
Dubbi sulle nomination di “Black Panther”
Ho aspettato il film di Black Panther come un bambino aspetta il Natale per nove lunghi anni, fin da quando nel 2009 vidi per la prima volta la serie animata/motion comic di Reginald Hudlin e John Romita Jr. Fu una rivelazione per me quella serie perché feci veramente conoscenza di un personaggio pienamente marvelliano ma che di americano, come è ovvio, aveva ben poco o comunque meno della media degli altri personaggi. Forse all’epoca ero ancora più polemico di adesso, ma trovavo semplicemente grandioso che in un fumetto di supereroi ci fosse spazio per mettere in discussione l’imperialismo contemporaneo americano, la centralità della cultura occidentale e la narrazione storiografica comune, secondo la quale il progredire dell’umanità sarebbe contraddistinto da un positivistico progresso. Questo e molto altro impregnava la serie che mi aveva fatto innamorare del personaggio creato da Stan Lee e Jack “The King” Kirby negli anni sessanta. Quando quindi, quasi un anno fa, andai al cinema a vedere la trasposizione cinematografica della Pantera Nera diretta da Ryan Coogler, il mio entusiasmo era alle stelle e posso dire, una volta uscito dalla sala, di non essere rimasto deluso. Black Panther è un ottimo film, avvincente, ben orchestrato, con degli ottimi personaggi e, seppur in modi e quantità diverse rispetto al fumetto (come accade sempre per ogni cinecomic), impregnato di quelle tematiche e discussioni che a mio avviso avevano reso grande la serie animata sopramenzionata e in generale l’intera serie editoriale del personaggio. Non sono d’accordo con chi parla di sopravalutazione mediatica; certo lungi dall’essere un film perfetto e privo di difetti, ma nessuna delle sue mancanze è tale da oscurare la riuscita del prodotto finale. Fatte queste premesse, la cosa più naturale che ci si potrebbe aspettare a questo punto è il mio entusiasmo per le recenti candidature (sette!) agli Oscar del film: ebbene, non è così. Le candidature agli oscar di Black Panther sono, a mio avviso, il colpo di grazia che mancava al film per essere definitivamente bollato come “politicamente corretto” o, come dicono negli Stati Uniti, “forced diversity” (diversità forzata). Procediamo con ordine e in particolare con l’ordine delle candidature:
Migliori costumi
Forse la candidatura che mi sento di mettere meno in discussione. Benché non si raggiunga l’eccellenza neanche in questo frangente, bisogna riconoscere il lavoro certosino e antropologicamente accurato della tre volte candidata all’Oscar Ruth Carter, storica collaboratrice di Spike Lee. Paradossalmente proprio il costume del protagonista risulta essere il meno interessante a fronte dei costumi tipici wakandiani ispirati a loro volta a quelli delle culture indigene dell’Africa Centrale. Vistosi e appariscenti ma allo stesso tempo curati e mai banali, i costumi non meritano probabilmente l’Oscar ma sicuramente chiunque altro lo vincerà quest’anno potrà dire con giusto orgoglio di aver battuto quelli di Black Panther.

Miglior missaggio sonoro
Una candidatura (e un Oscar aggiungerei) della quale si fa fatica a capire il senso. Che significa “missaggio sonoro”? L’equilibrio tra parlato, musica e effetti sonori? Se è questo che si intende allora Black Panther non merita certo una simile candidatura. Sia chiaro, non stiamo parlando di un film sgradevole all’udito e neanche di un capolavoro sonoro ma di un film, in questo senso, semplicemente nella media per un prodotto di Hollywood. Questa, come molte altre categorie, ha l’aria di essere una candidatura decisamente farlocca, atta solo a far numero per un film che, a torto o a ragione, ha fatto molto parlare di sé. Forse A quiet place di John Krasinski meritava questa candidatura più di ogni altro film e invece è stato inspiegabilmente snobbato. Dove invece non stati snobbati, né l’uno né l’altro film, è la categoria per il…
Miglior montaggio sonoro
Ecco, questa candidatura ha molto più senso. Durante tutto il film il suono è un elemento preponderante, senza il quale non possiamo comprendere l’incedere inevitabile degli eventi che porteranno al finale. Nessun rumore è mai sprecato, nessun suono è mai inserito a caso, ogni elemento uditivo, tra musica, voci e rumore, è centellinato al meglio per immergere lo spettatore in un’atmosfera unica. Ovviamente sto parlando di A quiet place.

Migliori scenografie
Black Panther è un film ambientato in un’Africa costruita interamente a computer. Il resto delle scenografie proviene dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud (!). Non c’è neanche un minuto di girato di Africa. Basta questo per capire l’assurdità di una simile candidatura.

Migliore colonna sonora
Se c’è un difetto che accomuna TUTTI i film Marvel Studios è l’insignificanza di ogni colonna sonora. Non parliamo di “brutte” colonne sonore, ma semplicemente non memorabili. Riuscireste a canticchiare il tema musicale di Dr. Strange, Iron Man o Thor? O visto che siamo in argomento di Black Panther? Ecco, capite bene quanto questa candidatura risulti ridicola.
Miglior canzone originale
All the stars di Kendrick Lamar è, per intenderci, la canzone dei titoli di coda. Orecchiabile, ballabile e con un testo affatto male, ma niente che valga la pena candidare agli Oscar, specialmente quando concorrono per la stessa categoria le canzoni del nuovo Mary Poppins. Ancora una volta fuffa solo per far numero. Infine, arriviamo alla candidatura più inspiegabile di tutti…
Miglior film
Sul serio, miglior film? Questa candidatura proprio non si spiega. Non dirò mai abbastanza su quanto Black Panther sia importante per l’industria mainstream dell’intrattenimento, ma una candidatura come miglior film è decisamente troppo. Black Panther è un cinecomic molto al di sopra della media, questo è indubbio, ma non per questo merita di essere considerato tra i papabili al miglior film dell’anno. Certamente parliamo di un film che per molti motivi ha fatto la storia, uno su tutti l’essere il terzo maggior incasso americano di tutti i tempi (non male per un film a maggioranza di cast nera), ma neanche questo giustifica la sua presenza agli Oscar quest’anno. Questa candidatura, sponsorizzata grandemente dal boss dei Marvel Studios Kevin Feige, ricorda troppo da vicino l’endorsment che Walt Disney fece a James Baskett nel 1948 per Song of the South. Ma se negli anni quaranta la scelta di Walt Disney poteva avere un suo perché dato i tempi, per certi aspetti, ancora più problematici di adesso, la scelta di candidare Black Panther come miglior film in questo periodo storico, anch’esso indubbiamente problematico per quanto riguarda la questione razziale, non farà altro che alimentare il dissenso di ambo le parti, sia dei conservatori, che grideranno ancora una volta al fastidiosissimo “politically-correct”, sia dei più polemici progressisti (tra i quali questa volta si inserisce anche il sottoscritto) che grideranno all’ipocrisia della “quota nera”.
In sostanza, protesto contro le candidature di Black Panther non perché il film non mi sia piaciuto ma esattamente per il motivo contrario. Proprio perché ritengo che sia un film grandioso e per certi aspetti rivoluzionario, Black Panther non meritava di essere candidato in una corsa agli Oscar, come quella attuale, contraddistinta da una ancora più forte crisi d’identità di Hollywood, in un anno poi in cui due film parlano di razzismo (BlacKkKlansman e Green Book), un film parla del Messico (Roma) e un altro film parla della politica americana ai tempi di Bush Jr. (Vice). In questo calderone, Black Panther rischia di essere l’ennesimo feticcio antirazziale a sua volta stereotipato e forzato. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in un’America guidata da una classe media di uomini bianchi (e non solo bianchi) arrabbiati e delusi dalla intellighenzia democratica.
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