
Intervista a Emma Dante | Le sorelle Macaluso e la rinascita del cinema
Sono emozioni viscerali che nascono dalla profondità della terra, sentimenti che si svestono del loro manto fatto di parole per insidiarsi nella superficie epidermica dei loro contenitori fisici e umani. Sono uomini e donne, corpi che ballano, che restano fermi sui sedili delle proprie auto in mezzo a una via, o che si spogliano alla ricerca della propria essenzialità. Sono tante sfumature dell’essere umano nella sua purezza, istintività primitiva e primordiale generata dalla fucina creativa di Emma Dante e resi reali, tangibili, dal potere di un palcoscenico teatrale, o dalla luce di proiezione di uno schermo cinematografico. Sono lasciti di un ricordo pronti a riprendere vita e rinascere sotto nuove forme, i personaggi di Emma Dante. Non poteva essere che il nuovo film della regista siciliana, quel Le sorelle Macaluso tratto dall’omonima pièce teatrale da lei stessa scritta e diretta (qui la nostra recensione del film) a segnare la riapertura dello storico cineclub Arsenale di Pisa dopo 180 giorni di blocco a causa del lockdown. Ed è proprio in occasione dell’inaugurazione di una sala del tutto ristrutturata, anche a fronte delle nuove restrizioni anti-Covid, che abbiamo incontrato la regista cinematografica e teatrale, chiacchierando con lei tra ricordi, corpi, arte, cinema e rinascita.
Ecco a voi dunque la nostra intervista a Emma Dante.

Partiamo da una domanda che fino a qualche mese fa poteva sembrare scontata, ma che, posta nel contesto di un anno come quello che stiamo vivendo, viene ora insignita di significati nuovi. Come è stato presentare il suo film, Le sorelle Macaluso, in un’edizione così strana e particolare come quella della Mostra del cinema di Venezia 2020?
È stata un’esperienza molto forte, perché venivamo da un anno altrettanto forte e violento. A prescindere dall’essere o meno in concorso, si respirava un’aria di rinascita necessaria. Si percepiva ovunque quanto la gente volesse e voglia risorgere in una qualche maniera. Questa è la sensazione che ho avuto e devo dire che tutto è andato nei migliori dei modi. Siamo riusciti a riprenderci sprazzi di normalità anche grazie a un’ottima gestione da parte della Biennale. Tutto è andato molto bene, dalla sicurezza, alla tutela della salute di tutti. È stato veramente un festival all’altezza di questo momento drammatico.
Anche l’enorme affluenza che ha investito l’Arsenale oggi (tre proiezioni completamente sold-out, nda.) lo conferma: c’è la voglia da parte del pubblico di essere illuminato dalla luce del cinema e del teatro.
Assolutamente. La gente dimostra di voler tornare in sala e questo, per chi come me fa questo mestiere, è un vero toccasana. Negli ultimi mesi siamo spesso investiti da una sgradevole ed estenuante sensazione di essere visti come le ultime ruote del carro, ma ora, grazie soprattutto a questa meravigliosa risposta da parte del pubblico, stiamo riprendendo pian piano fiducia in noi.

Parlando del suo stile: più che minimalista, lo descriverei come “fisico”, perché scevro di orpelli, elementi superflui e anche della parola. È uno stile che va a a ricercare un’essenzialità corporea attraverso cui emozionare lo spettatore. Quanto è difficile la sua traduzione per il grande schermo?
I corpi ci sono sempre, qui come nel mio precedente film, Via Castellana Bandiera. C’è una fisicità molto forte, soprattutto nelle Sorelle Macaluso, caratterizzata da questa crescita delle protagoniste, segnata dal tempo che passa e volto a raccontare la deformazione dei corpi e la loro degenerazione. Si pensi alla sorella bambina pronta a mostrarsi poco dopo a ottant’anni. Quella a cui assistiamo è pertanto a un’azione chirurgica precisa del tempo, capace di mostrarci due persone che nella loro unicità, si rivelano completamente diverse tra loro.
Parlavamo del cambiamento dei corpi, ma anche del ricordo. Un pensiero mi sorge pertanto spontaneo: a differenza della fotografia o dell’opera pittorica che va a imprimere e immortalare per sempre un preciso momento nel tempo, il cinema, come il teatro, con i suoi corpi in movimento e quasi tangibili, illudono lo spettatore di poter viaggiare nel tempo, di riportare in vita i morti e di rivivere il passato. Mi chiedevo allora quale fosse il ricordo a cui è più legata dal processo di genesi e creazione de Le sorelle Macaluso, e che varrebbe la pena rivivere.
L’ambiente domestico, la casa che mi fa pensare a momenti specifici della mia infanzia. Il rimanere in casa e soffermarmi sui dettagli dei mobili, restare all’interno di un ambiente domestico che mi faceva già sognare da piccola. Guardavo il soffitto e pensavo, sognavo, viaggiavo con la fantasia. Ecco il mio ricordo speciale. Non più corpo umano, ma dettaglio domestico, vettore immaginifico che mi proiettava verso mondi nuovi.
Tra noi critici e appassionati di cinema vige sempre un dibattito molto acceso circa il legame tra l’opera di origine (sia essa letteraria che teatrale) e il film da cui trae le mosse. Quanto influisce a tal proposito l’aver visto o meno Le sorelle Macaluso a teatro per apprezzare la stessa storia al cinema?
Non è importante. Sono due cose completamente diverse. Se lo spettatore del mio spettacolo di teatro viene al cinema nella speranza di ritrovare proprio quello stesso spettacolo sul grande schermo rimarrà deluso perché sono due mondi totalmente diversi. Ed è giusto che sia così.
Distribuito da Teodora Film, Le sorelle Macaluso è al cinema dal 10 settembre 2020. Buon rientro in sala a tutti. E come la stessa Emma Dante ha affermato con voce emozionata sul palco dell’Arsenale, viva il cinema.
Leggi qui la nostra recensione al film.
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