
Scream – Il ritorno “differenziale” di Ghostface
25 anni dopo l’inatteso omicidio di Casey Becker, un urlo squarcia nuovamente la silenziosa profondità della notte. Ghostface è tornato a Woodsboro! Dopo il reboot di Halloween a opera di Blumhouse Productions, un altro capolavoro del genere horror anni Novanta viene assorbito dalla contemporaneità e colonizza le sale cinematografiche mondiali. Quale motivo migliore di una nuova caccia al serial killer più sorprendente di tutti per tornare al cinema? Sì, perché a differenza di quella indossata da Michael Myers, Leatherface e Jason Voorhees, la maschera di Ghostface cela numerosi assassini, che possono nascondersi nella cerchia di amici che frequentate quotidianamente – e che lo faranno, fidatevi di chi vi scrive!

Evitando di spoilerare dettagli sulla trama del nuovo Scream – portato sullo schermo da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, duo che ha esordito con l’anarchico Finché morte non ci separi –, è sufficiente raccontare che, dopo la sua ultima apparizione di circa dieci anni fa, Ghostface è tornato a Woodsboro e ha preso di mira un gruppo di adolescenti misteriosamente collegato a quanto accaduto nella cittadina di provincia nel lontano 1996. A collaborare alle indagini sono chiamati anche i corpi iconici di Sidney Prescott – la celebre final girl interpretata da Neve Campbell –, Gale Weathers – la reporter d’assalto impersonata da Courteney Cox – e Dewey Linus Riley – sceriffo ormai in pensione a cui presta il volto David Arquette. Cosa farebbe un serial killer cinefilo nel 2022? Tradurrebbe nella realtà un elevated horror o uno slasher duro e puro? E in che modo coinvolgerebbe il suo fandom nella carneficina?
Nume tutelare di questo requel – vocabolo utilizzato da un personaggio di Scream per definire questa strana miscellanea di sequel e reboot già adoperata nel 2018 da Halloween e resa ancora più sistematica da Halloween Kills che, pur scardinando il franchise dai suoi binari abituali, dialoga con la mitologia carpenteriana, cercata costantemente come orizzonte fondativo e unico passato possibile a cui tornare ancora per riattraversarlo secondo punti di vista alternativi – è Wes Craven, il cui immaginario è rievocato mediante la possibilità combinatoria potenzialmente inesauribile degli sguardi secondari che si sono mossi attorno ai protagonisti del suo franchise e alle loro relazioni sociali.

Scream di Bettinelli-Olpin e Gillett aggiorna il discorso filmico dell’originale di Craven allo scontro tra elevated horror e slasher – e, per farlo, chiama in causa i nomi di Jennifer Kent, Jordan Peele, Ari Aster e Robert Eggers, alfieri di un approccio sofisticato alla paura –, al concetto di fan-service e all’impatto conseguente all’esistenza di una nutrita comunità di fan puristi. Cosa accadrebbe se l’universo di Scream fosse tenuto sotto giogo da una coppia di Misery desiderosa di omaggiare il capostipite percorrendo, però, nuovi binari? La nostra certezza è che il creatore di un horror post-moderno capace di riflettere sui meccanismi del terrore classico (discorso portato avanti senza mai perseguire una smaccata atemporalità) che si è nutrito degli incubi di almeno tre generazioni – quella segnata dalla follia del Vietnam e dalla trasformazione dell’American Dream in American Nightmare ne L’ultima casa a sinistra; quella attraversata dall’ipocrisia borghese anni Ottanta in Nightmare-Dal profondo della notte; e, infine, la generazione iconoclasta e in preda a un irredimibile horror vacui in Scream – avrebbe apprezzato la myse-en-abyme del suo mondo e la sua traslazione verso un horror fluido, la cui scrittura è caratterizzata da un continuo work in progress da parte dei suoi protagonisti che, mentre vi recitano, parlano dello sviluppo della struttura del film.

Quindi, cosa rimane? Il paradossale desiderio di essere all’altezza del passato ma, allo stesso tempo, di rileggerlo e superarlo discostandosene, l’emozione di poter tornare in una sala buia e vibrante, percepire il respiro del pubblico, sentire ridere il vicino di poltrona e sobbalzare al primo omicidio di Ghostface, consapevoli dell’immortalità dei racconti di paura. Nessun genere come l’horror è in grado di riscrivere di continuo la realtà e tradurla in forme potenzialmente infinite, di dare vita a un (Overlook) Hotel di archetipi da piegare al presente e di giocare con i traumi reali e quelli fittizi – sineddoche di ciò che, in fin dei conti, fa il cinema, danza di fantasmi in lotta tra loro con l’obiettivo di provare ad allungare la propria esistenza ancora per qualche minuto prima di spirare tra i gorghi oscuri di un vaso di Pandora in attesa di essere riaperto. All’infinito.
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