
La quarta stagione di The Crown – Nuova fenomenologia del Potere
Giunto ormai al termine del suo secondo biennio seriale, e pronto a incoronare una nuova attrice-regina, Peter Morgan regala al pubblico di Netflix forse la stagione migliore di una serie già ampiamente premiata (tre Golden Globe e otto premi Emmy). La quarta stagione di The Crown pone fine al regno di Olivia Colman mentre accende i riflettori su due nuove figure femminili parallele che aprono e chiudono l’arco temporale di riferimento: dal primo incontro del Principe Carlo con una giovanissima Diana Spencer (Emma Corrin), nel 1977, al 1990, anno delle dimissioni del primo ministro Margaret Thatcher (Gillian Anderson). Nel rispetto di un lavoro che evoca la photogènie, la serie si apre sul primissimo volto di Elisabetta II per chiudersi su quello della Principessa Diana, entrambe confinate nello stretto perimetro del loro capo – superficie-materia ove si posa la corona e che questa plasma a sua immagine e somiglianza e superficie-specchio che nei primi piani riflette un’interiorità altrimenti muta. La quasi totale assenza della corona come oggetto, serve infatti a Morgan per ricordarci che non stiamo guardando un biopic della famiglia reale inglese ma un magistrale ritratto indiretto del potere, forza magnetica atemporale che, investendo i corpi dei reali, si fa oggetto terreno e ipnotico.
Tre donne di potere: la dimensione corale della quarta stagione
The Crown presenta un quarto capitolo dalla scrittura narrativa impeccabile. La struttura principalmente verticale degli episodi delle precedenti stagioni è qui retta da un’altrettanto solida trama orizzontale, complice l’inserimento di figure-catalizzatrici in grado di dividersi la scena: la regina, la Principessa Diana e Margareth Thatcher. L’andirivieni del focus su una di queste o, meglio ancora, il triplice focus modulato all’unisono, ha permesso a Morgan la composizione di un’ellissi seriale di altissima efficacia: le tre figure non solo prendono parte da protagoniste agli eventi selezionati dagli anni ‘80 britannici, ma Morgan le paragona, oppone, disgiunge (48:1 ep 08), disegna loro attorno un fittissimo montaggio e ne fa punti di sutura per il suo studio filologico del potere. La dialettica dei rapporti di potere subisce allora una ri-codificazione in termini: non più pura indagine sul rapporto tra il potere e il suo portatore ma una variante a più voci.

Esperimenti di realtà virtuale: il potere dell’abitacolo
La componente visiva della serie, di rimando, subisce un dilatamento. Se in precedenza il focus visivo si era principalmente concentrato sulla figura umana, facendo soprattutto dei volti dei protagonisti delle superfici lucide e cangianti, ora l’alterazione estetica operata dalla Corona investe porzioni più ampie di schermo, coinvolgendo tanto le figure quanto gli spazi che percorrono. Morgan sperimenta un tipo di rapporto estetico-antitetico nuovo, declinato tra il protagonista e la propria abitazione. Buckingham Palace, Balmoral, Kensington Palace e Highgrove House, diventano vettori di un rapporto mono-direzionale che va dalla casa al suo abitante: l’atmosfera informale di cui sono investiti gli ospiti a Balmoral, l’isolamento che colpisce Diana tra le mura di Buckingham Palace e il disagio che la perseguita nella nuova casa con Carlo, sono tutti moti reattivi a quelli apparentemente inattivi della composizione dell’abitacolo.

Le geometrie visive dell’autore vengono quindi ritoccate. L’indagine sulla fissità dei volti e degli ambienti nelle prime due stagioni, dove la macchina fissa o i campi lunghi componevano quadri dal gusto pittorico, o la più ritmata regia della terza, interessata ad intrattenere un rapporto più “moderno” con l’immagine, sfruttando più cornici visuali (finestre, quadri, stipiti), lasciano ora spazio ad un dinamismo iper-realistico. La casa diventa allora prima cornice visuale per noi spettatori: un atteggiamento al limite del voyeurismo che ci conduce in spazi privatissimi ad alta percorribilità (Fagan ep 05). L’intento invasivo della regia di Morgan ci permette di vagare in un universo a metà tra il reale e il finzionale altamente immersivo, garantendoci un’esperienza ibrida di intrusione in una casa che è tanto reale quanto immaginata. L’estetica morganiana percorre il tempo della propria narrazione seriale in parallelo alla storia dell’Arte, svelando l’imprescindibile legame intermediale delle immagini che, dalla pittura alla fotografia, ci immergono nella realtà virtuale.

Tra realtà e finzione: il montaggio delle attrazioni
Ma è la cabina di montaggio la vera fucina per l’opera demiurgica di Morgan: è il montaggio a creare in The Crown lo scarto tra finzione e realtà, tra documento e pura fiction, dando vita a quello che è a tutti gli effetti un universo para-reale. Il soggiorno di Diana a Balmoral con la famiglia reale, la caccia al cervo a cui tutti prendono parte e la “caccia” metaforica della Thatcher per smascherare la congiura imminente tra le fila del suo partito (The Balmoral Test ep 02) sono sequenze che, prese singolarmente, richiederebbero un valore documentale o un valore finzionale ben stabiliti. Nel Biopic storico peccare di inesattezza è un danno collaterale intrinseco, ma se gli eventi servissero invece a veicolare una riflessione più ampia e fossero concepiti come diramazioni fenomenologiche di un’indagine più universale, allora il valore documentale passerebbe in secondo piano e il rapporto di identità tra realtà e la sua rappresentazione diventerebbe simbolico.
Così, Morgan costruisce il suo bellissimo e ipnotico montaggio a tre finestre, dove l’assimilazione del cervo, di Diana e Margareth a prede e cacciatori restituisce al pubblico la costruzione figurativa e simbolica di un meccanismo, del potere in quanto pura forza motrice che qui possiede il carattere tutto umano del “cacciare”. Morgan riesce a fare della famiglia reale puro “modello” per dar forma ai propri esemplari. I reali inglesi diventano allora reali-tipo, figure archetipiche in grado di supportare narrazioni più universali e di tenere il pubblico attaccato allo schermo anche per un racconto che la Storia ha già spoilerato.
L’ora dell’attesa
In attesa di dare un volto alla nuova regina – voci indiscrete suggeriscono il nome di Imelda Staunton – e di assistere a forse uno dei momenti più bui per la corona inglese, ci prepariamo al passaggio dal “guardare” al “ricordare” eventi che riguardano anni a noi molto vicini. Allora, pronti a una visione che duplicherà il nostro passato recente, prendiamo tempo per sforzarci di sostituire alla nuova interprete l’immagine fastidiosa (e rosa) della professoressa Dolores Umbridge con quella della più longeva regina dei nostri tempi.
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