
Letizia Battaglia: Shooting the Mafia di Kim Longinotto
Letizia Battaglia: Shooting the Mafia, di Kim Longinotto è il film documentario che con coraggio e sensibilità intreccia il percorso insieme privato e professionale di una delle più importanti fotografe italiane del secondo Novecento, attraverso la storia della lotta alla Mafia siciliana dagli anni settanta ai novanta.
Proiettato al cinema Politeama a Pavia, all’interno della sedicesima edizione della rassegna cinematografica e teatrale “MAFIE: Legalità e istituzioni” organizzata ogni anno dall’Osservatorio Antimafie, realtà studentesca impegnata da ormai oltre un decennio a Pavia nel campo dell’informazione, della sensiblizzazione e della lotta alla criminalità organizzata, il film è stato presentato nel 2019 al Sundance e al Biografilm Festival.
Letizia Battaglia ha ad oggi ottantacinque anni; si presenta al bar prima della manifestazione, in mezzo ai ragazzini che giocano a pallone tra le serrande chiuse delle vie di Palermo che lei ha percorso da sempre, con la sua macchina fotografica Pentax a pellicola tra le mani. Quello il suo strumento di narrazione del mondo, afferma subito, parlando del quotidiano L’Ora di Palermo in cui fu assunta attestandosi come prima donna fotoreporter in Italia. Immediatamente, confessa, iniziano a inviarla sulle scene degli omicidi di mafia. A quei tempi i morti ammazzati sono ovunque: uno, due, tre omicidi al giorno. Sono gli anni Settanta, il terrore; lo Stato e la Mafia sono in pieno conflitto e Letizia Battaglia occupa un ruolo fondamentale nella documentazione degli eventi, senza lasciarsi limitare dal suo essere donna e dagli sguardi degli altri tra fotografi e giornalisti nel sud Italia, che le contestano abilità e fermezza, doti che a lei non sono mai mancate.

Con Letizia Battaglia: Shooting the mafia, Kim Longinotto, giovane documentarista inglese attenta, tra le altre cose, anche alla questione mediorientale, riesce a offrire un ritratto tutt’altro che romantico della Sicilia mafiosa e corrotta, lontana dall’idea che il pubblico ha di una mafia fatta di grandi menti ben vestite, colte e affascinanti, con grande distanza insomma dai personaggi dei gangster movies su cui si costruisce l’immaginario comune dei protagonisti della criminalità organizzata. Grazie alle fotografie di Battaglia e alla ricostruzione del suo percorso, il film mostra con attenzione storica la realtà mafiosa di quegli anni, intrecciando anche con una certa intimità e sensibilità la biografia di Letizia, attraverso spezzoni di interviste, diapositive, filmati amatoriali e servizi giornalistici che si alternano nella costruzione di un documentario storico e biografico comunque dal taglio classico.

Fa da padrone la voce di Letizia Battaglia, pedinata dalla macchina da presa tra uno stacco e l’altro. Voce che si racconta intimamente con la leggerezza e la semplicità di una persona affabile, consapevole del proprio valore e del ruolo avuto, ma non per questo bisognosa di mostrarsi complessa e sofisticata. Letizia donna e Letizia fotografa convivono nel documentario con un carisma che incolla allo schermo: dal matrimonio precoce, al tradimento, ai successivi compagni, tutti affascinati dalla sua figura, dal suo coraggio e dalla sua determinazione, dal suo magnetismo di cui anche lo spettatore si rende ben conto. Dalla sua concretezza e sostanza, insomma, che non manca di competenza, con cui Battaglia è consapevole di aver scritto la storia, di aver reso l’Italia intera testimone di una strage, di una lotta, di una guerra tra Stato e criminalità. Non c’è modo migliore di raccontare una realtà che fotografarla nei propri lati più espliciti, perché lì si trova la verità; pubblicare gli scatti in prima pagina e firmarli. Si può dire con certezza che anche oggi, riproposte nel film di Longinotto, quelle immagini di morti, di sangue e di lotta, ma anche d’infanzia e di amore, hanno ancora il potere non tanto di sconvolgere ma di rendere consapevoli e testimoni gli sguardi, lasciando una traccia indelebile nello spettatore.

Felici anche le incursioni dei compagni di Letizia Battaglia, interpellati non solo in quanto amanti, ma come compagni di vita e di lavoro, come soggetti agenti nella vita della protagonista e colleghi di ricerca visiva, con cui il lato relazionale si intreccia nello spazio biografico senza stonare o interferire con il racconto professionale con cui, al contrario, crea un ritmo ben bilanciato tra monografia e Storia, umano e disumano. Interessante è notare come le incursioni dei compagni di Letizia si posizionino sempre nel film tra forti narrazioni di mafia, in una sorta di parallelismo narrativo che alterna soggettivo a oggettivo, amore a guerra, microcosmo della biografia a macrosmo della Storia. Quasi, questo, a mettere in relazione la disumanità della mafia italiana con l’umanità di chi l’ha combattuta documentandola, il tutto chiaramente in un mélange compositivo che non si serve di retorica e che non intende crearne; una costruzione sottile e intelligente che non può che sortire un buon effetto narrativo.
In un clima di vero e proprio terrore, per le strade di una vecchia Palermo, c’è insomma spazio anche per spiragli di gioia, fatti di quotidianità, amore, confronto e condivisione, di rapporti umani e di amicizie. Letizia Battaglia è una donna libera, lo è sempre stata, come traspare da tutto il film, si agita nella vita ancora come una giovane entusiasta, immobile solo sulla chiusura della pellicola, in un fermo fotogramma che la cattura senza volerla imprigionare, quasi semplicemente a fotografarla come lei ha fatto, fermarla nella Storia.
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