
Faith – Il dojo dello spirito | Biografilm 2020
La nostra recensione di ‘Faith’, di Valentina Pedicini, uno dei 41 film selezionati alla 16ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. Clicca qui per scoprire come vedere tutti i film del Festival in streaming gratuito su MyMovies (fino al 15 giugno). Un’occasione unica, da non perdere!
L’apertura della sedicesima edizione del Biografilm Festival (5-15 giugno) è affidata a un monastero isolato dal mondo, una comunità sperduta da vent’anni tra le colline italiane. I suoi membri si radono la testa come il Buddha e passano le giornate in massacranti sessioni d’allenamento di kung-fu. La sera portano al collo rosari, e sulle pareti delle loro camere appendono Madonne con bambino. Sono monaci Shaolin e devoti cattolici. Sono i Guerrieri della Luce.
I protagonisti di Faith rappresentano un soggetto irresistibile per qualsiasi documentarista che si rispetti. Fede e cultismo, comunità isolate e appropriazione culturale: sono tante le tematiche che si affastellano nella mente dello spettatore mentre osserva questi monaci guerrieri scatenarsi al ritmo di musica tecno. Valentina Pedicini sceglie però uno sguardo distaccato e osservativo, in puro stile cinema del reale.
Opta per un bianco e nero fortemente contrastato, immedesimandoci nella visione austera e manichea della vita nei suoi soggetti. Allo stesso tempo questa scelta stilistica contribuisce ad alimentare la dimensione di atemporalità del racconto, catapultandoci nel mondo sospeso dei Guerrieri della Luce. La maggior parte delle riprese si svolge tra interni domestici e palestre d’allenamento, contribuendo alla sensazione di smarrimento correlata a un mondo privo di tecnologia e modernità. Dove si indossano solo vestiti completamente bianchi, come i piatti leccati a fondo a fine pasto, e si va a dormire completamente nudi dopo aver recitato il Pater Noster.
Si tratta di un sottile e raffinato lavoro di regia compiuto dalla Pedicini, la ricerca della completa immersione dello spettatore nella quotidianità dei monaci, scevri da ogni preconcetto o percorso precostituito. Non ci sono interviste in camera e per tutta la durata del film il credo e i dogmi che regolano la vita di questo monastero rimangono nebulosi e a noi poco comprensibili.
Altrettanto sfumato è il ritratto del guru fondatore del monastero, una sorta di incrocio tra un patriarca asceta e un santone col fisico da pugile. Un altro regista probabilmente avrebbe trovato il centro tematico della vicenda in questa figura sfuggente e tanto magnetica, capace di imporre la più ferrea disciplina nelle immani sessioni di allenamento che i suoi adepti svolgono fino alle lacrime, e allo stesso tempo capace della più profonda tenerezza e attenzione verso i suoi discepoli. Ma non è quello che interessa approfondire a Pedicini, soprattutto quando dietro alla segregazione di questa comunità è intuibile un enorme e paziente lavoro di avvicinamento, iniziato undici anni prima dalla regista con un corto scolastico dedicato a Laura, una delle veterane del monastero.
Il suo sguardo è comunque sufficientemente distanziato da permettere che dei minimi conflitti emergano nella visione. Tra processi interni verso membri dannosi della comunità e timidi riavvicinamenti ai familiari di un passato e di un mondo ormai dimenticati dai Guerrieri. Rimangono però tutte suggestioni appena accennate, fili tematici volontariamente irrisolti.
Quello che emerge con forza è l’ambizione di rappresentare l’essenza del percorso spirituale dei monaci e della loro ricerca della fede. Nelle innumerevoli sequenze dedicate alle sessioni di allenamento, tra montaggio serrato e musica tecno, si viene a rappresentare il sacrificio della carne, mentre il lato pedagogico della dottrina è reso nell’osservazione dei due membri più giovani della comunità. I bambini Altair e Olimpia, nipoti del Maestro, sono i protagonisti della quasi totalità delle scene all’esterno, tra scorribande nei prati e innocenza infantile.
Se il dogmatismo di tale sguardo rischia di lasciare più di uno spettatore a bocca asciutta, desideroso di maggiori dettagli sul mondo dei Guerrieri e della loro ricerca spirituale, l’esperienza di Faith rimane comunque un ammirevole tentativo di materializzare qualcosa di invisibile agli occhi come la fede.
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