
Il meglio dal 31. Noir in Festival – Seconda parte
Ritorna a Milano il Noir in Festival, l’evento che, da ormai 31 edizioni, rappresenta un appuntamento fisso per tutti gli amanti del brivido e del mistero. Fra letteratura, cinema e fumetti lo spettatore si perde in un caleidoscopio di sensazioni, suggestioni e incontri imperdibili, dove per ritrovarsi non basta l’intuito di un detective.
Delle varie proiezioni e dei vari film che abbiamo visto vi proponiamo questo secondo best of, per raccontarvi al meglio le nostre impressioni e i nostri colpi di fulmine.

Noir in Festival – Inexorable
Inexorable segna il ritorno di Fabrice Du Welz dietro alla macchina da presa dopo il suo ultimo lavoro: Adoration. Il regista belga torna a dirigere un thriller sensuale e morboso, scritto a sei mani con Joséphine Darcy Hopkins e Aurélien Molas. Con questo film, già presentato al Torino Film Fest, il regista belga conferma il suo amore per i rapporti disfunzionali e maniacali, sublimati in un misto di passione e morte.
Marcel Bellmer (Benoît Poelvoorde) ha da poco raggiunto il successo grazie al suo romanzo Inexorable e sta cercando ora l’ispirazione per scrivere una nuova opera. A questo scopo decide di trasferirsi nell’immensa villa della moglie Jeanne (Mélanie Doutey), il cui defunto padre era il suo editore. lo scrittore si trasferisce così, insieme alla moglie e alla figlia, Julie, nella magione, percependo però un timore reverenziale verso il suocero deceduto e verso la consorte, sua nuova editor e principale sostenitrice economica. La quiete della villa sembra ispirare nuovamente lo scrittore, ma ben presto una misteriosa ragazza, Gloria (Alba Gaïa Bellugi), irrompe nella vita della famiglia facendo emergere trame e segreti nascosti del passato di Marcel che porteranno lo scrittore a fare i conti con i suoi fantasmi privati…
Ancora una volta, come già era accaduto nel suo primo lungometraggio, Calvaire, Du Welz mette in scena la dualità fra natura e cultura. Il rapporto fra Marcel e Jeanne è l’emblema della noia e della stanchezza della classe borghese che, ormai priva di stimoli, cerca in ogni modo di preservare il suo benessere attraverso l’unica forma di potere di cui ancora dispone: il denaro.
Ed è proprio in questa stasi che arriva Gloria. Dalla foresta, dalla natura più profonda, come un giovane Dioniso fra le Baccanti, Gloria porta tutto il suo spirito sanguigno e ferino in una casa vuota, priva di amore e di vitalità. La donna riesce così a riaccendere la fiamma dell’erotismo in Marcel, di cui lei è una folle ammiratrice; diventa amica della figlia, che non ha amici con cui trascorrere l’infanzia e scatena le ire di Jeanne, che vede nella nuova arrivata una versione più giovane e attraente di sé.
Lo scenario che si presenta agli occhi dello spettatore quindi è molto classico, ma efficace in quanto le figure che si presentano sullo schermo incarnano archetipi universali. La principale abilità di Du Wlelz è infatti quella di creare un equilibrio precario in una situazione ordinaria che degenera lentamente fino all’estremo delle conseguenze. La recitazione concitata degli attori è di fondamentale importanza nel film: da un’impostazione teatrale classica ed elegante si passa via via a una danza animalesca in cui i corpi sono centrali per esprimere sentimenti carnali.
Prima dell’amore degenerato e dell’omicidio truculento però, Inexorable è una fortissima critica sociale ai paradigmi stanchi e stantii della borghesia europea che imprigiona sé stessa in una routine apatica e ripetitiva. Non a caso la scena più traumatica non è il folle exploit finale, ma la danza inquietante di Lucie durante la festa del suo compleanno, quando di fronte a parenti e amici, dal palco di un piccolo teatrino, interpreta con foga epilettica un brano Death Metal come per liberarsi del suo disagio esistenziale

Noir in Festival – Vanishing
Dopo undici anni di lavorazione Vanishing debutta in Italia al Noir in Festival, dopo la prima internazionale al Busan international Film Fest. Adattato dal romanzo di Peter May The Killing Room, il film, a metà fra la storia d’amore e il thriller poliziesco, vive a cavallo fra Francia e Corea del Sud.
La storia segue le vicende di Alice(Olga Kurylenko), una scienziata forense che ha inventato una tecnica rivoluzionaria per scoprire l’identità dei cadaveri gravemente danneggiati. In visita in Corea del Sud per una conferenza con la sua personale interprete (Ji-won Ye), riceve la disperata richiesta di aiuto di Jinho (Yoo Yeon Seok), detective di polizia alle prese con il ritrovamento di alcuni strani cadaveri decomposti. Detective e dottoressa scopriranno presto che dietro quei cadaveri si nasconde un mistero ben più complesso che cela le mire una bieca organizzazione di trafficanti di organi.
Vanishing non è un film che rimane nella memoria dello spettatore per la sua trama o per l’atmosfera che crea, bensì per l’incredibile sottotesto antropologico che lo caratterizza: il film infatti è unico nel suo genere, in quanto costituisce un ponte fra Oriente e Occidente, fra il fascino glaciale francese e il dinamismo ipercinetico coreano. La doppia anima del film si riflette proprio in quella dei suoi due protagonisti, a loro volta impersonati da due attori con due stili recitativi completamente diversi: da un lato l’elegante, algida e composta dottoressa impersonata dalla Kurylenko; dall’altra l’ispettore istrionico, dinamico e intuitivo di Yoo Yeon Seok.
L’abilità del regista è proprio quella di destreggiarsi in una cultura completamente diversa dalla sua, senza nemmeno conoscere una parola di coreano, ma affidandosi completamente alla musicalità degli attori, dei loro gesti e dei loro movimenti cercando di rendere naturali e armoniose le loro performance. Non solo a livello recitativo, ma anche a livello narrativo il lavoro che è stato fatto da parte del regista sulla sceneggiatura è millimetrico: le differenze linguistiche e le piccole sfumature di significato sono state analizzate e riadattate continuamente, proprio al fine di rendere tutte le parti della sceneggiatura coerenti nel loro insieme. L’effetto finale funziona perfettamente e stupisce per la sua complessa stratificazione culturale. Certo, forse la trama pecca leggermente di ripetitività, ma, come già detto, la forza del film sta nel suo realismo antropologico che gli consente di essere apprezzato sia da un pubblico francese che coreano.
Non a caso infatti, quando il regista ha chiesto al pubblico del Busan International Film Fest se il film avesse un’anima più coreana o europea, la maggioranza non ha avuto dubbi a riguardo: “Coreana”.

Noir in Festival – Vesuvio or How They learned to live between volcanoes
Cosa ci fa un documentario in concorso al Noir in Festival e perché viene incoronato da Birdmen Magazine come il miglior film presente al festival? La risposta è molto semplice: spesso la realtà fa molto più paura di qualunque storia di fantasia. Ed è proprio questo il principio della tensione drammatica che sta alla base del film di Giovanni Troilo, distribuito da I Wonder Pictures.
Nell’area metropolitana di Napoli, una delle più densamente popolate del pianeta, schiacciata tra il Vesuvio ed i Campi Flegrei, vivono circa un milione di persone. Questi individui trascorrono le loro esistenze nella costante paura di un’eruzione, che potrebbe letteralmente cancellare l’intera città e tutte le sue provincie, come successe nella famosa eruzione di Pompei.
In un caleidoscopio di storie, spesso al limite del paradossale, racconti e testimonianze delle persone che vivono da decenni ai piedi di questi vulcani, il documentario indaga il rapporto fra la terra e i suoi abitanti, fra il pericolo e il bisogno di normalità, fra la paura e la follia. Senza alcun giudizio, si analizzano le ragioni razionali e irrazionali che inducono i cittadini a vivere questo rapporto di reciproca complicità con la montagna nera.
Il regista fotografa con una lucidità disarmate una condizione precarietà costante e paura imminente. Attraverso la voce di uno scienziato che fa da Cicerone, lo spettatore viene portato dentro la bocca del vulcano, venendo a conoscenza della terribile potenza di questo gigante addormentato. E mentre i vari abitanti della città si raccontano davanti alla telecamera, ci rendiamo conto di quante vite potrebbero spezzarsi ed essere polverizzate in un istante se la tragedia si verificasse.
Eppure, mentre la telecamera esplora le vite degli abitanti della città entrando nelle loro case, scopriamo una strana condizione: molti sono felici di farlo, sono felici di vivere sopra una polveriera pronta ad esplodere. Alla monotonia di una vita vuota e dozzinale preferiscono la vertigine del rischio e l’ebrezza di un brivido costante.
Non ci sono killer né intrighi amorosi né delitti passionali in questo bellissimo documentario. Non ci sono storie di paura o gialli che ti tengono con il fiato sospeso. C’è solo la realtà nuda e semplice e proprio qui sta la potenza della riflessione che ha spinto i selezionatori a inserire il documentario nel programma del festival.
Quello che si percepisce è un silenzioso senso di morte che aleggia per tutto il film e l’orrore si manifesta sempre più palpabile, man mano che la Natura apre le sue maestose fauci. Lo spettatore alla fine del film capisce quindi che non può opporsi in alcun modo a questa condizione di pericolo, ma può solo pregare di trovarsi il più lontano possibile dal Vesuvio, quando un giorno erutterà distruggendo ogni cosa.
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