
40 anni di Brian di Nazareth – Monty Python e il lato “british” della comicità
«Guarda sempre il lato positivo!»; una massima perfetta come battuta conclusiva di un film comico. Di certo, però, non è la frase che ti aspetteresti cantata da un gruppo di giudei mentre fischiettano allegramente, appesi alla croce.
Irriverenza, contrasti, satira, spensieratezza. È su questo (e molto altro) che si basa la comicità del sestetto britannico passato alla storia col nome di “Monty Python”.
Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin, questi i nomi dei sei giovani universitari (tutti studenti ad Oxford e Cambridge, ad eccezione dello statunitense Gilliam) appassionati di Teatro e recitazione che orbitano nella sfera del Teatro comico britannico della seconda metà degli anni sessanta.
Avere un forte background culturale può non essere fondamentale per la creazione di buona comicità, eppure sembra essere la formula vincente per una comicità destinata a durare. Sotto un collage a più strati che interseca sketch no-sense, battute demenziali e influenze di slapstick comedy (perfettamente rappresentato a livello visivo dalle animazioni di Terry Gilliam), i Python nascondono (ma non troppo) un cuore profondamente satirico nei confronti della società, che continua a convincere anche il pubblico contemporaneo.
È con la serie televisiva Monty Python’s Flying circus che, all’inizio degli anni settanta, questo surreale minestrone comico trova la sua realizzazione più riuscita. Trasmessa dalla BBC tra il 1969 e il 1974, la serie televisiva si compone di 4 stagioni per un totale di 45 episodi, dove le riprese esterne e le animazioni di Terry Gilliam si alternano a sketch ripresi in diretta in uno studio televisivo. Fuoriclasse indiscussi, con il loro “circo volante” i Python danno luce a una vera e propria antologia della risata: compongono, sperimentano, costruiscono decine di ore di spettacolo, mischiando, in una sorta di joyciano stream of consciousness apparentemente no-sense, le tecniche più variegate del Teatro comico.
Il loro umorismo semplice ma allo stesso tempo pieno di riferimenti culturali li rende tra i comici più popolari al mondo, in particolar modo nell’universo geek: il linguaggio di scripting Python, ad esempio, prende nome dal gruppo, e persino la parola di uso comune “spam” (per indicare l’invio frequente di messaggi indesiderati) trae origine proprio da uno dei loro più famosi sketch.
Passano pochi anni prima che il gruppo inizi a sperimentare con il Cinema. Il loro primo film (E ora… Qualcosa di completamente diverso, del 1971) raggruppa alcuni tra i siparietti più popolari del Flying Circus. Nel 1975, invece, si cimentano per la prima volta con un lavoro dalla trama più strutturata: è la volta di Monty Python e il Sacro Graal. Il film ha un ottimo successo, nonostante il budget ridotto con cui viene girato e la scarsa esperienza dei Monty Python a livello di regia. Gilliam e Jones, incaricati del ruolo di registi, ottengono fortunatamente il supporto di più esperti collaboratori, come si evince dai titoli di testa del film.
Dopo il successo di Monty Python e il Sacro Graal, a metà degli anni settanta il gruppo comincia a lavorare a un nuovo film: si tratta di una satira in costume ambientata nella Palestina degli “anni zero”. L’idea di ambientare il loro nuovo lavoro “ai tempi di Gesù” nasce da una battuta di Eric Idle che, a una domanda dei giornalisti su quali fossero i loro progetti futuri, risponde: «Un nuovo film! Si chiamerà “Gesù Cristo: brama di gloria”». Numerose idee e battute a tema cominciano ad affiorare durante le riunioni del gruppo, presto però (e di comune accordo) i Python realizzano che la figura di Gesù non è adatta alla satira: le sue gesta non sono risibili e, per parafrasare Idle, quello che dice non è adatto alla presa in giro, anzi è «roba piuttosto ragionevole».
Come risolvere il fastidioso inconveniente? Basta cambiare protagonista! Lo “scettro di personaggio principale” passa quindi da Gesù ad un suo contemporaneo con molte meno qualità e talenti: si tratta dell’antieroe Brian, un «ragazzaccio» (come lo apostrofa sua madre) che, calato in una realtà di sommossa civile e fanatismi, subirà un destino simile a quello del Messia pur non avendo nessuna delle sue doti.
Dopo una travagliata produzione (il film finirà per essere finanziato nientemeno che dal “beatle” George Harrison), nel 1979 arriva dunque sugli schermi Brian di Nazareth. Se travagliata era stata la produzione, ancora di più lo è l’accoglienza: la commedia religiosa (eccezion fatta per il musical Jesus Christ Superstar) è in quegli anni un genere molto limitato, e, come prevedibile, l’uscita del film suscita aspre critiche da parte di alcuni membri della comunità cattolica (basti pensare che in Italia il film uscirà in sala con dodici anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti).
Se oggi la produzione di satira religiosa è più prolifica e ci siamo abituati a film come Dogma (con il compianto Alan Rickman, uscito in sala nel 1999), o libri come Il Vangelo secondo Biff (esilarante opera umoristica di Christopher Moore del 2002 che ricalca molto da vicino lo schema di Brian di Nazareth), o ancora le vignette satiriche e volutamente provocatorie di «Charlie Hebdo», nel 1979 il nuovo film dei Python scatenò reazioni molto forti tra il pubblico cattolico e venne etichettato come blasfemo.
Tra le varie discussioni che ne scaturirono merita una menzione il dibattito durante il talk show Friday night, Saturday morning (trasmesso da BBC2 e oggi facilmente reperibile su YouTube), dove due membri dei Python (Cleese e Palin) si trovano a dover rispondere alle accuse di blasfemia mosse dal giornalista Malcolm Muggeridge e dal vescovo Mervyn Stockwood. Mentre accusano a spada tratta il gruppo comico di vilipendio della figura di Cristo, ciò che sfugge ai due accusatori è che l’oggetto della satira in Brian di Nazareth non è Gesù, sono piuttosto quei fedeli fanatici che non si soffermano ad analizzare quali siano i fondamenti di una religione, ma piuttosto pregano e idolatrano senza raziocinio chiunque gli venga comandato di pregare e idolatrare.
Nonostante i due Python ribadiscano più volte questo concetto durante il dibattito, i due oppositori non sembrano cogliere questo punto (che forse li riguarda molto da vicino), eppure è proprio questo il cuore del film, che lo poneva al di sopra di ogni accusa – ancora così attuale oggi.
Disponibile al completo su Netfilx, la produzione dei Python è un’opera che merita davvero di essere vista e rivista, dagli appassionati del genere e non, per l’innovazione che apporta al Teatro comico e per l’unicità della sua realizzazione. «E ora… Qualcosa di completamente diverso!».
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[…] a essere comico e architetto, Mario Marenco ha anche dato la voce al Ponzio Pilato dei Monty Python nel suo primo doppiaggio […]