
Gaspar Noé racconta il suo amore per Eraserhead di David Lynch
Gaspar Noé è uno degli artisti contemporanei che più fanno discutere: sempre sopra le righe, manicheo nelle scelte artistiche e nei giudizi critici, un vero campione del cinema underground anti-massa che grazie a film come Irréversible, Enter the Void e Climax ha suscitato indignazione, aspre critiche, sperticata ammirazione. O bianco o nero, o buono o cattivo. Se il regista argentino è un punto di riferimento per giovani registe e registi agli esordi, egli stesso ha avuto, e ha tuttora, maestri che ne hanno segnato la carriera. Tra tutti i film che l’hanno spinto a credere in un cinema libero, oltre la realtà terrena, votato all’espressione dell’interiorità, c’è proprio uno degli esordi a noi più cari, Eraserhead di David Lynch, un film praticamente fatto in casa, tra dissesti economici e ben 5 anni di lavorazione.
Su questa pellicola Gaspar Noé ha voluto raccontare qualcosa che in un certo senso accomuna tanti cinefili del mondo, la storia di un innamoramento avvenuto al cinema, in una sala dall’altra parte della città, unico tempio in cui si potesse vedere quello strano film che ad alcuni critici proprio non era piaciuto.
Di seguito il testo originale tradotto per noi da Elisa Meucci.
Il racconto di Gaspar Noé su Eraserhead di David Lynch
“Quando uscì Eraserhead in Francia, arrivò nelle sale con il titolo “La Tete qui efface”. Una strana traduzione in francese. Ricordo che stavo leggendo il giornale dei miei genitori – era un quotidiano socialista – e c’era una recensione da parte di un famoso critico cinematografico che per un’intera pagina lo distruggeva completamente e parlava di quanto non gli fosse piaciuto. Eppure il modo in cui lo descriveva come orribile e disgustoso, su di me – un ragazzino di 14 o 15 anni – ebbe l’effetto contrario: volevo andare dall’altra parte della città e vederlo. Sarebbe stato un mio piccolo segreto. E così ho fatto. Quel film l’ho amato così tanto che credo di averlo visto quattro volte in un mese. Poi, dopo due settimane spostarono la proiezione in un’altra città e lo seguii, andai a rivederlo con un mio amico. Dopo forse un anno, ci fu una proiezione notturna vicino casa mia, quindi lo vidi di nuovo con un altro amico. Per me si trattava della conferma che il cinema era in grado di rappresentare il tuo mondo interiore, sogni e incubi. E al tempo non avevo ancora visto Un Chien Andalou di [Luis] Bunuel, uno di quei rari film scritto in un linguaggio mentale, un linguaggio sognato. La stessa cosa vale per Eraserhead. Kubrick una volta confessò il suo rammarico per non aver avuto l’idea per un film così. Ad ogni modo, Eraserhead ebbe un tale impatto su di me che fu la ragione per cui mi iscrissi alla scuola di cinema due anni dopo. Fu forse un mix di 2001 e Eraserhead.
Non ho idea di quante volte abbia visto Eraserhead al cinema, forse 15. Ero ossessionato da questo film, quel tipo di ossessione che un bambino ha per la madre che gli racconta una storia. Vuole ascoltare la stessa storia un’altra volta e un’altra volta ancora. È una sensazione ipnotica e rilassante. Vedere quel film era per me un’esperienza rilassante. Riuscivo a godermi tutti questi film – angosciosi, rappresentazioni di incubi – come se fossero dei sogni; soprattutto quando in Eraserhead esce la ragazza che canta “Everything is fine in heaven”.
C’è anche il fatto che David Lynch fece questo film quasi senza un soldo nell’arco di cinque anni.
Quando stavo lavorando su I Stand Alone (Solo contro tutti), mancavano i soldi. Avevo problemi a completare il film, e poi c’era il montaggio. Per tutto il tempo ho pensato a David Lynch che ci aveva messo cinque anni a fare il suo film. E mi dicevo, “Forse mi ci vorranno dieci anni per finire il film. Se ci vogliono dieci anni, così sia, vado avanti, non c’è ragione di preoccuparsi.”

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