
Ricomincio da Rai Tre – Trionfo delle Arti su piccolo schermo
Con Ricomincio da Rai Tre Stefano Massini e Andrea Delogu rilanciano l’arte in tutte le sue forme sul piccolo schermo, intrattenendo con leggerezza senza rinunciare a profondità e professionalità. L’ultimo appuntamento del ciclo andrà in onda in prima serata domani 3 gennaio 2021 su Rai 3: tra gli ospiti, William Dafoe e Silvio Orlando.
Dal 12 dicembre, per quattro puntate evento, il Teatro Sistina di Roma ha ospitato Ricomincio da Rai Tre, programma con cui Stefano Massini e Andrea Delogu hanno arricchito la programmazione televisiva del sabato sera di vitalità ed ebbrezza. Se c’è una cosa che il teatro fa è mettere insieme i corpi, e i corpi fanno ancora paura: ne è prova l’esordio del programma, accompagnato da scetticismi e reticenze. In televisione, tuttavia, abbiamo visto corpi martoriati, esposti, immobili, troppo vicini o troppo occultati dalla cornice di uno schermo. Anche lo show in qualche modo ci nega la verità della carne viva attraverso i pollici di uno schermo, ed è innegabile che quel linguaggio intimo che si instaura tra corpi nello stesso spazio non può essere riprodotto. E tuttavia, questo programma è necessario. E lo è perché se in questi mesi di solitaria sopravvivenza la vulnerabilità dei corpi si è mostrata iniqua, e non c’è logica ferrea in grado di spiegare l’insulsa disparità nella lotta, non si può tacere che queste disuguaglianze abbiano segnato un solco profondo nella struttura societaria.

Quello che è successo non solo non ci ha colpiti tutti allo stesso modo nel vigore del corpo e dello spirito, ma ha gravato come macigno su alcuni pezzi di comunità, sfiorandone altri, rafforzandone addirittura alcuni. È anche per queste ragioni che Stefano Massini ha esordito in televisione nella tribuna di arringhe sferzanti che è Piazza Pulita, in uno spazio che Formigli gli ha riservato per provocare e fare appelli infuocati. Massini è stato la voce dei teatranti, certo, ma anche dei rider e dei clown negli ospedali, si è scagliato contro i negazionisti e ha condiviso l’amarezza per lo stato dell’Arte, letteralmente, nel nostro paese. Ma c’è troppo da dire, un desiderio troppo vigoroso di entusiasmare e fare chiarezza che ha spinto l’autore di Lehman Trilogy a proporre un programma tutto suo: una nicchia per ricominciare, non solo per lui – che non si è mai fermato e la cui popolarità è in continua crescita – ma per il Teatro, relitto tra le arti che viene riconsegnato allo schermo.

Pochi giorni fa, Beatrice Dondi sull’Espresso rifletteva sulla portata di novità del programma, concludendo che se il Teatro non è nuovo al piccolo schermo, non è neanche un ospite privilegiato. Eppure, nell’Italia del miracolo dei primi anni Cinquanta, mentre al cinema si affermava il paradigma dominante del “popolare” e della commedia all’italiana, e la televisione faceva boom di ascolti e diventava mezzo di comunicazione di massa, il Teatro entrava con costanza nelle case di tutti gli italiani che progressivamente cominciavano a potersi permettere una televisione. Era una vetrina a lungo gestita dal drammaturgo Sergio Pugliese, che godeva di un certo prestigio: il “teatro dei divi” Gassman e Albertazzi diventava accessibile, spaziando dall’Edipo all’Arlecchino. Senza disincanto, si deve riconoscere che si trattava di strategie comunicative ben disegnate, che andrebbero storicizzate e inquadrate in un programma pedagogico messo in atto nel corso di una guerra fredda culturale in cui la produzione segnalava un preciso schieramento sul mondo diviso a metà. Eppure, tra il “neorealismo rosa” schiacciato dalla way of life americana e la critica alla modernità mediatica, il Teatro a due colori, gli adattamenti, il videoteatro, hanno lasciato la loro impronta per almeno due decenni nella cultura italiana televisiva e, quindi, nazionale. Poi il cortocircuito: Euripide e Miller hanno abbandonato i salotti, inghiottiti dalla manichea distinzione tra “alto” e “basso”, “intellettuale” e “popolare”, e persino “Le baruffe chiozzotte”, storie di pescatori e schermaglie amorose, sono state ricoperte da una patina di desueto e impopolare.

Così, se l’Opera ha ancora una sua visibilità su Rai 5, il Teatro sempre più spesso non passa più neanche nelle fasce notturne, eccezion fatta, ultimamente, per qualche Eduardo più folkloristico. Ricomincio da Rai Tre è per Massini e Delogu – spalla solidissima – un’operazione economica non ingenua, consapevoli che la presenza in prima serata si guadagna a suon di share e di intrattenimento brillante e variegato. Ma è anche un’operazione sociologica, perché se il teatro passa in prima serata può diventare di nuovo glamour, rimbalzare da un tweet a una storia, rendersi di nuovo attraente senza barattare la complessità con la fruizione. E allora ben vengano Lear e Gadda nell’ipnotica tensione di Gifuni, ma anche i Promessi Sposi in dieci minuti degli Oblivion, si parli di Pinelli e si porti il balletto, si mescolino le arti per soddisfare l’appetito di storie che parlano sempre un po’ di tutti noi.
Così facendo non si deve smettere di invocare il ritorno del rito teatrale nel luogo che gli è consono: si può rendere questo uno schieramento più inclusivo. Osteggiare il Teatro in televisione significa condannarsi a un’oscurità parziale, significa censura. Il teatro può tornare di moda e, allo stesso tempo, preservare con grande cura onestà intellettuale e bellezza.
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