
Porretta Cinema 2020: Anatomia del concorso lungometraggi I
Porretta Cinema 2020 è un festival imperdibile per gli amanti del cinema italiano. Da sempre la manifestazione presenta, nella sezione Fuori dal Giro, una vasta gamma di opere imperdibili. Vi portiamo a scoprire le perle dell’edizione di quest’anno, con un’attenta analisi dei film presentati.

Porretta Cinema 2020 – Simple Women di Chiara Malta
Federica (Jasmine Trinca) soffre di attacchi epilettici da quando era bambina; fa la regista di documentari a tema religioso e ha una grandissima ammirazione per l’attrice Elina Löwensohn. Un giorno incontra per strada proprio Elina Löwensohn non lontano dal Vaticano. Entrate in confidenza, Federica le propone di girare un film sulla sua vita: un percorso quasi da favola, dalla Bucarest comunista al glamour del cinema statunitense. Inizialmente riluttante, Elina accetta, fiduciosa di rilanciare la propria carriera artistica. Ma il rapporto fra le due non è dei più semplici. Complici gli imprevisti e i diverbi artistici, la situazione sul set diventerà insostenibile e culminerà in un conflitto molto più personale e profondo.
Simple Women è un film sul cinema, o per meglio dire sull’atto di fare cinema. Dall’idea, all’elaborazione, alla realizzazione, la regista ci accompagna in tutte le fasi della creazione dell’opera d’arte. In questo senso il film è estremamente metacinematografico e metanarrativo, proprio perché entra nel vivo di un processo che normalmente sta fuori dagli schermi. Al centro della vicenda c’è un incontro-scontro fra due donne, paradossale ed eccitante. Quello che capita a Federica infatti è la più grande occasione che si possa sognare: lavorare con il proprio idolo. Federica ha sempre ammirato Elina, ha sempre sognato di poter lavorare con lei e finalmente il suo sogno si concretizza.
I sogni, tuttavia, non sempre corrispondono alla realtà: L’entusiasmo della regista infatti non è lo stesso dell’attrice. Per Elina, Federica non rappresenta niente: l’attrice accetta di lavorare con la regista solo per rilanciare la sua carriera, quindi per un obiettivo personale, non per ammirazione. Sul set le due capiranno di essere molto diverse, quasi inconciliabili: una dedita a un’arte più accademica e standardizzata, l’altra protesa alla ricerca di una sperimentazione audace e indipendente. Chiara Malta sembra quindi dirci una semplice verità: i nostri idoli sono sempre persone, con i loro pregi e i loro difetti e forse per amarli ancora di più è meglio che restino distanti.
Man mano che la narrazione procede, l’atmosfera diventa sempre più surreale e onirica, come se la regista si volesse perdere nella mente del suo alter ego (una Jasmine Trinca molto credibile e calata nella parte). Tuttavia questa dimensione metacinematografica (e poi metafisica) si perde in un’eccessiva proliferazione di piani e indizi narrativi. Alla fine la fantasia prende il sopravvento sul reale e la storia sembra risolversi in un atto di liberazione artistica. Questa soluzione però non convince del tutto. Lo scontro fra regista e attrice non raggiunge il suo apice e le idiosincrasie dei personaggi passano in secondo piano. Si capisce l’intenzione della regista di voler creare un’opera surreale e onirica, ma, forse, focalizzandosi sull’imprevedibilità dell’intreccio Malta dimentica l’elemento più importante: la cura dei rapporti fra i personaggi.

Porretta Cinema 2020 – Buio di Emanuela Rossi
Stella e le sue due sorelle, Luce e Aria, sono chiuse in una casa con le finestre sbarrate. Fuori c’è l’Apocalisse. Due terzi dell’umanità sono morti perché i raggi del sole sono diventati troppo potenti. Possono uscire solo gli uomini, le donne non resistono. In casa le ragazze passano il tempo guardando vecchi video di lezioni di pilates e ascoltando musica. Ogni sera il padre torna a casa raccontando gli orrori dell’apocalisse. Quando però Stella, ormai adolescente, comincia a fare domande indiscrete, qualcosa s’incrina. Una sera il padre non torna; così le ragazzine restano sole chiuse in casa, senza nulla da mangiare. Toccherà a Stella avventurarsi fuori per riuscire a salvare la sua famiglia.
Il film di Emanuela Rossi è una ventata di aria fresca nel panorama cinematografico italiano. La pellicola chiaramente non parla della pandemia in corso e non fa alcun riferimento al lockdown, pur risultando particolarmente calzante in un questo periodo. La regista mette in scena un dramma molto più quotidiano e inquietante: quello della violenza domestica. Nella casa isolata dal mondo in cui si concentra la vicenda, tre figlie resistono allo strapotere di un padre padrone che impone loro la sua autorità. Quella casa quindi, sprangata, isolata, vetusta, diventa l’immagine del patriarcato: un sistema vecchio e opprimente che impedisce alle nuove generazioni di vivere serenamente. Il talento di Emanuela Rossi consiste nel riuscire a condensare, in un thriller, questa critica sociale.
Come in The Village di M. Night Shyamalan la verità è confusa e offuscata, ma col tempo tende a prevalere sulla menzogna. Rossi traccia i contorni di questo inganno, muovendosi fra due livelli narrativi. A un livello più alto c’è l’inganno dell’Apocalisse che ha decimato due terzi dell’umanità. Poi c’è il crimine più intimo e nascosto del genitore: il suo desiderio di reprimere e controllare le figlie. Dominio fisico, psicologico, privato.
Non a caso la regista ha affermato di essersi ispirata alle opere di Yorgos Lanthimos e Alexandros Avranas, in particolare Kynodontas. la messa in scena quindi svolge un lavoro fondamentale: da una parte un interno claustrofobico e opprimente; dall’altra un esterno arioso e aperto. Le luci al neon dell’interno si alternano con i colori desaturati dell’esterno in un perfetto chiasmo cromatico. La musica pulsa poi in sottofondo come un rumore sinistro.
Il film di Emanuela Rossi quindi sa osare, usando tutti i mezzi della messa in scena per stupire e spaventare lo spettatore, muovendo una critica sociale fortissima e diventando un thriller davvero sorprendente. Da non perdere.

Porretta Cinema 2020 – Letto n. 6 di Milena Cocozza
Bianca, una giovane dottoressa, viene assunta nella clinica infantile privata gestita da Padre Severo. Proprio questi la informa che la donna di cui sta prendendo il posto si è suicidata lanciandosi dalla finestra. Bianca cerca di non pensare all’accaduto, ma ben presto la donna scoprirà che si nasconde un’oscuro mistero in quell’edificio. Un bambino fantasma inizierà a tormentarla e sarà compito di Bianca far luce su un intrigo celato da anni.
Il film, il cui soggetto è firmato dai Manetti Bros., segna l’esordio alla regia di Milena Cocozza. Il soggetto è, come spesso accade per le opere firmate dai due fratelli romani, avvincente e stimolante: una storia horror, interessante e intrigante, di cui in Italia c’è sempre più bisogno. I due fratelli usano il genere per esprimere la loro individualità e così facendo mettono in campo una passione sincera e autentica per la settima arte, premiata anche all’interno del Festival. Se il film funziona a livello narrativo, risulta però purtroppo abbastanza claudicante nel ritmo e nella messa in scena.
Complice l’acerbità della regista e la sua volontà di ricalcare alcuni stilemi del cinema horror statunitense, il film pecca di una certa ripetitività e di una mancanza di intraprendenza, che nel genere risultano fondamentali per non cadere nella prevedibilità. Non bastano le architetture opprimenti, i colori grigi, le musiche inquietanti per rendere accattivante Letto n. 6. La regista cerca di stupire e di compiacere gli spettatori ma, per essere apprezzata dal grande pubblico, finisce per adottare soluzioni scontate e fin troppo telefonate. La spiegazione di certi meccanismi narrativi è fin troppo didascalica e finisce per annoiare piuttosto che stupire. I personaggi sono tutti abbastanza stereotipati, ad eccezione di Francesco, portato in scena da Andrea Lattanzi, che trasmette una comicità fresca e genuina alla pellicola.
Un esordio quindi non esaltante per la regista, ma un ottimo trampolino di lancio per un’opera seconda.
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