambiente scolastico ma contribuisce a rendere avvincenti le plausibili disavventure, molto simili a quelle che il personale della maggior parte delle scuole in USA deve gestire giornalmente. Brunson, la cui madre è stata un’insegnante d’asilo per 40 anni, fornisce dunque agli spettatori una straordinaria lettura critica del sistema scolastico statunitense, con tutte le sue contraddizioni e i suoi evidenti limiti, facendoci ridere – a volte un po’ tristemente – every step of the way.

Ecco dunque comparire in ognuno dei 13 episodi – come in ogni working comedy che si rispetti – la dedizione al lavoro di molti dei personaggi, i legami significativi instaurati sul posto di lavoro così come le assurde situazioni quotidiane risolte in maniera ancora più stravagante. L’utilizzo del mockumentary, poi, oltre a permettere la continua rottura della quarta parete, è funzionale a calare maggiormente il pubblico all’interno dell’ambiente lavorativo.
In ultima analisi, però, è la costituzione di una working family bizzarra ma funzionante a sancire il successo di Abbott Elementary. Ciò è evidente se si guardano da vicino i personaggi, questi weirdos imperfetti e diversi, che tentano ogni giorno di collaborare nel migliore dei modi. Il gruppo di insegnanti protagonisti, in particolare, è composto da Janine, una sorta di Leslie Knope in the making, con tante idee e ancora più voglia di stringere rapporti significativi con le persone con cui lavora, Barbara, la sua mentore, dietro cui la facciata apparentemente inscalfibile si nasconde una persona premurosa e attenta, Melissa, nativa del Sud Philadelphia con connessioni – a volte dubbie – con tutta la città che spesso usa ai vantaggio dei suoi studenti, Jacob (Chris Perfetti), il white ally un po’ woke della scuola con la sua infinità di storie e opinioni che lo rende adorabile e insopportabile allo stesso tempo, e Gregory (Tyler James Williams), un incrocio tra Ben di Parks and Recreation e Jim di The Office (soprattutto se guardiamo ai continui indizi che la serie semina su una possibile relazione endgame tra lui e Janine), nuovo sostituto che viene trascinato dentro a questa sorta di follia collettiva mentre prova a venire a patti con le sue aspirazioni carrieristiche. A completare il quadro ci sono Ava (Janelle James), l’incompetente ma spassosa preside della scuola che ha ottenuto il lavoro solo perché aveva delle informazioni compromettenti sul sovraintendente scolastico e il bizzarro ma saggio Mr Johnson (William Stanford Davis), il bidello della scuola.

Fin dal primo episodio un’incredibile sintonia è garantita dalla bravura del cast e le dinamiche createsi tra gli insegnanti, soprattutto quelle generazionali, assicurano momenti di estrema dolcezza e divertimento grazie allo scambio reciproco. Nonostante i loro diversi metodi di insegnamento e le loro molteplici visioni del mondo, infatti, questo strampalato gruppo sembra sempre condividere un obiettivo: superare quanti più ostacoli possibili, tanto educativi quanto economici, al fine di garantire ai propri studenti il funzionamento di questo posto molto speciale che è la Abbott. Abbott Elementary, attraverso la scelta di adottare un insolito punto di vista per raccontare uno dei luoghi in cui, seppur in misura diversa, ognuno di noi ha forgiato la sua identità e ha vissuto le più svariate esperienze, finisce per insegnare a noi spettatori molto di più di come funziona una scuola pubblica, finisce per insegnare come funziona una famiglia.
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