
Appunti per un articolo su Mario Marenco
Il secondo anniversario di una ricorrenza passa facilmente in sordina: gli si preferiscono il primo, il decimo e i numeri tondi in generale, che suscitano sempre un grande scalpore. Certo si tratta semplicemente di convenzioni, e le convenzioni non si sposano benissimo con il personaggio di cui intendiamo parlare, che porta il nome di Mario Marenco e di cui, purtroppo, ricordiamo oggi la data della scomparsa. Data la natura anticonvenzionale del suo soggetto, che sfugge a schemi e definizioni, ciò che state per leggere non avrà alcuna pretesa di esaustività: vuole piuttosto essere un insieme di riflessioni messe insieme provando a destreggiarsi nella complessità, un tassello in un mosaico ancora in costruzione, con la volontà di aprire un discorso che nel frattempo faccia emergere Marenco da una semi-oscurità decisamente immeritata. Si tratta del parere di chi scrive, certo, ma il tentativo qui è convincere chi legge della stessa cosa, mentre aspettiamo un anniversario a cifra tonda. Proviamo dunque a cominciare.
Qualunque breve ricerca sul web vi fornirà le informazioni biografiche su questo signor Marenco: foggiano, architetto, ha ottenuto borse di ricerca a Stoccolma e a Chicago, ha progettato oggetti come il divano Marenco e la sedia Movie; oltre a questo, Mario Marenco ha lavorato anche alla radio e alla televisione, ha recitato in qualche film e ha scritto dei divertenti libri. Con il suo stile, spesso definito surreale, ha portato un elemento di novità nella comicità italiana, influenzando il lavoro di altri – uno su tutti, Nino Frassica – e creando discorsi, riflessioni ed entusiasmi: di lui ha scritto Aldo Grasso, e Federico Fellini avrebbe voluto farne il protagonista de La Città delle Donne.
Ne L’Altra Domenica, condotto da Renzo Arbore fra il 1976 e il 1979, Mario Marenco interpreta un personaggio che porta il nome di Mr. Ramengo, un inviato speciale decisamente sopra le righe. In un programma in cui questo costituiva uno degli elementi portanti, Mr. Ramengo si prende gioco dell’idea del servizio televisivo per cui valga la pena portare le telecamere fuori dallo studio: ogni volta che gli viene chiesto di parlare di qualcosa egli elude il discorso, si perde nei propri flussi di coscienza, usa il mezzo televisivo per i propri comodi – celebre è rimasto il suo grido, «Carmine!», a chiamare un timido amico per farlo inquadrare dalla telecamera – e non mostra il minimo rispetto per l’autorità, che questa venga rappresentata dal presentatore, che tenta invano di riportarlo all’ordine, o dalle telefonate dei propri superiori quando viene promosso a corrispondente per il telegiornale.
Mr. Ramengo sta davanti alla telecamera e sembra non prestare il minimo interesse per ciò che ci si aspetta da lui, fa o dice semplicemente ciò che il momento e l’ambiente gli suggeriscono. Questo è un principio che potremmo dire valere per la carriera artistica dello stesso Marenco: c’è un desiderio di esprimersi che spesso risulta spiazzante, senza un apparente interesse per il contesto, per il modo in cui ciò che viene fatto sarà ricevuto.
Nel 1982, ospite a Blitz ed esortato da Arbore, che osserva come egli sembri amare il mondo dello spettacolo senza però voler stare alle sue regole, Mario Marenco stesso scherza e ammette: «il mio motto è: amo, ma me ne frego».
La celebrità di Mario Marenco comincia in realtà prima di Mr Ramengo, con la trasmissione radiofonica Alto Gradimento: in questo programma dinamico, basato sulla musica e sull’improvvisazione, Marenco crea al pari di Giorgio Bracardi personaggi bislacchi, caricaturali o assolutamente surreali, con cui i conduttori Gianni Boncompagni e Renzo Arbore si trovano a doversi relazionare.
Ancora oggi i personaggi radiofonici di Marenco sono considerati indimenticabili da chi li ha conosciuti: il professor Aristogitone, il dottor Anemo Carlone, l’astronauta Raimondo Navarro… Fra questi, anche un poeta, Marius Marenco, che interpreta poesie decisamente particolari come Io e le Ragazze o Sfranta; e proprio una poesia Mario Marenco viene invitato a recitare in occasione del suo debutto televisivo, quando nel 1972 prende parte all’ultima puntata de Il Buono e Il Cattivo e recita L’Azienda, per la gioia di Cochi, Renato, Enzo Jannacci e del pubblico.
Le poesie di Marenco costituiscono qualcosa di estremamente affascinante: piccole riflessioni dai bordi decisamente sfumati, dai nessi logici elastici, surreali e anche, in qualche modo, un po’ malinconiche. Probabilmente il termine “malinconia” non è quello più adatto, eppure leggendole – ma ancor meglio ascoltandole interpretate da lui, quando possibile – emerge qualcosa che Marenco stesso accenna nel corso di un’intervista del 1976, quando viene interrogato sulla natura del suo umorismo: «originariamente penso che questo umorismo è… scaturisce – come dicono gli americani – dalla distonia – come dicono gli americani – tra l’individuo e quello che circonda l’individuo. Quindi l’individuo – io – non si trova a posto nell’ambiente circostante e quindi si trova… fuori posto».
Si tratta di una componente che si riesce a percepire, osservando il comico/architetto al lavoro, scavando un poco, e che si colloca accanto a quella dose di “menefreghismo”, di volontà di fare un po’ come gira sul momento, anche in modo assolutamente rumoroso e disordinato. E tutto questo veicolato da una sensibilità e con scelte di linguaggio che dimostrano un grande acume, dietro ai flussi di coscienza, alle voci alterate e ai tic verbali.
C’è un gusto per il surreale e per il rumoroso, un invito quasi a fregarsene, a sentirsi liberi di spiazzare le aspettative e le convenzioni; e insieme a tutto questo anche il senso di non sentirsi davvero comodi nel luogo in cui si è, di non avere uno spazio definito, sia perché magari un po’ davvero manca la volontà di ritagliarselo ma anche perché, forse, un luogo in cui potersi rilassare del tutto non c’è. Certamente questa immagine del comico che reagisce a una realtà in cui si trova scomodo attraverso la distorsione dei nessi logici ignora la complessità ed è molto facile da idealizzare, ma fa innegabilmente parte del suo fascino: Mario Marenco merita di essere rivisto e ridiscusso, merita la possibilità di farci ridere ancora e ha tutte le capacità per farlo.

Fra i tanti personaggi di Marenco soltanto alcuni sono stati qui citati, e quelli citati probabilmente hanno subito un vero e proprio maltrattamento: oltre a Mr. Ramengo, esistono anche Ida Lonigro, Riccardino, il generale Damigiani, lo studente Verzo, lo chef Léon… Andate a scoprirli e fatevi un’idea, decidete quali sono i più divertenti, di quali sia più stimolante discutere ancora.
Un buon punto di partenza potrebbe essere quello di recuperare il servizio che Odeon – Tutto Quanto fa Spettacolo ha dedicato a Marenco nel 1977 e lo speciale di Rai Storia andato in onda in occasione della sua scomparsa. Guarda caso, i titoli di entrambi fanno riferimento alla doppia natura del loro protagonista: l’architetto e il comico, con una buona dose di “follia”. Come avevamo anticipato, si tratta di una figura complessa, su cui si potrebbe scrivere e riflettere a lungo; per questo, comunque, siamo sempre in tempo per gli anniversari con le cifre tonde. Nel frattempo, rubando le parole allo stesso Marenco (nel momento in cui Marzullo lo esorta a salutare il pubblico in chiusura a un’intervista): «cerchiamo di tenerci in contatto».
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