
“Obi-Wan Kenobi” Episodio 2 – Rischio calcolato
Attenzione: la recensione contiene spoiler dell’episodio 2 di Obi-Wan Kenobi. | Vuole prendere slancio l’epopea (decrescente) tutta dedicata al Maestro Jedi, ma nemmeno questo secondo episodio, per quanto più elettrizzante del primo, riesce a metterci in quiete. Ricordiamolo ancora, oggi e ogni volta che ci sembrerà che in questa serie vi sia un episodio in qualche modo migliore o più sopportabile rispetto al precedente: non stiamo guardando una serie Star Wars come le altre. Questo prodotto dovrebbe essere stato premurosamente dedicato ad una fetta di pubblico ad oggi probabilmente maggioritaria ma sempre meglio circoscritta e quasi sempre unanime nel riscontro, ovvero – pressappoco – quella che di Star Wars aveva visto al cinema la trilogia prequel.

E nonostante i VHS dell’originale fossero ben sistemati su qualche mobiletto di casa, nonostante qualche sporadico avvicinamento a prodotti spin-off, si tratta complessivamente e per la maggior parte di turisti – affezionati s’intende – del franchise: prima dell’era Disney le derivazioni televisive erano state solo saltuariamente recuperate, e Star Wars era una saga ben definita e scandita da lungometraggi. Negli ultimi anni la Disney ha saputo lasciar andare il pubblico della trilogia originale (se si vuole anche per questioni anagrafiche, dato che oggi dovrebbe avere almeno l’età di Ewan McGregor), mentre sembrerebbe disperata nel voler trattenere tutti gli altri. E a buon ragione.
Ammettiamolo: tutti siamo tormentati durante ogni nuova visione dal dubbio che le nostre residuali frequentazioni di questo Universo non avvengano per trasporto ma per bigotta nostalgia. Malgrado l’immaginario, i meme, il fanservice meno grossolano di Rogue One e di qualche episodio di The Mandalorian, siamo un pubblico che ha iniziato la sua deriva. Ben consci di chi siamo, Obi-Wan Kenobi è l’ultima possibilità che stiamo dando a questa saga prima di lasciarla andare, o il commiato che pensiamo di meritarci da essa per la nostra fedeltà fino a questo momento. Nelle mani abili di Deborah Chow e di un team di sceneggiatori sono state dunque riposte tante, troppe speranze di un franchise sempre più ingombrante e sempre meno coinvolgente.

Infastidisce allora che nell’episodio 2 di Obi-Wan Kenobi qualcosa continui a non funzionare. Anche la trilogia prequel non era un bel lavoro, ma quantomeno per contrasto col resto e per l’indubbia capacità (confermata in questa serie) di McGregor, Obi-Wan ne usciva come un personaggio cardinale, in grado di esaurire nelle sue azioni e nella sua presenza quasi tutte le esigenze di significato dello spettatore. In questi primi due episodi quella figura vacilla disperatamente: che fosse atterrito da una lunga fuga da sé stesso ce lo aspettavamo, ma pare anche che spesso stia per inciampare in qualcosa di troppo grosso o inutile. I rischi c’erano tutti: il minore era quello di far indossare nuovamente una tunica il cui peso è stato esasperato dai 17 anni intercorsi dall’ultima apparizione live action, il maggiore era quello di provare a raccontare una storia che, bene o male, il pubblico si era già immaginato e di cui non c’era davvero il bisogno. Se oggi c’è una serie che ne racconta gli eventi è soprattutto per gusto pornografico: quello che ci fa guardare, ad alcuni persino scrivere.
A chi non vedesse questi rischi – o facesse finta di non vederli – si rimanda al cameo di Temuera Morrison, più bello da veterano di guerra che nella maggior parte della serie di cui è stato recentemente protagonista. Da dieci anni vive in un’armatura da clone, ma poteva andargli peggio.
La sospensione, il timore che era stato lenito dal Kenobismo del pilot, rimonta alla visione del provvisorio e futile del secondo episodio. Dopo dieci anni, i primi passi del Jedi fuori Tatooine sono su un pianeta che non abbiamo mai sentito nominare: Daiyu è un’ecumenopoli meno futurista di Coruscant e dalle tinte decisamente neon punk, in un lapalissiano rimando a una space Hong kong stereotipata. Sarà il format televisivo, l’urgenza di muoversi dalle solite sabbie di Star Wars, ma Daiyu è una città senza profondità. Fatta eccezione per la scena dell’inseguimento sui tetti, la sensazione è di claustrofobia: non per i suoi vicoli, ma per l’evidente atmosfera da set cinematografico. A distrarre furbescamente c’è il ritorno dello Jedi investigatore, che riecheggia senza troppo pudore L’attacco dei Cloni.
Ma l’agognata indagine si consuma tutta nel covo del fraudolento Haja Estree (Kumail Nanjiani), convincente e forse primo (auguriamoci ultimo) comic relief. La soffiata di Haja si rivela accuratissima: dopo due scazzottate e aver fatto esplodere un laboratorio di spezia, Obi-Wan può già chiedere dove sia l’oggetto delle sue ricerche. Ma la perspicacia Jedi non gli ha fatto capire che era tutta una trappola, attuata dal rockeggiante mercenario Vect (Flea dei RHCP, cui spettano le battute più memorabili dell’episodio), ed orchestrata dall’inspiegabilmente più credibile Terza Sorella. Il suo antagonismo del primo episodio era stato esilarante, ben aderente alla solita prospettiva manichea e al contempo così spietato da chiedersi se in Disney avessero sbagliato le dosi di edulcoranti +12 dello show. Indubbio che il personaggio di Reva (Moses Ingram) sia in sviluppo e che celi un movente ulteriore oltre alla mera fame di gloria.

Goffamente e persino sanguinando, nella naturale e comprensibile transizione di McGregor verso Sir Alec Guinness, Obi-Wan riesce, per quanto sempre più uomo e sempre meno Maestro Jedi, a divincolarsi. Infine l’incontro con Leia, il temuto e sempre più ovvio fulcro di questa serie, che nelle prime battute regge, quasi illudendo che la replica del binomio eroe malinconico/bambino prodigio non possa ancora stressarci. Ma dopo una manciata di brevi momenti, spina dorsale dell’episodio, una reazione sproporzionata della principessina rompe la bella alchimia e fa rimpiangere i silenzi fra Mando e Grogu. Nel frattempo è iniziata la fuga, non dal passato come nel pilot, ma dagli inquisitori dell’Impero. Si spera che la fuga non rimanga l’unico motore del racconto. Anche di questo, s’intende.
La concitazione delle scene che portano alla fine dell’episodio 2 di Obi-Wan Kenobi rivelano altre debolezze sul piano formale: ancora fa prurito che allo zenit delle strategie televisive Disney non si riesca ad essere assorbiti dal prodotto per sequenze male orchestrate o, ancor più banalmente, a causa di una CGI non all’altezza.
Eccezion fatta per l’improvvisa (inaspettata, aggiungerà chi ha visto Rebels) uscita di scena del Grande Inquisitore, che regalava un’inedita e piacevole stratificazione gerarchica che avrebbe dato più spessore alle dinamiche degli antagonisti, assistiamo nelle ultime battute ad un colpo di coda. Il sussulto, lungo e inevitabile, tutto giocato sullo sguardo di McGregor giustapposto a quello di Hayden Christensen. L’incontro Obi-Wan e Anakin/Darth Vader, o soltanto il presagio dello stesso, basta ad accettare questo prodotto, a perdonare i fastidi che provoca? Qui non si potrà concordare, ma chi penserà di sì, oltre che a rischiare più degli altri, forse non si sentirà mai davvero tradito da Star Wars.
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