
Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time – I ragazzi che gridarono Amore nel cuore del mondo
Il 13 agosto Amazon Prime Video ha rilasciato in digitale Evangelion 3.0+1.01 – Thrice Upon a Time, capitolo finale della tetralogia Rebuild of Evangelion, iniziata nel 2007 e concepita come riscrittura della serie animata Neon Genesis Evangelion (1995-1996). Per chi dovesse ancora vederlo, questa recensione è senza spoiler!
1. You can (not) explain
Non ha voglia di vivere, ma non vuole morire.
– Asuka Shikinami Langley
Ci sarebbero così tante cose da dire su questo film enorme, ambizioso e pieno di vita. Conviene partire da una considerazione di base: Evangelion è cambiato. Nel corso del tempo il progetto Rebuild è stato visto di volta in volta come remake, reboot o sequel della serie originale: Evangelion 1.0 ne seguiva fedelmente gli eventi raccontandoli con qualche minimo aggiustamento, ma già Evangelion 2.0 se ne distaccava, con scelte narrative radicalmente diverse soprattutto nel finale. Evangelion 3.0 osava ancora di più, spostando l’asse temporale del film a 14 anni dopo gli eventi di 2.0 e proiettando i fan della saga in un tour de force spiazzante. Thrice Upon a Time porta quindi sulle spalle la responsabilità di un racconto lungo 26 anni e si articola in tre grandi segmenti, che riannodano molti dei fili narrativi rimasti finora in sospeso.

Il film si apre con una grandiosa sequenza di combattimento ambientata in una Parigi deserta, che richiama da vicino gli episodi finali di Nadia – Il mistero della pietra azzurra, serie creata, come Evangelion, da Hideaki Anno. Dopo questa ouverture folgorante e dinamica, l’azione si placa e la narrazione si sposta in una campagna postapocalittica, seguendo un ritmo lento e meditativo. Rei Ayanami – uno dei personaggi in cui era più difficile immedesimarsi: clone artificiale di una madre, ma incapace di elaborare i suoi sentimenti – è la protagonista di questo segmento molto particolare per i canoni di Evangelion ma davvero emozionante. Scoprendo gli altri, Rei scopre se stessa come donna e viene a contatto con il mistero della maternità. Finalmente libera, Rei si appropria del suo corpo e della sua identità: è l’alba di una coscienza nascente, un processo che passa innanzitutto attraverso i nomi. Ayanami, imparando a dare un nome alle cose, le comprende e le accoglie dentro di sé: in questo modo capisce che – essendo lei stessa profondamente cambiata – anche a lei serve un nuovo nome e chiede aiuto a Shinji. Una delle intuizioni più commoventi del film è questa: donare il nome a una persona è un atto d’amore sincero e potente che crea un legame basato sulla fiducia reciproca.

La tecnica dell’animazione (qui, ma anche nel resto del film) è a livelli di eccellenza, soprattutto per come riesce a integrare disegno tradizionale e CGI. Come sempre la costruzione dell’inquadratura è ricca, attenta e complessa e ogni scelta visiva è motivata. Verso il finale in particolare, si assiste a un intervento massiccio della CGI che può suscitare alcune perplessità, ma in quel caso il contrasto fortissimo tra la tridimensionalità del digitale e la bidimensionalità delle animazioni tradizionali è voluto e ottiene un effetto di straniamento davvero efficace.
Con il secondo atto, cambia l’ambientazione e cambia anche il ritmo: la narrazione riprende impetuosa e si arricchisce d’azione. Si susseguono varie battaglie, animate con vorticosa chiarezza e un sontuoso senso dell’epica. Spesso il Rebuild è stato accusato di concentrarsi troppo sull’azione pura, a differenza della serie originale; ma se l’azione è sempre stata parte di Evangelion, qui è più che mai essenziale. Ogni gesto, ogni mossa di combattimento non è mai vana o superficiale ma dice sempre qualcosa del personaggio che la realizza: i personaggi parlano anche e soprattutto tramite il loro modo di combattere.

Nel terzo atto infine, il regista Hideaki Anno si apre allo spettatore con una chiusura metacinematografica che fa emergere la vera natura di 3.0+1.01. Thrice Upon a Time è un film d’autore nel senso più puro della parola, un’opera in cui la finzione combacia con la vita e l’interiorità del suo creatore. L’impressione è che Anno abbia realizzato questo film innanzitutto per se stesso e solo in seconda battuta per gli spettatori: 3.0+1.01 è un congedo personale, un saluto intimo dell’autore prima di lasciar andare la sua creatura più importante. Questo diventa, retrospettivamente, la chiave per leggere tutta l’operazione Rebuild: non un reboot, ma una ri-narrazione che si intreccia a fondo con il vissuto del regista. Con questo quarto pannello la tetralogia acquista un senso nuovo, che aggiusta la direzione già intrapresa in The End of Evangelion: allo spettatore Anno chiede ciò che – possiamo ipotizzare – ha chiesto a se stesso in questi anni di produzione, ovvero lo sforzo di sviluppare la maturità necessaria a staccarsi da un’opera di fantasia, non dimenticando ciò che essa ha suscitato ma superando quella fase “adolescenziale” di attaccamento alla finzione e guadagnando la consapevolezza necessaria per distinguere realtà e immaginazione.
2. You can (not) go back
Hai imparato ad ascoltare gli altri e ad accettare la morte: sei diventato un adulto, Shinji.
– Gendo Ikari
Evangelion 3.0+1.01 è il lavoro della maturità di Anno, che riesce a raggiungere un equilibrio miracoloso tra azione e introspezione, tra epica ed evoluzione psicologica dei personaggi. Thrice Upon a Time contempera nei suoi 155 minuti entrambi i precedenti finali (gli episodi 25-26 della serie da un lato e il film The End of Evangelion dall’altro, che già erano tra loro complementari): in questo modo si perde una parte della carica misteriosa ed enigmatica che aveva sempre caratterizzato la saga, ma si guadagna una profondità inedita e finora mai raggiunta nel gestire le relazioni e le dinamiche tra i protagonisti.
C’è tantissimo da decodificare e scoprire a ogni nuova visione del film, ma è chiaro fin da subito quale sia il suo cuore: il tentativo di crescere, e quindi anche la capacità di accettare che il tempo non si può riavvolgere, che non si può tornare indietro. Shinji, Asuka, Rei, Misato, Gendo, Kaworu: tutti i personaggi maturano, evolvono, sono cresciuti. Ora capiscono (e noi assieme a loro) che tutto ciò che è accaduto, è servito in qualche modo a farli diventare ciò che sono. Questo vale anche per Anno stesso: Eva 3.0+1.01 riprende in certi aspetti la struttura e gli eventi di The End of Evangelion, ma variandoli. È una ripresa con evoluzione: il passato della saga non è una catena che paralizza né un fardello da ignorare, ma una parte del percorso, essenziale come tutte le altre per crescere.

Evangelion è cambiato perché Anno è cambiato: prima il focus della saga era il rapporto dell’io con gli altri e le relative difficoltà. Ora l’attenzione si sposta decisamente verso quest’altro polo: il passare del tempo e il cambiamento. Un cambiamento interiore e personale (Anno sembra essere finalmente riuscito a uscire dalla depressione che lo affliggeva da tempo) che si riflette in un deciso cambiamento a livello narrativo e di tono. Se TEOE era l’opera magnifica e terribile di un autore in crisi, deluso e infuriato, questo 3.0+1.01 è invece il frutto di una mente più serena, magari non del tutto pacificata con se stessa ma certamente più capace di elaborare le proprie difficoltà e farle convivere con quanto di buono si può trovare nella relazione con l’altro. Anno mostra dunque di non rinnegare tutto ciò che di negativo ha vissuto, ma di averlo assorbito, metabolizzato e dialetticamente superato: Thrice Upon a Time è un film profondamente dialettico, che trova il modo di riunire le tante anime della saga per congedarsi con un finale luminoso e inaspettato.

Tutta l’opera è permeata dall’autunnale e inevitabile sensazione del tempo che passa: mentre in Eva 3.0 ciò destabilizzava sia i personaggi sia gli spettatori, questa volta si giunge a un’accettazione limpida, adulta e serena. Lo incarna perfettamente il giovane Ryoji Kaji, che compare per pochi minuti ma lascia un segno profondo, perché è il correlativo oggettivo dei 14 anni che sono passati: con la sua presenza, chiede a Shinji e allo spettatore di crescere, accettando di diventare adulti.

Ryoji è anche un esempio di come Anno sappia tratteggiare i personaggi donando loro grande profondità anche in pochissime scene, mettendo a frutto le complesse relazioni che li legano e che creano in loro stratificazioni di significati: Rei, divisa tra l’essere ciò che rimane della madre di Shinji e l’amarlo come compagno; Misato, splendida e complessa figura genitoriale sia per Shinji, sia – in silenzio – per Kaji; Asuka, che con la sua irruente e fragile aggressività diviene uno dei personaggi più commoventi e umani.

Anche l’amore, così, si rivela essere al centro di tutto: amore genitoriale, amore da pari a pari, amore inteso più in generale come apertura all’altro, condivisione e perdono. Sono amori sghembi, asimmetrici e per questo così suggestivi e potenti.
3. You can (finally) love
Tu desideri ancora un mondo complementare. Non cambierai proprio mai, Shinji.
– Kaworu Nagisa
Evangelion 3.0+1.01 – Thrice Upon a Time è un film grande e meraviglioso che sazia, che non lascia un vuoto ma riempie e commuove, scegliendo di farlo sempre nel modo meno scontato e più genuino. È questo – a parere di chi scrive – il miglior finale possibile, un finale che sceglie di concentrare le sue forze non sul lato puramente narrativo ma più su quello emotivo. Thrice Upon a Time conferma che Evangelion è prima di tutto un’esperienza da vivere, un’occasione di formazione non solo per Shinji, Asuka e Rei, ma anche e soprattutto per il loro creatore e per chi ha seguito la saga: Anno traccia una linea, una direzione autoriale precisa, ma lascia allo spettatore la libertà di venire a patti nel modo più personale con la fine di questa saga e con il destino che spetta ai vari personaggi. 3.0+1.01 è un film che fa male e al contempo cura, usando tutte le forze che ha per spingerci a essere migliori. È un film che proprio nel momento più disperato si rivela carico di speranza e grida a tutti noi quanto sia potente l’amore in tutte le sue prismatiche, sempre cangianti forme.

Cosa resta, alla fine? Una strana malinconia che cede il passo a un ottimismo senza rimpianti e al desiderio di non ripetere il passato, ma di ricordarlo per andare avanti, abbandonando Evangelion come opera di finzione per poterla osservare con sguardo più adulto. È questo il valore del congedo, l’importanza di saper lasciare andare qualcosa a cui teniamo. Quindi, prima di salutarli per l’ultima volta con la comparsa dei titoli di coda, è giusto ringraziare Shinji, Rei e Asuka e fare le congratulazioni a questi tre ragazzi che hanno osato gridare Amore nel cuore di un mondo nuovo, ancora tutto da scrivere.

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[…] Dopo venticinque anni, Evangelion si è concluso con l’ultimo tassello della nuova tetralogia cinematografica. Thrice Upon a Time è un’opera dalla mole creativa quasi soffocante, un ritorno su temi e contenuti classici ma anche un completo remix di quanto già visto sotto il nome di Evangelion. Con gli occhi sorprendentemente pieni di speranza, il capitolo finale torna sull’obbligo di venire a patti col passato e sulla ricerca di un’identità e dell’accettazione di sé nel rapporto con gli altri, chiudendo nel segno di una malinconica maturazione la storia dei piloti degli Eva. Mentre lo studio d’animazione Khara ha trovato finalmente una formula in grado di permettere la coesistenza di uno stile contemporaneo con il fascino estetico del prodotto originale, Anno ha invece dato nuove domande a chi cercava risposte definitive. Una scelta forse amara per una parte del pubblico, ma pienamente coerente con lo stile dell’autore. Lorenzo Botta Parandera / Leggi la recensione […]
Il film mi è piaciuto, tuttavia la tetralogia nel suo insieme non mi ha entusiasmato. Mi ha dato l’idea che dopo tanti spiegoni la soluzione per ogni depressione alla fine è trovarsi una ragazza. Troppo semplicistico e inutilmente complesso.