
The Mandalorian – Capitolo XIV – Guess who’s back
Attenzione: la recensione contiene spoiler dell’episodio 14 | Il Capitolo 13, The Jedi, è stato forse il punto più alto finora raggiunto da The Mandalorian, lasciandoci estasiati dalla perfetta sintesi delle ispirazioni della serie, e di Star Wars in generale, a cui si aggiunge l’attesa apparizione in live-action di Ahsoka Tano. Dopo un episodio del genere era facile aspettarsene uno filler, una distrazione che portasse Din e Grogu a vivere una delle loro piacevoli, ma meno significative, avventure secondarie. Questa sensazione sparisce presto, quando dopo pochi minuti dall’inizio del Capitolo 14 di The Mandalorian, The Tragedy, appare nel cielo Slave I, l’iconica astronave a ferro da stiro di Boba Fett, ad annunciare un altro episodio esplosivo per tantissimi motivi, come vedremo in questa recensione.

Il Mandaloriano, dopo il rifiuto da parte di Ahsoka all’addestramento del piccolo Grogu, si reca su Tython, pianeta strettamente collegato alla Forza, dove il Bambino potrebbe riuscire a mettersi in contatto con altri Jedi. Il piano va velocemente a rotoli con l’arrivo di Boba Fett, alla ricerca della sua armatura, e Fennec Shand, data per morta nel Capitolo V, dove c’era stato il primo indizio del ritorno del cacciatore di taglie. A complicare ulteriormente la situazione è poi l’attacco di un plotone di Imperiali, a caccia del Bambino, che costringerà il trio a un’improvvisata alleanza.
Temuera Morrison dona fin dall’inizio carisma e fisicità al personaggio, come nelle prime brutali scene di combattimento, armato solo di un bastone Tusken, e si sente fortemente la mano del regista dell’episodio, Robert Rodriguez (altro indizio che non si potesse trattare di un capitolo particolarmente rilassato). L’episodio esplode definitivamente quando Boba rientra infine nella sua leggendaria armatura, distruggendo le possibilità di vittoria degli Stormtroopers (e le nostre di trattenere le lacrime di commozione), portandoci poi a un’interessante riflessione sul personaggio stesso, e sul successo dell’intera saga.

Cosa rende Boba Fett così celebre? Senza di lui non esisterebbe la nostra fascinazione per i Mandaloriani, non esisterebbe la stessa serie televisiva, eppure nella trilogia originale Boba appare per pochi minuti, forse meno di quelli in cui appare in questo singolo episodio, limitandosi ad apparire minaccioso, per poi fare una fine ingloriosa al primo vero combattimento. Il fascino del personaggio nasce da pochi brillanti elementi: l’armatura ovviamente, l’ennesimo colpo di genio di McQuarrie e dei costumisti della saga, la sua aria di temibile professionalità, il rispetto che Darth Vader sembra avere nei suoi confronti, dovendosi solo raccomandare di non disintegrare nessuno.
Il suo memorabile aspetto, e questi indizi sulla sua reale pericolosità, hanno un successo tale da rendere il personaggio ben più di quello che era, andando a creare nella fantasia degli appassionati, aiutata da numerose opere dell’Universo Espanso, la figura di questo misterioso guerriero leggendario. Quando una quarantina d’anni dopo vediamo finalmente Boba Fett in azione, in tutta la sua grandiosa abilità, è la nostra stessa fantasia, tramite quella del fan per eccellenza Dave Filoni, ad apparire su schermo. Un processo simile era avvenuto nel piacevolissimo Rogue One, dove Darth Vader appariva come un vero e proprio mostro, il suo spaventoso potere, limitato dalla sua imponente ma un po’ impacciata figura originale, aggiornato ai mezzi e alle sensibilità moderne.

The Clone Wars era riuscito a migliorare retroattivamente la trilogia prequel, approfondendo i personaggi e il contesto dei film, e The Mandalorian sta seguendo un percorso simile, affiancando la sua iniziale natura di avventura episodica a sempre più numerosi riferimenti a tutte e tre le trilogie principali, e alle serie animate. Il rischio è quello di alienare i fan meno esperti, che potrebbero risultare confusi dal crescente numero di collegamenti al gigantesco canone di Star Wars; per gli appassionati, invece, continua ad essere un sogno portato su schermo.
Una nota sulla Tragedy che dà il titolo all’episodio: sembra riferirsi al rapimento finale del Bambino, ma, data la facilità con cui Grogu strapazza i poveri Stormtroopers, a cui si aggiunge l’incredibile team che si prepara all’inevitabile missione di salvataggio, non c’è forse da temere troppo. La vera tragedia è la definitiva distruzione della Razor Crest, disintegrata al di là delle capacità del migliore meccanico Mon Calamari; la breve e sfortunata esistenza della nave di Din rimarrà nei nostri cuori, essendosi guadagnata un posto nel pantheon degli ammassi di ferraglia della galassia lontana lontana.
Easter eggs del capitolo 14
- Boba Fett è ovviamente al centro dell’episodio, e abbondano le chicche per gli appassionati. Innanzitutto si scopre che il padre Jango, interpretato dallo stesso Morrison, era come Din un trovatello, confermando finalmente l’appartenenza dei Fett ai Mandaloriani. La frase «I’m a simple man, making his way trough the Universe» è anch’essa una diretta citazione di Jango. Notevole infine l’utilizzo di ogni possibile gadget dell’armatura, dall’iconico razzo sulla schiena alla ben più oscura ginocchiera lanciarazzi.
- I mezzi di trasporto delle truppe Imperiali ricordano molto nel design quelli del Primo Ordine, ulteriore indizio che la serie potrebbe arrivare ad approfondire la scarsa backstory della trilogia sequel.
- Continua la tendenza a voler canonizzare elementi dell’Universo Espanso, ora definito Legends: dopo il pianeta Tython è il turno questa volta dei Dark Troopers, i terrificanti soldati robotici che rapiscono Grogu, creati nel 1995 per il videogioco Star Wars: Dark Forces.

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