
Il tango delle capinere di Emma Dante – Ricordi danzati
Il tango delle capinere di Emma Dante è una storia semplice, di quotidianità e tenerezza. Non racconta niente di eccezionale o fuori dall’ordinario: forte di questo, coinvolge e commuove. Dopo il debutto a Palermo lo spettacolo è stato ospite presso l’Arena del Sole di Bologna e la programmazione continua al Teatro Argentina di Roma tra il 2 e il 14 maggio 2023.
Semplice la trama quanto è semplice il setting scenico: il sipario si apre con solo due bauli in scena. La condizione iniziale di buio lascia gradualmente spazio a una luce flebile, compare una donna anziana che con movimenti stentati apre un baule che si farà contenitore dei ricordi di una vita. Collegando due prese elettriche si accende l’unico altro elemento scenico fisso: una costellazione di lumini sopra le teste dei protagonisti. Dietro il secondo baule compare un uomo, l’attore Sabino Civilleri.

Il primo incontro tra i due lascia spazio, pur svolgendosi in poco tempo, alle emozioni più diverse. Se un primo abbraccio esprime una dolce tenerezza, dopo alcuni accenni di passi di danza si passa a un comico russare dei due amanti ancora abbracciati, seguito da un languire autenticamente grottesco e interrotto da violenti colpi di tosse. Lui fa scoppiare un petardo, è capodanno, festeggiano. Il momento di passaggio spinge la coppia a ripensare al passato. Inizia così il susseguirsi dei ricordi di una vita che, man mano che vengono tirati fuori dal baule sotto forma di oggetti, ravvivano il setting: palloncini colorati, un albero di natale, una coperta patchwork. La regia suggerisce una riflessione sugli oggetti come elementi del nostro vissuto che anche dopo la nostra scomparsa resteranno a lasciare piccole e inavvertite tracce del nostro passaggio. Tale riflessione è coerente con la poetica di Dante che spesso nei suoi lavori fa degli oggetti quotidiani veicolo di apertura verso nuovi immaginari e occasioni per riscoprire un meraviglioso e mai scontato circostante.

Sembra una vera e propria festa danzata la storia a ritroso che porta a ripercorrere i momenti di un amore che trova nel ballo e nella musica i suoi fili conduttori, espressione di una sintonia profonda che arriva in tutta la sua spontaneità al pubblico. Da Lontano lontano di Tenco a Fatti mandare dalla mamma di Morandi, parte integrante della performance è una playlist di musica italiana dell’epoca dei genitori della regista. È proprio pensando ai genitori che Dante scrive questa regia, nata come approfondimento dello studio tratto da Ballarini, facente parte della Trilogia degli occhiali.
“A ballare ci vuole leggerezza, sensualità” le parole pronunciate dall’attrice Manuela Lo Sicco esemplificano le atmosfere che caratterizzeranno l’andamento della storia. I toni sono leggeri e comici, ma mai superficiali e si fanno portatori di un sotto testo profondo e doloroso che lo spettatore percepisce sin dal principio, ma che emerge con forza solo nel finale.

Tutta la componente parlata dello spettacolo è in dialetto palermitano e tale scelta pare omogenea e calzante con l’intenzionalità espressa dai corpi degli attori. Come in altri lavori della regista, anche nel Tango delle capinere il dialetto natale ha un ruolo chiave nel tentativo di raccontare ciò che è più difficile trasmettere a terzi: i ricordi d’infanzia. L’uso del palermitano permette di rendere espressioni precise, creare atmosfere intime e quotidiane e di veicolare messaggi come non sarebbe possibile fare con una lingua che non è di casa. Il parlare e l’agire dei protagonisti è forte, divertente, scoppiettante, a tratti grottesco, una sorta di correlativo oggettivo della musica che ascoltiamo. Non a caso nel corso della storia d’amore la coppia partecipa a una gara di ballo con vestiti a paillettes numero 74, la notte di capodanno. La forza espressiva tuttavia non rende i personaggi due macchiette ma emana la potenza di un’intimità reale e per nulla elegante, di un romanticismo forte che non ha niente a che vedere con l’estetica.

Se il tempo rappresentato è quello di una vita e quello di rappresentazione 1 ora, il tempo percepito è di 20 minuti scarsi. Tutto va veloce, è inarrestabile, esplosivo e come inizia finisce. Il finale si consuma in pochissimo tempo lasciando, dopo quasi un’ora di risate, con una profonda tristezza. Il sotto testo, fino ad ora rimasto celato, emerge, e mette gli spettatori di fronte a quello che a tutti noi fa più paura, ma non si sofferma troppo, compare, scompare. Prima che cali il sipario, qualche istante di silenzio è lasciato alla vista dei due bauli silenti, ormai divenuti tombe.
Uno spettacolo che ruota intorno al pensiero di ciò che sarà dopo la scomparsa di chi amiamo riesce, nonostante ciò, a farsi carosello di amara allegria. Emma Dante riesce come sempre a danzare intorno al dolore e a rappresentare con formidabile esattezza una delle più grandi paure dell’essere umano, rimanere soli e infine, non essere più. Ancora una volta il mezzo teatrale e in particolare i corpi danzanti degli attori permettono di assistere a un rito che è condivisione di angosce e gioie e permette di sorriderne come si farebbe per una vecchia canzone ascoltata dai propri genitori.
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