
Ozark – Dimmi dove sei e ti dirò chi sei | Quarta stagione. Parte prima
“In terza elementare abbiamo studiato il Tempio del Cielo di Pechino. Occupa un terreno molto vasto sul quale c’è un edificio, chiamato la Sala della Preghiera per il Buon Raccolto. E’ circondato da una struttura chiamata Muro dell’Eco. Anche quando la gente sussurra, senti la stessa cosa ripetuta di continuo”.
Jonah Byrde
L’adolescenza è un periodaccio. Lo sappiamo tutti. Un momento di ribellione nei confronti della maggior parte delle figure educative e, in special modo, nei confronti dei propri genitori. Quale portata assume la cosa se si tratta di genitori che riciclano del denaro per il cartello messicano della droga e tu, soprattutto, ne sei a conoscenza?
Siamo giunti alla quarta ed ultima stagione dell’ormai celebre produzione Netflix Ozark, nata dalla penna di Bill Dubuque e Mark Williams. La serie, di cui ci siamo già occupati a più riprese recensendo le precedenti stagioni, narra le vicende della famiglia Byrde, forzata all’esilio da Chicago, verso le sponde del Lago degli Ozarks in Missouri, con l’obbiettivo di ripulire il denaro sporco, generato dal contrabbando di eroina del cartello messicano di Omar Navarro.

Al termine della terza stagione, avevamo lasciato Jonah, il figlio minore dei Byrde, mentre fracassava le finestre della casa sul lago della sua famiglia a colpi di fucile. Un gesto emblematico, quanto esasperato, di rappresaglia nei confronti dei propri genitori e della trappola di vetro in cui loro stessi hanno rinchiuso la loro famiglia.
Il motore narrativo della prima parte di questa quarta stagione (la seconda verrà rilasciata presumibilmente in primavera) è una precisa richiesta di Omar Navarro a Marty e Wendy Byrde: non solo denaro da ripulire, questa volta dovranno ripulire anche il suo nome. Il boss della droga messicano vuole svincolarsi del suo passato: basta droga e basta cartello, niente carcere però e possibilità illimitate di viaggiare liberamente tra Messico e Stati Uniti. Dall’altro lato i Byrde vogliono fare lo stesso: tagliare definitivamente con il crimine e ripulire definitivamente il proprio nome. «In America non interessa a nessuno da dove vengano le tue fortune. Si trasformerà presto in una chiacchiera del cazzo da cocktail party» dice pressapoco Wendy a Jonah, che manifesta le proprie perplessità riguardo l’ennesimo piano di fuga dei genitori.

Se c’è una cosa assolutamente apprezzabile di questa quarta ed ultima stagione di Ozark, a prescindere da come la si pensi rispetto la qualità intrinseca dell’operazione, è che gli sceneggiatori, diversamente da quanto accade in altri prodotti seriali, si fanno pienamente carico da un punto di vista narrativo delle conseguenze delle loro scelte e cioè assecondano il parossismo degli eventi da loro stessi provocati, attraverso le scelte drammaturgiche compiute durante la scrittura delle stagioni precedenti. Se si tira in ballo l’FBI, ad esempio, l’FBI balla, e balla eccome, anche a costo di andare ogni tanto fuori tempo.
Abbiamo già visto come a livello tematico in Ozark siano importanti le giustapposizioni tra mondo e famiglia e tra visibile e celato. Il contrappunto tematico tra queste due doppie opposizioni torna anche in questa ultima stagione (si parla spesso di finestre: oscurate, termocromiche, più grandi, più spesse). Viene aggiunto però dal team di sceneggiatori un ulteriore elemento di riflessione, intimamente connesso ancora una volta agli spazi e ai luoghi. Che tipo di rapporto c’è tra un luogo e il ruolo che noi come esseri umani lì assumiamo? A casa, sei il piccolo Jonah, figlio minore, da proteggere e da controllare. Nella camera di un trasandato motel di periferia sei invece un quattordicenne geniale, abilissimo nel riciclaggio del denaro attraverso piattaforme offshore.

D’altra parte questo è proprio quello che è successo a Marty, e per estensione a tutta la sua famiglia. A Chicago era solo un tizio qualunque, con una casa qualunque, con un lavoro qualunque e una famiglia qualunque. Una volta in Missouri invece tutto è diventato diverso: danaro, visibilità, potere, ma anche tutto ciò che ne consegue dall’aver raggiunto questi privilegi, attraverso delle scorciatoie e soprattutto attraverso il crimine.
L’obbiettivo dei Byrde è quindi tornare a Chicago, portandosi appresso tutto ciò che di vantaggioso l’Ozark ha loro indirettamente concesso. Questo non è possibile: non puoi spostare denaro e potere guadagnati nel Missouri a Chicago, senza fare i conti con gli elementi ad essi legati. Non puoi scappare con il malloppo lasciandoti la scia di sangue dietro, perché qualcuno verrà a cercarti. È la maledizione dei Byrde. È Il Giorno della Marmotta o il Muro dell’Eco. È la coazione a ripetere. Dei Byrde. Dello spettatore. Degli sceneggiatori. Dell’audiovisivo seriale.

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