
Change le monde, trouve la guerre – Ricordi dissonanti | G8 Project
G8 Project – Il mondo che abbiamo è una rassegna organizzata del Teatro Nazionale di Genova nell’autunno 2021, pensata per riflettere sui primi 20 anni trascorsi dai fatti del 2001. La Sezione Teatro di Birdmen Magazine ha seguito il progetto da vicino. Ecco le nostre recensioni.
Change le monde, trouve la guerre – Ricordi dissonanti
All’interno della cornice del G8 Project, che ha ospitato 9 spettacoli inediti proposti da artisti internazionali, è andato in scena, sul palco del Teatro Ivo Chiesa (ex Teatro della Corte), Change le monde, trouve la guerre, testo scritto appositamente per questa manifestazione culturale dall’autore belga Fabrice Murgia e diretto da Thea Della Valle.
La messinscena offre allo spettatore uno spaccato di vita rivissuta dalla protagonista, interpretata da Irene Petris, una donna belga che ricorda, complice un fortuito passaggio per Genova, i tragici giorni di luglio 2001. Davanti agli occhi del pubblico compare anche la ragazza che fu quella donna (Alice Torriani): 17 anni, cuore colmo di speranze altermondiste e sogni per un futuro migliore, che aiuta la sua sé adulta in un maldestro e forse irrealizzabile tentativo di riordinare i momenti confusi di vent’anni prima.

Momenti resi tangibili dalle riprese video che la ragazza aveva ingenuamente registrato durante quella strana vacanza adolescenziale, che scorrono incessantemente sull’imponente ledwall che ricopre tutto il fondale e che costituisce l’elemento fondamentale di tutta la scenografia. Immagini dissonanti che evidenziano il surreale clima in cui Genova ha respirato in quell’estate, prima che la violenza prendesse il sopravvento, prima che l’infanzia e l’innocenza di quella donna scomparissero per sempre.
Ma non sono solo i mezzi tecnici a svolgere una funzione di mediazione tra i due estremi di questo dialogo troncato tra presente e passato (oltre al video, sono molto presenti le musiche originali che accompagnano l’intera durata dello spettacolo, scandendo spesso in maniera ineludibile il ritmo delle battute). C’è una terza figura, interpretata da Emanuele Righi, che prende le sembianze di tutto ciò che il ricordo della donna suggerisce alla ragazza: ora è il padre di lei che non vuole che parta per l’Italia, ora il commesso che le vende la telecamera, e poi il politico, il ragazzo con cui condivide il viaggio, infine il poliziotto che la colpirà su un orecchio col suo manganello. Insomma, si tratta di una sorta di jolly drammaturgico dai contorni poco definiti che accentua ulteriormente l’atmosfera multiforme ed imprecisa del ricordo.

Dunque al pubblico viene restituito questo ammasso di ricordi contrastanti, che corrispondono a emozioni e sentimenti contrastanti, solo precariamente ordinati lungo il filo dell’ordine cronologico degli eventi, che parte da qualche mese prima del summit internazionale, per arrestarsi il 22 luglio 2001. Non si tratta di un’esperienza di facile narrazione, e se la comunicazione tra personaggi e spettatori va a buon fine lo si deve soprattutto a due fattori.
Il primo è il coraggioso utilizzo della tecnologia. Infatti, costruire uno spettacolo, ponendo come fondamenta di tutta la prima parte i tempi di un video dal montaggio quasi convulso e di un metronomo incessante, costituisce una scelta molto rischiosa. Tuttavia, il gioco a incastro tra i vari media si è rivelato un ottimo strumento per conferire al ricordo un taglio documentaristico, che coincide con il linguaggio più utilizzato, anche da chi c’era, per riguardare ai fatti di qui giorni tristemente noti di vent’anni fa.

Il secondo è la sapiente combinazione di registri portati in scena dagli attori: Irene Petris rimane pressoché asettica per tutta l’opera, ben restituendo la disillusione di chi ha vissuto qualcosa di indicibile, mentre Alice Torriani ed Emanuele Righi le contrappongono interpretazioni decisamente più mosse. Questa dicotomia accentua enormemente il divario, che vive nella storia della donna belga, come in tutti noi che la osserviamo, fra il prima e il dopo.
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