
Buon compleanno, Laura Dern! È rinata una stella
Laura Dern vanta una carriera costellata di successi e di collaborazioni illustri, coronata dall’Oscar 2020 per la sua interpretazione in Storia di un matrimonio (2019), consegnatole il giorno prima del suo compleanno. L’importanza della figura di Laura Dern nel panorama attoriale americano è conseguenza di una qualità particolare, non così comune nello star system statunitense: la capacità di saper scegliere e di mettersi continuamente alla prova. La caratteristica che più salta all’occhio, analizzando la sua filmografia, è infatti l’eterogeneità dei ruoli interpretati.

Per tutta la sua carriera, Dern è stata in grado di spaziare tra i generi più remoti, dimostrandosi interprete duttile agli approcci registici e testuali più disparati. Il pubblico più pop la ricorderà per il ruolo della paleobotanica Ellie Sattler nella fortunatissima saga di Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg. Da una parte Ellie Sattler getta le basi per un carattere dai tratti ricorrenti nella filmografia di Dern, se si pensa al rapporto di stoica dedizione del personaggio verso la professione, e alla sua indipendente risolutezza. Ma le capacità interpretative di un’attrice come Laura Dern vanno ben oltre la superficie funzionale dell’action o del film d’avventura. Laura Dern Compleanno
Nel dramma politico-sociale dell’esordio registico di Alexander Payne in La Storia di Ruth, Donna Americana (1996), così come nella rocambolesca commedia Altmaniana Il Dottor T. e Le Donne (2000), Laura Dern dà prova di grande versatilità interpretativa, affrontando con disinvoltura i ruoli secondari come quelli principali. Ma dramma e commedia sono solo gli antipodi della varietà filmografica della Dern, che passa dal thriller poliziesco al film biografico, dal film d’inchiesta al dramma storico. Va sottolineato come, nonostante Dern abbia i suoi porti sicuri interpretativi, non è da considerarsi una caratterista, avendo sempre teso ad affrontare ruoli mai ovvi o scontati. Ciò che accomuna la sua carriera così variegata è infatti un approccio al lavoro dell’attore che da una parte gioca sulle gestualità e sulle posture sghembe – quasi teatrali nell’enfasi comica – e dall’altra lavora per sottrazione, sui silenzi e sulle pause.
Dern, sempre pronta ad allontanarsi dalle zone confortevoli di una filmografia mai paga di sè stessa, non si è mai lasciata logorare dai ruoli più celebri. Un approccio virtuoso e artigianale alla recitazione, che non ha mai barattato la formazione e la sperimentazione espressiva con la sete di affermazione professionale da star system. Questo sguardo vivido al lavoro dell’attore si concretizza e raggiunge il suo apice con le sue interpretazioni più iconiche, quelle nelle opere di David Lynch.

Dopo averla diretta nel ruolo della giovane Sandy di Velluto Blu (1986), affidandole la linea narrativa forse più canonica del film, Lynch torna a lavorare con Laura Dern nel controverso Cuore Selvaggio (1990) che la afferma come musa del regista del Montana. Nel film Palma D’Oro a Cannes 1990, Dern non solo si dimostra interprete dotata, ma anche artista completa, in grado di restituire uno sguardo anche critico-analitico sul mestiere dell’attore. La sua interpretazione è volutamente sopra le righe, senza essere mai stucchevole, assecondando l’approccio lynchiano alla plasmazione perturbante dei canoni estetici del mezzo. Come un’artista performativa, Dern si lascia deformare e stilizzare dall’occhio registico di Lynch, regalandoci un’interpretazione che, in sintonia con il film, mette in discussione la narrazione come istanza unitaria e coerente. Quella in Cuore Selvaggio è un’interpretazione che va oltre sé stessa, si guarda da fuori e attinge a immaginari espressivi che vanno dal patetismo da soap alla durezza espressiva della graphic novel.
Sedici anni più tardi, la ritroviamo nel capolavoro Inland Empire – l’impero della mente (2006), prima avventura in digitale di David Lynch, altra occasione di spingere oltre i limiti le funzionalità artistiche del ruolo attoriale. Quello in Inland Empire – l’impero della mente, non è semplicemente un ruolo, ma piuttosto una trasposizione in corpo della poetica stessa di tutto il film. La mimica facciale di Dern, giocata sull’intensità e la durezza dello sguardo rivolto al fuoricampo e pedinata continuamente da primi piani ‘a precedere’ agitati quanto soffocanti, restituisce la sensazione perturbante di una narrazione sconnessa e labirintica. Nel capolavoro psico-onirico di Lynch, Dern raggiunge una maturità artistica che esula dal ruolo funzionale dell’attore e si fa schermo e spettatore di una discesa agli inferi indecifrabile, con una performance che dà all’inconscio e all’incubo una forma umana.

Gli attori di Lynch non danno mai l’impressione di limitarsi ad essere meri interpreti, ma piuttosto di essere chiamati ad una partecipazione al costrutto filmico nella sua interezza, tramite uno sguardo sul testo analitico oltre che artistico. Questa sorta di responsabilizzazione creativa si ripeterà anche in Twin Peaks 3 (2018) dove Dern torna a collaborare con Lynch nel ruolo dell’iconica Diane. Il cineasta vincerà l’Oscar alla carriera nello stesso anno in cui Laura ottiene quello per la miglior attrice non protagonista. La collaborazione con il maestro è sicuramente la più fruttuosa dal punto di vista artistico e formativo ma, allo stesso tempo, non la condanna alla nicchia dell’attrice d’autore, dandole modo anzi di declinare l’approccio disinvolto al grottesco, negli ultimi anni, a un tono più leggero e rivolto al pubblico più vasto.

Quel piccolo schermo che Lynch sublimava in molte delle sue opere, tramite anche l’estremizzazione di molti tratti interpretativi della sua attrice feticcio, diventa il contenitore ad hoc per gli anni più recenti della carriera di Laura Dern, che proprio grazie alla serie Big Little Lies (2017-2019, HBO) ritrova contatto con il pubblico più vasto. L’anti-eroina Renata Klein, spietata ed esilarante, bisbetica e statuaria, leale e minacciosa, le fa vincere un meritato Golden Globe nel 2018, grazie ad una performance volutamente plateale nella sua esuberanza e graffiante nei suoi tratti comico-grotteschi. Laura Dern Compleanno
In fondo, Big Little Lies riassume al meglio il contenitore narrativo in cui sembra che Dern si trovi più a suo agio negli ultimi anni: uno sguardo sul reale che trascende i generi e che passa dalla Comedy al Drama con disinvoltura e credibilità. Non a caso, l’Oscar arriva per il ruolo dell’avvocatessa divorzista di Storia di un Matrimonio di Noah Baumbach, che sembra una sorta di prosecuzione involontaria, più garbata ma comunque letale dell’amatissimo personaggio di Renata. Il suo caustico monologo sulla Vergine e la condanna del ruolo materno è l’apice di un’interpretazione che ha saputo esaltare le platee di Venezia 76, avvalendosi tanto della scrittura tagliente e realistica quanto delle movenze e delle gestualità plateali e mai accessorie.
Da oltre trent’anni, Dern porta sullo schermo un’umanità femminile impacciata e imperfetta, spietata e ironica, risoluta e determinata, tratteggiata da tic e nevrosi prettamente umani, abitudinari, credibili. A questo proposito va ricordata anche la profonda sensibilità con cui ha affrontato due delle sue ultime interpretazioni: quella nel toccante The Tale (Jennifer Fox, 2018) e nella solo apparentemente marginale partecipazione a Piccole Donne (2019) di Greta Gerwing. Ma ciò che colpisce di più è come abbia comunque dimostrato di sapersi discostare dalla mera rappresentazione realistica e di potersi mettere al servizio della vertigine inconscia, facendosi superficie emozionale per un’espressività inquieta e indagatrice, tratto poetico cardine della filmografia Lynchiana.

Insomma, Laura Dern è una di quelle interpreti che ci ricordano che il fine ultimo di un’artista non è solo il successo, ma la ricerca espressiva attraverso l’esperienza eterogenea sul campo. Questo, non le impedisce di essere un’icona, un personaggio mediatico stimato che non ha mai cercato spasmodicamente il centro della scena e si è sempre saputo destreggiare tra i generi e i ruoli più diversi. Non importa quale sia il contesto: cinema o televisione, autorialità criptica o saghe da box-office, dramma intimista o azione ritmata da pop-corn, Laura Dern ci ricorda che l’attore è un essere umano e che l’essere umano è imperfetto. Per questo motivo e per i ruoli che verranno, buon compleanno Laura Dern.
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