
Iper-offerta, pubblico e convergenza. Incontro con Mattia Mariotti sulla serialità televisiva contemporanea
Nella giornata di martedì 4 dicembre la Sezione Spettacolo dell’Università di Pavia ha organizzato un incontro sulla serialità televisiva contemporanea. Ospite di questa conferenza è stato Mattia Mariotti, programming manager presso Sky Atlantic, che ha illustrato lucidamente quali siano le potenzialità e i risvolti problematici emersi negli ultimi anni nella gestione dei prodotti televisivi seriali. Non solo, molte delle sue riflessioni sviluppate in ambito lavorativo si sono dimostrate utili per farsi un’idea più generale su che cosa si debba intendere oggi con la parola “Televisione”.
Risulta evidente a chiunque che produzione e diffusione delle serie TV sono fenomeni attualmente in forte espansione, al punto che si parla di una “Età dell’iper-offerta” che ha superato quella che lo storico dei media John Ellis chiamava “Età dell’abbondanza”. Ebbene, l’ipertrofia di offerta seriale è resa possibile dal fatto che le serie TV soddisfano appieno le esigenze di tutti i soggetti in causa, produttori e spettatori. I primi sono in grado di offrire tante ore di contenuti agli utenti e riempire facilmente gli spazi di programmazione; i secondi beneficiano del piacere della visione di buoni prodotti e della possibilità di seguirli con un interesse prolungato nel tempo. Aggiungerei anche che, soprattutto dal punto di vista espressivo, il modello della serie TV è un’opportunità allettante per certi registi cinematografici che cercano un mezzo per elaborare la narrazione in modo più articolato rispetto al singolo film (da David Lynch e Paolo Sorrentino si è sentito affermare che la serie “È pensata come un film di più ore”).
L’iper-offerta, però, porta con sé altre questioni rilevanti. Dal punto di vista economico-produttivo nasce una competizione molto aggressiva tra concorrenti che non sono più nemmeno solo enti televisivi, bensì enti di telefonia (Tim Vision), piattaforme web di video-sharing (Youtube Premium), aziende di commercio (Amazon Prime Video). Sky Atlantic cerca di rispondere a queste problematiche di mercato offrendo un servizio ben riconoscibile, che aiuti anche a creare un’identità della piattaforma, seguendo criteri di selezione dei prodotti in base a cast, prodotti di spessore, varietà dei contenuti e incentivo a produzioni originali. Differentemente dalla logica ampiamente inclusiva di Netflix, o da quella aggressivamente economica di Amazon, Sky Atlantic si propone di effettuare una selezione equilibrata dentro a una mole sterminata di prodotti affidandosi a un numero contenuto di pezzi forti e originali. Tale operazione è pensata per rispondere a una seconda conseguenza dovuta all’iper-offerta, ovvero l’impossibilità per lo spettatore di stare al passo con tutto ciò che viene prodotto. Si profila, dunque, la necessità di effettuare una selezione.
Qualsiasi linea si adotti per tentare di gestire l’ipertrofia dei contenuti, non si riescono comunque ad evitare le conseguenze più drastiche dell’iper-offerta contemporanea, cioè la frammentazione e la settorializzazione dell’audience. Tutti i player mirano a raggiungere la totalità degli utenti, ma nessuno la ottiene (eccetto il caso Game of Thrones che, appunto, resta una casualità). L’obiettivo costante è di perseguire un effetto totalizzante, entrando a far parte della memoria condivisa e dell’immaginario collettivo. Nel contemporaneo, però, sembra essere la cosa più difficile da conseguire. Certamente le “serie evento” riescono ad avere buona risonanza nei circuiti discorsivi – recensioni, gruppi di fan o di discussione su social network, nuova cinefilia – che ne favoriscono la popolarità e la diffusione, ma resta quasi sempre una visibilità limitata a nicchie, a gruppi. Per molte serie TV è ancora presente l’effetto ritualizzante e aggregante in vista di una discussione collettiva, ma con una portata molto ridimensionata. Il punto, allora, è proprio qui: non si può parlare di un unico immaginario condiviso, ma di più immaginari condivisi. Questo perché non si raggiunge più la massa, bensì gruppi ristretti che vedono i contenuti a loro affini in periodi di tempo che non coincidono necessariamente con l’uscita dei prodotti. Non solo, la fruizione contemporanea si divide tra tante modalità di visione che passano per smartphone, tablet, pc, oltre al televisore.
A questo proposito, il dato più clamoroso emerso dal discorso di Mariotti è che il 50% dell’utenza di Sky passa per il VOD (Video On Demand), perciò non sfrutta più il dispositivo tradizionale (il televisore) per vedere contenuti televisivi (la televisione). Questo indica con evidenza che è drasticamente cambiato il concetto stesso di “Televisione”, che non trova più un proprio specifico nel “televisore” come supporto di visione, ma semmai nei contenuti che produce, i quali passano in grandissima parte attraverso altri media.
Se è estremamente variegata l’offerta di prodotti televisivi, tanti sono anche i supporti attraverso i quali si può godere di tali contenuti. La Televisione sembra vivere con un ritardo almeno ventennale ciò che il Cinema ha già attraversato, ossia la messa in crisi del proprio statuto mediale; ma in questo passaggio si profila una conservazione di fronte a una perdita. La Televisione si salva trasformandosi nei propri contenuti e nel farlo divorzia dal mezzo di comunicazione che era nato per traghettarla. Per questo motivo assume un senso molto particolare la pratica del “Binge watching”, ossia, una tipologia di rapporto con i contenuti che permette di usufruirli interamente in qualsiasi momento e con qualsiasi dispositivo, scollegandoli dall’eventuale programmazione televisiva.
Il potere sembra essere passato nelle mani del pubblico. Un pubblico che non è una massa e che può organizzare autonomamente l’offerta di contenuti in base a ciò che gli viene reso disponibile. Certo, i dati parlano anche di una consistente permanenza di spettatori che preferiscono un’organizzazione dei programmi in forma di appuntamenti rituali; ma la frammentazione del pubblico è soprattutto una frammentazione delle forme di visione su dispositivi mediali diversi.
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